RUMOR(S)CENA – SIRACUSA – È la potenza poetica di Sofocle a occupare la scena tragica del LX ciclo di spettacoli classici, curato dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico al Teatro Greco di Siracusa, con Elettra e Edipo a Colono, affidati rispettivamente alla direzione di Roberto Andò e di Robert Carsen. L’ossessione della vendetta, che tormenta la figlia di Agamennone e Clitemnestra, e il balsamo della pacificazione, viatico verso la fine prodigiosa di Edipo, si affiancano in un dittico che, nella sua apparente dissonanza, esplora nel profondo i meandri dell’animo umano. Non c’è pace a Micene. Nel palazzo degli Atridi si è compiuto l’assassinio di Agamennone per mano della moglie, Clitemnestra, e di Egisto, che ora regnano indisturbati: Oreste, l’erede al trono, vive lontano, in esilio; Crisotemi ed Elettra, vivono sotto il giogo dei tiranni, l’una timorosa e rassegnata, l’altra disperata e furiosa nella sua impotente attesa del fratello vendicatore.

La regia di Andò, che si è valso della creatività scenografica di Gianni Carluccio, rende manifesto il disfacimento di un mondo squassato dai crimini. L’orrore che si è consumato all’interno della reggia ne ha intaccato le fondamenta etiche e anche fisiche, e ne ha provocato il crollo; la sfarzosa facciata di un tempo si è abbattuta al suolo ed è ora una piattaforma obliqua punteggiata dalle vestigia dell’antica opulenza. Le aperture sono buchi neri, porte dell’abisso delle anime perdute che vi abitano e le cui voci rimbombano nel buio che li avvolge.
Tre uomini si aggirano tra le rovine: Oreste (Roberto Latini), accompagnato dal Pedagogo (Danilo Nigrelli) e dall’amico Pilade (Rosario Tedesco). È arrivata l’ora della vendetta, è il momento propizio, kairós lo definisce Sofocle, per agire. Il giovane principe istruisce con sicurezza l’anziano Pedagogo. Lucido e spietato non ha dubbi: è il sovrano legittimo, tornato in patria per prendere il potere, agendo con l’inganno, come gli ha comandato l’oracolo di Apollo.

Roberto Latini è perfetto nella parte di Oreste così come lo dipinge Sofocle. Non nutre i tormenti che gli attribuisce Eschilo, né manifesta incertezze e poi pentimento come accade in Euripide. Aderisce al compito che gli ha assegnato il fato e lo fa con durezza d’animo, senza esitazioni. È un personaggio algido, che avrà un solo momento di tenerezza di fronte alla sofferenza della sorella, quando lo crederà morto.

L’ingresso in scena di Elettra preannunciato da acuti lamenti dà il via al cuore drammaturgico della tragedia: l’implacabile odio nutrito dalla figlia di Agamennone nei confronti della madre e di Egisto, e la sua ansia di vendetta. Un ruolo non facile, quello della protagonista, qui sostenuto da Sonia Bergamasco capace di modulare la gamma di sentimenti che ne tormentano l’anima, alternando toni isterici e furenti ad argomentazioni razionali e narrazioni dolenti.

Coperta di poveri stracci succinti (disegnati da Daniela Cernigliaro autrice dei costumi privi di connotazioni temporali) e lordata di fango a testimoniare un tormento interiore che ne intacca anche il corpo, Elettra, nella lettura di Andò, assume la fisionomia di una moderna figura della depressione, solipsistica, paranoicamente inabile a una visione allargata della situazione. È emotivamente distante anche dalla sorella Crisotemi che la ammonisce con prudente realismo (qui nella trepidante interpretazione di Silvia Ajelli), ed è sorda alle parole del Coro che la esorta a mutare il suo esasperato atteggiamento. Nello spettacolo Andò affida a tre corifee (Bruna Rossi, Paola De Crescenzo, Giada Lorusso) gli stasimi sofoclei, mentre il Coro di giovani donne di Micene (le allieve dell’Accademia dell’INDA vestite di abiti anonimi e modesti) esprime la propria vicinanza empatica con una solidarietà gestuale e un flusso di movimenti (coreografati da Luna Cenere) in sintonia con l’azione dei personaggi.
L’unico conforto Elettra lo trova nella musica, nelle note che sotto le sue dita si sprigionano dal pianoforte presente sulla scena, traducendo in suono il proprio tormento e la tempesta che la scuote: un complemento alla partitura di Giovanni Sollima che col violoncello disegna a sprazzi la tensione delle passioni, in dialogo con gli effetti sonori di Hubert Westkemper.
Nello scontro verbale con la madre Clitemnestra, autorevolmente incarnata da Anna Bonaiuto, fredda nella sua ferocia, si fronteggiano le due diverse prospettive nelle quali si inquadra l’assassinio di Agamennone: la maternità ferita della regina, lacerata dal sacrificio della figlia Ifigenia per mano del padre e convinta di aver agito in nome di Dike, la Giustizia, nel vendicarne la morte, e il rancore di Elettra che accusa la madre di aver commesso l’uxoricidio sedotta dalla passione per Egisto. Il letto nuziale di cui la giovane è priva, come più volte lamenta nelle sue recriminazioni, campeggia accanto alle due donne traducendo metaforicamente con la sua struttura fatiscente l’ossessione di Elettra per la contaminazione del talamo paterno condiviso ora dalla madre con Egisto.

L’aspro confronto si esaspera in una spirale di odio reciproco. L’Elettra di Sonia Bergamasco sibila con violenza le proprie accuse alla madre, la quale a sua volta l’apostrofa con un insulto, thrémma anaidés (bestia spudorata) nell’incisiva traduzione di Giorgio Ieranò, che asseconda l’intento del regista di spogliare il mito della sua distanza dall’oggi. La tensione sulla scena si esacerba col falso annuncio della morte di Oreste. La disperazione di Elettra e l’angoscia di Oreste nell’assistere al pianto straziante della sorella si sciolgono nell’abbraccio dei due fratelli quando il giovane rivela l’inganno. E in quel momento l’applauso liberatorio del pubblico testimonia il perpetuo rinnovarsi della sacralità di un rito laico, quello del teatro, in grado di suscitare ancora emozioni autentiche.
La tragedia va verso il suo epilogo con l’uccisione di Clitemnestra e poi di Egisto, dipinto con i colori dell’inconsistenza parodistica da Roberto Trifirò. Ma la chiusa non è trionfalistica. Lo aveva ben compreso Hugo von Hofmannsthal che al termine della sua riscrittura, Elektra, fa morire la protagonista sopraffatta dall’appagamento della propria ossessione. Andò non cambia il finale sofocleo, ma evidenzia il vuoto che lascia dietro di sé la vendetta: all’esaltazione omicida subentra in Elettra la stanchezza esistenziale propria di chi non si aspetta più niente dalla vita; non c’è futuro per lei, che ora, ormai spenta, cerca rifugio sul pianoforte ripiegata su sé stessa in posizione fetale.
Fa tutt’uno con la natura circostante lo spazio scenico disegnato da Robert Carsen per Edipo a Colono che nell’impianto architettonico riprende la scalinata da lui concepita con Radu Boruzescu per Edipo re, spettacolo pluripremiato, rappresentato nel teatro siracusano nel 2022. Al grigio cementizio dello stile brutalista dell’allestimento precedente il regista canadese ha sostituito un verde cupo e denso, dando vita a un suggestivo effetto immersivo nel paesaggio, reso più efficace dai cipressi collocati sui singoli gradini. È un quadro pittorico che evoca una dimensione sacra e simbolica, ispirato – come dichiara Boruzescu – ai quadri di Arnold Böcklin L’isola dei morti, icona di una dimensione metafisica e misterica in linea con i contenuti etico-filosofici del testo. Quella scala, emblema nell’Edipo re dell’ascesa e della caduta del potere, si fa qui luogo di elevazione spirituale, in un richiamo visivo e teorico pregnante.

Secondo tempo di una ideale trilogia tebana che conclude con Antigone la sua parabola concettuale (non in ordine temporale di composizione, poiché è Edipo a Colono l’ultima tragedia scritta da Sofocle e poi rappresentata postuma), il dramma accompagna il protagonista nel tratto terminale del suo travagliato percorso esistenziale. A Giuseppe Sartori, voluto da Carsen in continuità con lo spettacolo del 2022, tocca il non facile compito di interpretare lo stesso personaggio gravato dagli anni e dalle sofferenze morali e fisiche. Il corpo vigoroso dell’attore non ancora cinquantenne si piega sotto il peso del duro destino dando credibilità a una figura in passato mirabilmente incarnata su quelle stesse pietre da interpreti resi fragili dalla loro stessa età, come Giorgio Albertazzi e Massimo De Francovich.

Sartori recita con la vista oscurata da protesi che gli coprono gli occhi, cieco come lo era Tiresia, l’indovino profeta della sua sventura. Brancola nel buio, ma mantiene la sua regalità e, a tratti, l’antica energia. Esule e reietto, Edipo trova un unico conforto nella presenza al suo fianco della figlia Antigone, che lo accompagna con generosa abnegazione. Nella parte, la giovane Fotinì Peluso fatica a trovare la giusta intonazione. Al suo ingresso in scena, Edipo scende da quegli stessi gradini della cavea che aveva faticosamente risalito dopo il suo accecamento. Puntella il suo incerto procedere sul bastone e sulle gracili spalle di Antigone. Veste un misero abito nero, al di sotto del quale indossa, ormai sporca e lacera, la bianca tunica della moglie-madre Giocasta. Una sorta di reliquia/cilicio che porta sulla sua carne a perenne memento dell’incesto e che, in un’ostensione concreta del proprio dolore, mostra agli astanti nel rievocare i tragici fatti di cui è stato incolpevole protagonista.

Con forza Edipo si proclama innocente perché inconsapevole di ciò che faceva. «Sono arrivato dove sono arrivato senza sapere nulla; chi ha cercato di uccidermi, invece, sapeva bene quello che stava facendo», sostiene. (La traduzione del testo, filologicamente accurata e insieme poetica, è di Francesco Morosi). Ormai trasformato dalle sue tribolazioni, incarnazione del pathei mathos, “la conoscenza attraverso la sofferenza”, di derivazione eschilea, Edipo fa pace col proprio passato e perdona sé stesso, ma non perdona i suoi figli e scaglia su di loro la peggiore maledizione, quella di uccidersi a vicenda senza mostrare pietà nemmeno per Polinice (Simone Severini) venuto a lui per implorarlo di stare al suo fianco nella guerra contro il fratello Eteocle che lo ha privato del regno. E nemmeno si lascia persuadere dal cognato Creonte (un ambiguo Paolo Mazzarelli) a ritornare a Tebe, comprendendone intento egoistico. Non donerà il proprio corpo, destinato a diventare un corpo santo, protettore dai mali, alla città che lo ha scacciato condannandolo a un penoso peregrinare. Saranno Atene e Teseo (l’empatico Massimo Nicolini), il re che lo ha accolto e lo protegge, a godere di questo sacro beneficio.

Robert Carsen coglie ancora una volta il segno nel tradurre in azione i versi di Sofocle. Intervenendo sul testo con un’operazione coraggiosa e intelligente, crea due Cori, uno maschile, composto come nell’originale dagli abitanti del demo di Colono, e l’altro delle Eumenidi, le dee benefiche, attribuendo loro due stasimi, quello in cui viene descritta la bellezza radiosa e bucolica di Colono, luogo di prosperità, e quello in cui Sofocle depreca il crudele destino dell’uomo e l’odiosa, impotente vecchiaia. Sono 28 figure femminili, abbigliate con lunghe vesti dello stesso colore dei cipressi, parte loro stesse di quell’ambiente sacro e misterioso all’interno del quale Edipo concluderà la propria esistenza. Lavorando per sottrazione, Carsen utilizza pochi segni. Gli unici oggetti presenti sulla scena sono gli orci di terracotta dai quali il Coro maschile versa sacre libagioni. Il regista gioca piuttosto sulla geometria dei movimenti, calibrati ed essenziali, e sulla cromia creata dagli abiti e dai corpi stessi degli attori.
Tre sono i colori dei costumi: il nero che vestono Edipo e le figlie, Antigone e Ismene, come indice della loro luttuosa condizione, e quello di segno opposto, spia di un potere cupo e tirannico che veste Creonte come nell’Edipo re; il bianco del Coro maschile e dell’elegante abito di Teseo, sinonimo di accoglienza; il verde delle Eumenidi, creature in armonia simbiotica con gli elementi naturali. Non c’è musica ad accompagnare le parole, ma vibrazioni, suoni evocativi, che solcano lo spazio creando un ambiente. La fine di Edipo si compie fuori della vista degli astanti, un prodigio avvolto nel mistero. Di lui, sulla scalinata, rimane solo il bastone, icona del suo cieco peregrinare. Ma in chiusura Carsen riporta sulla scena il protagonista, con indosso la tunica verde delle Eumenidi, divenuto lui stesso creatura sacra di quei luoghi beati.
Visto al Teatro Greco di Siracusa il 9 maggio 2025
Elettra di Sofocle
Traduzione di Giorgio Ieranò
Regia di Roberto Andò
Scene e Disegno Luci: Gianni Carluccio. Costumi: Daniela Cernigliaro
Musiche: Giovanni Sollima. Suono: Hubert Westkemper
Movimenti: Luna Cenere. Assistente alla regia: Luca Bargagna
Assistente scenografo: Sebastiana Di Gesù. Assistente costumista: Pina Sorrentino
Direttore di scena: Giovanni Ragusa. Assistente direzione di scena: Giuseppe Orto. Assistente alla compagnia: Gaetano Cavarra
Interpreti: Danilo Nigrelli (Pedagogo), Roberto Latini (Oreste), Rosario Tedesco (Pilade),
Sonia Bergamasco (Elettra), Simonetta Cartia (Capo Coro), Corifee (Paola De Crescenzo,
Giada Lorusso, Bruna Rossi), Silvia Ajelli (Crisotemi), Anna Bonaiuto (Clitennestra), Roberto Trifirò (Egisto).
Accademia d’Arte del Dramma Antico- Coro di donne di Micene:Arianna Angioli, Margherita Cinardi, Anastasia Cino,
Maria Rita Sofia Di Stasio, Virginia Giannone, Alessandra Giovannetti, Angelica Rampin, Gioia Maria Sanfilippo, Maria Clelia Sciacca,
Sarah Gisella Simeoni, Allegra Azzurro, Claudia Bellia, Carla Bongiovanni, Gaia Lerda, Giulia Maroni, Erika Roccaforte,
Francesca Totti, Clara Borghesi, Carlotta Ceci, Federica Clementi, Alessandra Cosentino, Ludovica Garofani,
Gemma Lapi, Zoe Laudani, Arianna Martinelli, Beatrice Ronga, Francesca Sparacino, Siria Veronese Sandre
Responsabile allestimenti: Marco Branciamore. Responsabile sartoria: Marcella Salvo
Coordinatore audio, video e luci: Vincenzo Quadarella. Responsabile settore scenografico: Carlo Gilé
Responsabile trucco e parrucco: Aldo Caldarella. Responsabile elettricisti di scena: Giuseppe Adorno
Responsabile acquisti: Francesco Bottaro
Costumi realizzati da Laboratorio di sartoria INDA. Scene realizzate da Laboratorio scenografico INDA
Produzione: INDA di Siracusa in coproduzione con il Teatro di Napoli
Teatro greco di Siracusa dal 9 maggio al 6 giugno 2025.e poi in tournée a Pompei dall’11 al 13 luglio 2025
Visto al Teatro Greco di Siracusa il 10 maggio 2025
“Edipo a Colono” di Sofocle
Traduzione di Francesco Morosi
Regia di Robert Carsen
Scena: Radu Boruzescu. Costumi: Luis Carvalho
Luci: Robert Carsen e Giuseppe di Iorio
Movimento: Marco Berriel. Musiche: Cosmin Nicolae
Assistente alla regia: Stefano Simone Pintor. Assistente allo scenografo: Alison Isabel Walker
Interpreti: Giuseppe Sartori (Edipo), Fotinì Peluso (Antigone), William Caruso (Abitante di Colono), Rosario Tedesco (Capo Coro),
Clara Bortolotti (Ismene), Massimo Nicolini (Teseo), Elena Polic Greco (Corifea), Paolo Mazzarelli (Creonte), Simone Severini (Polinice),
Pasquale Montemurro (Messaggero)
Coro degli abitanti di Colono: Andrea Bassoli, Guido Bison, Sebastiano Caruso, Spyros Chamilos, Gabriele Crisafulli,
Manuel Fichera, Elvio La Pira, Emilio Lumastro, Roberto Marra, Jacopo Sarotti, Sebastiano Tinè
Accademia d’Arte del Dramma Antico. Coro degli abitanti di Colono: Davide Carella, Alessandro Cunsolo, Giovanni Costamagna,
Eddye Di Meo, Lorenzo Ficara, Samuele Ingrosso, Marco Maggio,Vincenzo Mandalà, Riccardo Massone, Carlo Marrubini, Bouland,
Davide Pandalone, Massimiliano Serino, Davide Sgamma, Adriano Spera, Stefano Stagno, Giovanni Taddeucci,
Flavio Tomasello, Angelo Valente, Alessandro Volpes
Seguito di Teseo: Samuele Cannoni, Andrea Catalano, Christian D’Agostino, Carlo Andrea Pecori Donizetti, Daniele Sardelli, Federico Valentini. Seguito di Creonte; Gabriele Esposito, Salvatore Mancuso, Lorenzo Patella, Tommaso Quadrella
Coro delle Eumenidi: Clara Borghesi, Carlotta Ceci, Federica Clementi, Alessandra Cosentino, Ludovica Garofani, Gemma Lapi, Zoe Laudani, Arianna Martinelli, Beatrice Ronga, Francesca Sparacino, Siria Veronese Sandre, Arianna Angioli, Allegra Azzurro, Claudia Bellia, Carla Bongiovanni, Margherita Cinardi, Anastasia Cino, Maria Rita Sofia Di Stasio, Virginia Giannone, Alessandra Giovannetti, Gaia Lerda, Giulia Maroni, Angelica Rampin, Erika Roccaforte, Gioia Maria Sanfilippo, Maria Clelia Sciacca, Sarah Gisella Simeoni, Francesca Totti. Direttori di scena: Dario Castro, Eleonora Sabatini
Assistente alla compagnia: Riccardo Rizzo. Responsabile allestimenti: Marco Branciamore
Responsabile sartoria: Marcella Salvo. Coordinatore audio, luci e video: Vincenzo Quadarella.
Responsabile settore scenografico: Carlo Gilé. Responsabile trucco e parrucco: Aldo Caldarella.
Responsabile elettricisti di scena: Giuseppe Adorno. Responsabile acquisti: Francesco Bottaro
Costumi realizzati da Laboratorio di sartoria INDA. Scene realizzate da Laboratorio scenografico INDA
Produzione: INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico)
Teatro greco di Siracusa dal 10 maggio al 28 giugno 2025