RUMOR(S)CENA- ROMA- Ripresa di fine stagione di uno spettacolo collaudato e che ha girato con successo l’Italia. Mesto intenso, drammatico. Da un commovente romanzo francese di una scrittrice emergente un inno alla gratitudine. Una parola poco frequentata oggi. Chi ringrazia chi? Assolutamente desueta poi nella versione al plurale dove più che altro si gettonano ringraziamenti. Dunque c’è una finezza espressiva particolare nell’approcciarsi al titolo plurale, contenitore di un’infinità di percezioni anche se il grazie, nella sua meccanica ripetibilità, sembra oggi aver perso quasi di significato.

L’ultima gratitudine, va a smarcarsi dall’abitudine ed è spesa dalla protagonista prima di esalare l’ultimo respiro anche se ironicamente la scena regala un ultimo persuasivo onirico ballo post mortem, indice di speranza salvatrice. Lo spettacolo è il ritratto dell’universo concentrazionario di una residenza per anziani dove l’anziana protagonista, solitaria nonostante qualche scarno contatto, è colma del ricordi del passato che si devono saldare con l’ultimo ringraziamento per chi le ha salvato la vita dopo la morte dei genitori ebrei all’altezza della seconda guerra mondiale, con l’inevitabile rimando al mito tramontato della razza.

La riaffermazione del ringraziamento alla coraggiosa famiglia che ha assunto questo impegno è scandita con toni forti dall’anziana signora, un modo per proiettarsi nel presente, metabolizzando il passato. È una signora che deforma le parole, che avanza incerta verso la fine ma vuole saldare i conti con il passato aggrappandosi nel presente alla figura giovane di una confidente e di un ortofonista disponibile. I personaggi sono bel delineati. Michka, l’anziana ex correttrice di bozze, può relazionarsi solo con la ragazza che ha accudito e con cui c’è un legame simbiotico, tanto più intenso per la gravidanza della giovane.

Jerome lo specialista nel recupero della parola è affezionato all’anziana e cerca in tutti i modi di recuperare un rapporto vitale e proficuo attraverso la comunicazione anche sbattendo contro l’antipatia dell’interlocutrice per i proverbi. Infine Paolo Triestino si ritaglia il ruolo minore ma fondamentale del responsabile della struttura sanitaria in cui è confinata, cavalcando la gentilezza mista alla ferocia double face della seconda parte, un ufficiale nazista, metafora della dura vita in questi luoghi (case di riposo e di cura) a volte pregni di contrizione e dolore.
Pièce per quattro con gli accompagnatori del gioco teatrale che appaiono e scompaiono, mutano abiti in scena, a volte palesandosi persino con il pancione (è il caso della giovane incinta), aiutati nelle agnizioni da simpatici e ben noti motivetti francesi. Esemplare come attori vocati al comico come Paolo Triestino e Lucia Vasini (abituali partner del passato rispettivamente Nicola Pistoia e Paolo Rossi) riescano a varcare la soglia del dramma con disinvoltura. E in questa loro nuova vita teatrale sono accompagnati da partner di pregio come Lorenzo Lavia jr e Valentina Bartolo. Una bella atmosfera permea la rappresentazione, fatta di sentimenti non smaccati e non buonisti.

Finché c’è vita tutto è possibile. Anche rintracciare la donna ormai novantaseienne che ha salvato l’anziana dal sicuro internamento in un campo di concentramento. Dunque mai troppo tardi per pronunciare un ultimo sentito “grazie”. Testo pieno di pathos e di emozioni sottili che scorrono carsiche attraverso novanta minuti di rappresentazione. L’opera è un ode alla capacità di recupero delle parole (anche quando sono sbagliate) ed è anche un inno discreto al valore, molto poco gettonato nel mainstream, del silenzio. Non è una proposta per tutti, bisogna tuffarsi nell’universo della malattia e del disagio.
LE GRATITUDINI di Delphine De Vigan, adattamento e regia di Paolo Triestino, con Lucia Vasini, Lorenzo Lavia, Paolo Triestino e Valentina Bartolo.
Visto al Teatro Il Parioli il 7 maggio 2025