Teatro, Teatrorecensione — 30/07/2015 at 21:34

Vacis e Koreja, per un teatro policromatico

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LECCE – La ricerca dei Koreja indaga l’umano come lo spazio e la grammatica teatrale. Linguaggi che comunicano direttamente o indirettamente a fruitori in ascolto, in visione, in simbiosi emotiva con le scene. Artigianato e tecnologia, nuovi media e nuova drammaturgia, affondando radici in nutrimenti rintracciabili in una pratica ormai consolidata. Nuovi semi su campi antichi tirati a nuovo. S’incontra con uno dei registi più di spessore dell’ultimo trentennio teatrale la poetica della compagnia salentina, per dare vita a uno spettacolo in prima battuta dall’approdo netto, incisivo, a far vibrare corde emotive all’unisono. Nel modo non certo più confacente a una partitura immediata e patetica, piuttosto rendendo profondità e tridimensionalità allo spazio scenico divenuto strumento vivido di trasmissione, logos e contesto, immagine e parola. La parola, ora fluida in prosa autentica, ora silente tramandata per l’icona. Da dentro per un fuori riconoscibile, universale ma non comune. L’idea tramutata in azione. Composta, resa in sembianze – tra gli elementi di scena – da una scenografia punto focale primario e dettato di ambienti, concetti, rimandi nella partitura non consequenziale di scene. Quadri, piuttosto, caratterizzati dall’assenza di sintesi cara alla calligrafia post-drammatica, formalizzati dalla drammatizzazione dell’oggetto funzionale all’estensione dell’attore/persona/personaggio. Attore cosciente della prova, guidato nel ricamare l’aura scenica al di fuori del proprio materiale, della propria creazione.

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Sei donne a raccontare dei padri, riflettere su origini (traslato il concetto in una geografia politica alle basi della moderna Europa e del concetto stesso di unione tra popoli), passare attraverso il conflitto che da intimo, familiare, interno diventa generazionale e razziale, diventa mediano per esercizi di potere. Sei donne a dire di un uomo: il femminile disegna contorni su tracce e sociologie tipiche dell’altro sesso. Amplificando parola e gesto con l’utilizzo del tecnologico, sgranare vocalità e restituire immagini di sfondo, di didascalia sussurrata, per marcare il topos della rappresentazione attingendo dall’evoluzione, dalla realtà osservata, assunta e lasciata specchiare per il palcoscenico. Sei attrici e caratteristiche diverse: di corpo, di parola, di espressione, di mimica, di caratterizzazione non inglobate come pezzi di un ingranaggio ‘industriale’ ma molecole, monadi, semmai, sistemate in un ovulo, nucleo che traspira e da anima all’allestimento. Uteri di un concepimento, ideale, concettuale, spaziale. Per cui intercedono la trame più intime del trasposto, la carne in pasto a uditori non ipocriti. E talvolta, anche figure di composizione nel complesso audiovisivo di forte caratura estetica ma mai esposto semplicemente alla sensuale seduzione del solo sguardo. Osservazione che intravede la materia, la plasticità di grovigli interiori resi plasticamente. Il dominus, regista, puntella scientemente una partitura armonica e frastagliata, da farsi rintracciare in un mosaico assemblato per ogni comprensione individuale sulla scena e dipanata intellegibile per codici più o meno redatti.

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La varietà e diversificazione di elementi scenici fanno de la parola padre uno spettacolo ricco. Di suggestioni (estetiche e emotive) di indagine, di pura attorialità da gustare lasciando a casa le sovrastrutture tecniche, di sapienza nella (s)composizione della materia scenica trattata senza far maniera ma mettendo la firma su stilemi riconoscibili e innovativi. Lo svelamento dei cambi di registro e la drammaturgia prosaica e aderente al personaggio come al contemporaneo, confliggono in corto circuito con un sotteso di immagini, suoni, inserti corali e musicali facendo risultare l’interagire con lo spettatore in molteplici modalità di coinvolgimento. E il topico di un rapporto primordiale, originario, vitale (con il padre, deus e nemico) si ridisegna per un teatro policromatico, necessario, contemporaneo.

 La parola padre

drammaturgia e regia Gabriele Vacis

scenofonia e allestimento Roberto Tarasco

con Irina Andreeva (Bulgaria), Alessandra Crocco (Italia), Aleksandra Gronowska (Polonia), Anna Chiara Ingrosso (Italia), Maria Rosaria Ponzetta (Italia), Simona Spirovska (Macedonia).
assistente alla regia Carlo Durante
training Barbara Bonriposi
tecnici Mario Daniele, Alessandro Cardinale
organizzazione e tournée Laura Scorrano

finanziato dal Programma di cooperazione transfontaliero Ipa Adriatico Progetto ArcheoS Teatro Pubblico Pugliese

Visto ai Cantieri Teatrali Koreja, il 30 Luglio ’15 – Lecce

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