Co-Scienze — 23/07/2023 at 08:22

Il G8 di Genova 2001: una testimonianza vissuta della tragedia che sconvolse l’Italia

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Riproponiamo per gentile concessione della redazione di InTheNet la conferenza che si era tenuta al CAMeC, di La Spezia, mercoledì 20 luglio 2022. La mostra/eventi Liberare Arte da Artisti. Giacomo Verde artivista, riallestita in occasione dell’incontro dedicato al G8 di Genova del 2001. Per l’occasione venne proiettato in loop il docu-video d’arte Solo Limoni – che Verde girò in occasione del Genoa Social Forum. 

Tra gli intervenuti all’incontro anche quello di Roberto Rinaldi che ha letto un racconto/resoconto firmato da uno dei testimoni di quelle giornate, Francesco Pivetta – già docente di filosofia, giornalista e formatore (che si occupa di temi che riguardano l’adolescenza, la sessualità, la comunicazione, le dipendenze e le violenze presso diverse Asl). Pivetta, non a caso, ha insegnato, presso la Scuola di psicoterapia psicoanalitica, ‘il ruolo terapeutico’ di Genova, ed è altresì attivatore di progetti di educazione alla salute e contro ogni tipo di discriminazione, direttore della rivista di psicoanalisi Varchi, e consulente scientifico Agedo (Associazione genitori LGBT+).

InTheNet ringrazia entrambi per il permesso di pubblicare il testo in versione integrale. 

Testimonianza scritta da Francesco Pivetta in occasione del G8 di Genova nel 2001

…Ho visto cambiare gli occhi dei giovanissimi: da occhi innocenti e pieni di speranza a occhi cupi, torbido, disperati. 

Abbiamo aperto alla cittadella del G8 con il Gay 8 (sulla memoria dei triangoli rosa nei campi di concentramento nazisti). Torno a casa mentre stavano terminando di sigillare la zona rossa e mi sentivo depresso. Non capivo come muovermi in un centro desolato, asettico come una sala operatoria, abbandonato. Vuoto. Da allora nessun rumore per una settimana, neanche dei passi,  di qualche voce dei passanti che nei vicoli ogni tanto nel silenzio si sente. Solo il ronzio, mai sentito, delle pompe dell’Acquario. Una specie di Berlino, mi dicevo. Passo un varco ancora aperto in salita Pollaioli. Un vecchietto è appena volato dalla finestra. Un volo di 10 metri. L’ambulanza non ci arriva. I barellieri non sanno come fare per portarlo fuori. I negozi sono chiusi, impossibile fare la spesa, bere un caffè, comprare le sigarette. Il postino non verrà più da allora. Neanche il pane si trova. 

La sera al concerto di Manu Chao in piazzale Kennedy. Tanta gente che non vedevo da tempo. Tantissimi giovani. La comunità di San Benedetto di Don Gallo organizza il ‘bar clandestino’. Vengono distribuiti acqua, mele, panini, a chi arriva da fuori città dopo che ha impiegato ore per arrivare dalla periferia, irraggiungibile con i treni o gli autobus. 

La notte scoppia il temporale. La mattina dopo il muro d’acciaio da nero è diventato rugginoso. Devo raggiungere Carignano per la manifestazione dei migranti. Cinquantamila persone in festa: alberelli nello zaino, carri di cartapesta. Tante mamme con i bambini, gente di tutti i colori, immagini – icone simpatiche. Occhi dolci, tante speranze, sorrisi dovunque. Hanno tutti al massimo 20 anni. È il corteo delle mutande. Dovunque appese ai fili improvvisati nel corteo.

Nella notte hanno messo i containers a due piani lungo il parapetto sulla Fiera, alla Questura. Procediamo nella gioia ma io sono teso. La zona rossa si è allargata. Tutte le finestre della Questura sono aperte. Dirigenti in completo grigio con il binocolo comodamente seduti osservano il corteo, Mi viene in mente chi assiste dai palazzi rossi di Siena al palio di piazza del Campo. Ma tutto è tranquillo. Mi accorgo che quella gioia è apparente. Penso all’articolo di Sofri su Repubblica sul primo sasso che qualcuno lancerà, al morto di domani di cui non conosco ancora il nome. Tutto mi è insopportabile. 

Domani ci sarà l’assedio. 

So come tutti che se scontri ci saranno, accadranno nella zona del quadrilatero. Dai telefonini si viene a sapere degli scontri con le tute nere in piazza Paolo da Novi. Elicotteri giorno e notte scorrazzano nel cielo. In molti sono terrorizzati. I pacifisti hanno le mani dipinte di bianco. Attaccano fiori, mutande e veli al muro d’acciaio di Corvetto. Migliaia di persone dalla Spagna e dalla Francia dipinte di rosa, con tulle da balletto, stivali argentati, facce rosa, invenzioni teatrali che neanche 30 anni di stages sarebbero in grado di partorire. Hanno migliaia di specchietti, rose di plastica, giochi di cartone, occhialetti con i portauova. Ragazze colorate aprono il corteo a ritmo di samba. Decidiamo di seguire le pink che vengono lasciate passare. Dico al mio gruppo di tenere una via di fuga pronta in caso di bisogno. Volano fiori e specchietti. A ritmo di danza qualcuno imbriglia la rete per scardinarla  e tirarla via con lunghe fasce improbabili. Sembra il set di Cleopatra, quando Liz Taylor arriva a Roma su un carro trionfale trascinata da schiavi ondeggianti. 

All’improvviso appare un manipolo di tute nere. Non le conosco. Chi sono? Lanciano bottiglie d’acqua. La polizia apre gli idranti. Tutti bagnati. I cassonetti vengono addossati alla rete. Sparano lacrimogeni. Le tute nere fuggono per via Palestro incendiando auto e cassonetti. Penso ‘primo non danneggiare e poi non danneggiarsi’. Gli scontri sono sempre più forti. Ragazzine che non conosco vengono dietro a me per la via di fuga. Spiego cosa fare per gli occhi che bruciano e per l’affanno della corsa. Una ragazzina che viene da Digione è disperata e dispersa. Pensavo alla generazione dei padri che non c’è, dove cazzo sono finiti? Ma nell’odissea non so cosa sono. Mi sento più materno. 

Dietro Brignole salgono enormi nubi nere. Il carcere viene assaltato. Auto in fiamme e i cassonetti distrutti esalano un odore mefitico. I black block stanno risalendo da corso Montegrappa. Fumi neri e bianchi dei gasi lacrimogeni li precedono o li seguono. Sgomento. La polizia spinge verso di noi. Arrivano in piazza. Ci ritiriamo mentre le mani bianche sono convinte di fermare tutta la violenza del mondo, alzando le dita immacolate contro i teppisti e la polizia. I primi le aggirano, i secondi le pestano a sangue.

Un ragazzino urla: “ho solo 13 anni, non potete picchiarmi”. Niente.

Avanzano i distruttori. Raccogliamo una ragazzina di Perugia dispersa. Chiediamo asilo in casa di un’amica. La televisione trasmette gli scontri. Siamo tutti sconvolti. Arriva la notizia di un morto in piazza Alimonda. Stiamo davanti alla televisione tutta la notte: È morto Carlo Giuliani, adesso conosciamo il nome e il cognome. Ho dolori alle braccia e ai muscoli addominali per la tensione. 

La vittima sacrificale è sanguinante per terra. Il rito televisivo continua. 

Dovunque distruzione 

I ragazzi dormono nei sacchi a pelo. Spazzatura dovunque. Dobbiamo raggiungere Boccadasse dove ci sono le coperte dei morti di Aids da aprire e sorvegliare. 

Giornata di luglio travolgente: la Genova della Tramontana e del cielo purissimo. Sole abbagliante: “Stasera sarò come il carbone” dico ad una mia amica. Non sapevo che non sarei più uscito per ore da quella passeggiata. 

Il corteo credo superi le 200mila persone. Sul marciapiede mi scontro con tre teste rasate, borchie, piercing, tatuaggi, neri che di più non si può. Mi chiedo per un secondo cosa ci fanno qui i naziskin. Li sento parlare male di quelle “merde vigliacche delle tute bianche”. Comunicano la loro adrenalina rabbiosa in corpo.  Sono le tute nere. Hanno bastoni, si mescolano nella folla. I cordoni sanitari cercano di fare blocco. Dietro striscioni neri e rossoneri raggruppano un centinaio di loro. Penso alla violenza infetta, temo che qualcuno oggi la scopra per la prima volta. Io resto per le coperte dei morti di Aids. Non le posso abbandonare. La tensione si respira col vento che soffia forte. Ritiriamo le coperte. Al forte di San Giuliano segni di distruzione. Il corteo è immobilizzato.

Gli elicotteri volano a dieci metri di altezza. Dal canyon di punta Vagno salgono gas bianchi. È terrificante. Ci dicono di stare tranquilli e fermi, seduti. Vedo 24 motovedette sul mare appressarsi lungo il primo tratto di corso Italia. Passa un canoista in giallo a tre metri dalla riva, tra noi e le motovedette che ci respingono indietro. 

La folla ha l’odore della paura e del sudore. Ondeggia. Torniamo indietro mentre i gas avanzano più velocemente della nostra ritirata. Dopo gli scontri in piazzale Rossetti con le tute nere adesso la polizia carica le prime fila di migliaia di manifestanti separati dal resto del corteo. Tante donne anziane, capelli bianchi, coperte di sangue. Un ragazzo sotto una siepe viene preso e lanciato dalla ringhiera azzurra di corso Italia. Farà un volo di 8 metri. Cade sul telone dei bagni di sotto. Incomincia la fuga con i limoni in mano contro i gas, occhi rossi di migliaia di persone a cercare acqua. Avanzano i blindati della polizia. Dal mare, dal cielo, dalla terra. I ragazzi fuggono intossicati. Li vedo sconvolti. Tra la gente in fuga, come a Sarajevo ci sono sacche di tranquillità, dove la vita continua tra la spuma bianca che si infrange là sotto. 

Boccadasse è un campo di soccorso. Gente che cerca acqua per gli occhi che bruciano. 

Le motovedette si ritirano, gli elicotteri non ci sorvolano più. Panchine divelte, massi e selciato distaccati per terra, pali delle indicazioni stradali stravolti e piegati, tante bandiere rosse e striscioni colorati e sporchi stracciati abbandonati, macchine incendiate, le fiamme ovunque ci accompagnano. Vetri infiniti dappertutto. 

I ragazzini hanno un altro sguardo. Non solo di smarrimento. Un’esperienza, una nuova educazione sentimentale rapida e lunghissima nella memoria s’è fatta strada. Erano quelli del movimento, non dei partiti. I DS c’erano? Qualcuno forse, non una bandiera. L’opposizione istituzionale manca all’appello. Domani chiederanno al ministro Scajola. Ci sarebbe da ridere ma non si può. Otto servizi segreti all’opera. Quali scenari possibili hanno immaginato per fare tutto questo orrore? I palazzi incendiati fino al primo piano. Banche e negozi devastati. La gente incazzata dalle finestre. La città ha reagito davvero male. Da domani sono veramente fatti nostri. 

Circolano voci di chi ha visto tute nere e forze dell’ordine solidarizzare insieme e montare sui loro cellulari. Di notte in via Donghi una signora telefona alla redazione di Telecittà dicendo che ha visto un camion tipo militare con il telone verde far salire e smontare per San Fruttuoso i casseurs. In televisione sulla Sette Giuliano Ferrara spiegherà che gli informatori che si vedono nei video  si sono, mescolati nella folla e che quello è un dovere da parte della polizia, altrimenti come farebbero a proteggere i cittadini? 

50mila in fuga come sulla scalinata di Odessa. I residenti toccati nei loro beni mobili e immobili lasciati allo sciacallaggio di pietre e bastoni. Pompe della benzina divelte. L’odore urticante dei gas brucia ancora il naso e gli occhi. Conto un centinaio di bossoli di gas per terra. Accompagno a casa un ragazzo ferito ad una spalla da un gas sparato all’altezza d’uomo. Tutti i gas sono stati esplosi ad altezza d’uomo. Pianti, stanchezza, bruciature da sole, occhi rossi dai gas, occhi sfiduciati. Mi chiamano da tutta Italia per sapere cosa sta accadendo. Gente che non sentivo da anni, Faccio il cronista ormai senza cenni di saluto emozionale. Arriva la notizia che il centro operativo del GSF della caserma Diaz è stato attaccato. Il TG 3 ci dà la botta finale. Roba golpista. Sangue dappertutto, tanti arresti in cerca di armi. Trovano qualche bastone, coltello e passamontagna. Mi viene in mente che nell’orrore di queste giornate i teppisti non hanno mai usato armi. Non è come ai tempi del terrorismo. Cosa cercano alla Diaz? 

Anni di consociativismo e di governo hanno paralizzato l’opposizione del 13 maggio. Business as usual è la parola d’ordine del G8 di governo e di opposizione Forse il segreto sta tutto qui. 

Molti i partiti, l’opposizione è là dentro. Si chiama entrismo?

Fuori un movimento e di grande novità. Le 700 sigle del GSF, qualche sindacato di categoria, i pacifisti, le donne, gli omosessuali e un’idea variegata e confusa di un altro modo di concepire la forma del mondo. Anzi molte idee contraddittorie, Ma non c’è altro. Tutta gente che viene dal così vituperato volontariato degli anni Novanta. Di chi la politica l’ha intesa in quel modo. Anche. Che non è stato capace di fare un partito, ma che un movimento ha generato. 

Cosa partorirà questo movimento?

Viaggia per piccole tribù, piccole identità, tanti svariati sogni, utopie, qualche bottega del commercio solidale, frangie di lavoratori sopravvissuti alla marcia di avvicinamento al potere, tante madri preoccupate per la prima volta dei loro figli e in fila, come le altre volte a casa a tormentarli di ritorno dalle manifestazioni. Cattolici pacifisti, modi di manifestare, però, davvero nuovi. Forse quelle pratiche non hanno fermato la violenza. Non riesco ad immaginarne altre se non starsene a casa. Quale pensiero riuscirà a sopravvivere dopo queste botte. Torneranno tutti a casa loro nel gruppo del loro volontariato a fare la politica seconda?

E tra la seconda e la prima, anche se matematicamente scorretto, non ce ne sarà una terza? E se ci sarà, ci saranno le pratiche diffuse a identificarla? Si può partire solo da qui, in un pianeta che si distrugge tra le cene dei potenti al limoncello. Adesso c’è altro da cui partire, da quelle ragazzine di 16 anni che ieri sfilavano dando ragione alla polizia e continuavano a prenderle e a sfilare, e da quei ragazzoni che vogliono fare cazzo contro cazzo con il potere.

Domani toglieranno il muro d’acciaio, mi auguro. Spero che i funerali del povero morto non vengano fatti in città. Forse suo padre, un uomo affranto e intelligente, come mi è parso di capire dalle interviste, deciderà di farli nel suo paesello o di non celebrarli affatto. 

Mi tocca da qualche parte, nella pancia, questo morto abbandonato e solo in una cella frigorifera. Ieri le scritte Carlo presente, il lutto al braccio, il grido di assassini, assassini. Da un morto non partirà niente, dimenticato presto come tanti altri. Questi fratellini sono miei e non erano per niente brutti. Diversi, in molto, da me.

Esco di casa alle 22, hanno aperto un varco. La zona gialla deserta come sempre, quella rossa piena di gente soprattutto al Porto antico, San Lorenzo, piazza de Ferrari. Dagli accenti e dai volti ci si accorge che sono forze dell’ordine in borghese, finalmente in licenza. La stessa età dei ragazzi di questi giorni. Loro erano dall’altra parte del muro d’acciaio. Sorridono, telefonano, si danno appuntamento con le loro ragazze. La tensione è finita. Percepisco una perdita di senso in me. Perché l’unico è quello di sistema in cui stanno le due gioventù. 

Ho uno sblocco emotivo. Finalmente. Di nuovo i crampi addominali. Lo sconcerto mi riporta velocemente a casa. 

Francesco Pivetta

venerdì, 29 luglio 2022

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