Teatro, Teatrorecensione — 07/06/2014 at 14:59

La guerra vista da dentro: il soldato e la mondana vittima della Storia

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CASTROVILLARI – Duecento anni fa, 1815, ma potrebbe essere duemila anni prima o anche dopo, spostato nel futuro. Sono un puro pretesto letterario la data e gli avvenimenti che la penna sempre evocativa di Antonio Tarantino imprime alla storia piccola dentro la Storia grande di questo “Namur” (in prima nazionale), paese belga ma, crediamo, onomatopeicamente, con tono meridionale miscelato ad un francesismo possa essere diviso e pronunciato come “un amore” contratto, veloce, sincopato, arrangiato. In due in un’arena, che è tutto ciò che rimane del prima e del dopo, un fumo immenso che è già aldilà nebbioso e incerto, un recinto con il pagliericcio di fondo (che è anche il ripieno del corpo degli spaventapasseri passivi in attesa) che ricorda quello sporco del circo calpestabile dove starnazzano clown e dove il grande gioco della vita e della morte va in scena ogni sera per il gusto di chi resta senza concedere nessuna lezione da tener buona per quando toccherà ad altri essere protagonisti, loro malgrado, di quella girandola, di quel bailamme, di quel contrasto dove poco puoi scegliere e molto capita, è, sta.
Il giovane soldato vuole vivere, scamparla, farla franca, sopravvivere, la vecchia prostituta non ha più voglia di scappare, la sua unica arma è la rassegnazione fatalista senza depressione. La vita si scontra con il senso di finitezza ed in questo grande incastro il soldato, chi offende, la baionetta fallica, l’uomo che danneggia, vuole scendere a patti, sentendosi spacciato, con la donna, madre accogliente, donna generatrice che ha subito i danni e le gravità di guerre decise da altri uomini che l’hanno brutalizzata, violentata, costretta ad una vita da schiava.

Namur
Da una parte la frustrazione del non saper come fare a passare il confine, dall’altra la frustrazione del non poter più cambiare il passato che l’ha ridotta ad un corpo usato e sforacchiato, oggetto di soprusi e angherie. Una scena semplice dove si esaltano le luci accecanti da aeroporto a sparare bianco verso la platea, il soldatino di piombo, il nostro tamburino antieroe per antonomasia (Roberto Corradino finalmente in una situazione più intima riesce a mostrare tutte le sue qualità di forza, s’impone per sicurezza, tenerezza, dolcezza, ha gli occhi vivi e celebra questo passaggio con un misto di speranza e paura, con un ventaglio di espressioni che vanno dal disfattismo alla gioia per poi ritornare nel pantano dell’indissolubile, dell’ineffabile, dell’inevitabile) ingaggia un corpo a corpo verbale con l’anziana cortigiana (Teresa Ludovico, anche regista del pezzo, direttrice artistica del Kismet di Bari, ci ricorda Laura Curino, con ironia fredda e pennellate di drammaticità tenace quanto appena accennate, sul filo della tristezza ma decisa e credibile sul piano gestuale come nell’alchimia a due), dove, nelle consuete ed interminabili sottolineature e rafforzativi della scrittura concentrica tarantiniana, diventa esilarante quando si tratta, nella parte iniziale, di dialogare ognuno occludendo la bocca all’altro per farlo tacere, oppure nella scena, reiterate ma necessarie, della ricerca, ora l’uno adesso l’altra, del sesso del partner per fuggire, con il pensiero, alla grande mietitrice incombente.

Namur 2
L’atmosfera noir in questa trincea che ricorda ogni guerra, brilla di quella strana commistione, due facce della stessa medaglia, di paura e coraggio, standosi addosso, ballandosi accanto, a questa panca che diventa giaciglio e riposo ma anche tavola e totem, palo per la fucilazione, altare per la preghiera e muro, difesa e limite, o quando si “palleggiano” rotoli di cenci in quello che è uno degli ultimi giochi che il tempo concede loro. Chi vuole scappare e chi non ne può più di fuggire, entrambi carne da cannone, da macello che la Storia si inghiotte in un solo boccone riducendoli a targhe da “milite ignoto”. Una lezione antimilitarista questa che ci consegna Tarantino, che scarnifica la Guerra di numeri e date senza volti e ci concede il privilegio del voyeurismo, dell’occhio di bue fin dentro le pieghe, le scelte, l’imponderabile brezza dell’esistenza.

“Namur”, Teatro Kismet Opera. Testo: Antonio Tarantino. Regia: Teresa Ludovico. Con: Teresa Ludovico, Roberto Corradino. Costumi: Luigi Spezzacatene. Collaborazione al movimento: Elisabetta Di Terlizzi. Assistente alla drammaturgia: Loreta Guario. Tecnico Luci e suoni: Gianvito Marasciulo. Visto al festival “Primavera dei Teatri”, Castrovillari, Cosenza, il 29 maggio 2014.

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