Altrifestival, ALTRITEATRI, Recensioni — 04/12/2022 at 12:39

Barriere fisiche e barriere mentali

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RUMOR(S)CENA – TORINO – Minimi teatrali, si potrebbe dire, minimalia ovvero drammaturgici minima moralia in cui il Teatro, ed è teatro con la T maiuscola, senza perdere la sua intrinseca capacità catartica e maieutica si fa autentica pedagogia, educazione all’esistenza oltre ogni didattica. Parliamo ovviamente del Teatro (da tavolo) di Claudio Montagna, protagonista indiscusso con la sua eterodossa creatività del Festival che l’Istituto per i Beni Marionettistici e il teatro popolare e il suo Direttore Alfonso Cipolla hanno organizzato, con il supporto della città e varie collaborazioni, dal 18 al 27 Novembre in quel di Grugliasco, nell’immediato hinterland torinese.

Claudio Montagna, lo sappiamo, è il fondatore del Teatro dell’Angolo di Torino, in cui si sono inizialmente formati anche Gabriele Vacis e Laura Curino, e ha nel tempo concepito e man mano realizzato una drammaturgia in cui il ‘piccolo’, come dimensione operativa e non creativa, diventa per lui il crogiuolo in cui meglio fondere l’intensità evocativa della figura, dell’oggetto e della sua ombra, con la forza significante della parola, così da costruire una narrazione scenica assai singolare nella quale sguardo e udito, mente e anima, sono come potenziate dalla loro stessa concentrazione fisica, in una sintesi che paradossalmente ne esalta la capacità di analisi e lo sviluppo di una profonda comunicazione significativa.

È il suo caratteristico teatro da tavolo attraverso il quale ‘interpreta’ con grande originalità i suggerimenti e le suggestioni combinate del teatro di figura, del teatro dei burattini e delle marionette e del teatro degli oggetti, quasi non fosse nessuno di questi tre, ma contemporaneamente fosse, sorretto da una drammaturgia di grande spessore e raffinatezza, tutti e tre insieme. Un teatro con una grande capacità di trasfigurazione, capace cioè di trasportarci per innumerevoli dimensioni senza mai perdere il filo di un ethos robusto, sempre strutturato e anche fortemente indirizzato e finalizzato. Il suo teatro è stato dunque protagonista, e stimolo, di una edizione sostanzialmente costruita intorno alla sua figura e ai suoi spettacoli. Tra questi voglio soffermarmi in particolare su uno:

MODÀFFERI.

È, questo del titolo, un nome inventato ma la storia è vera e lo spettacolo, raccontandola, racconta di sé stesso, del suo creatore e del suo modo di essere teatro. Siamo in un carcere nel quale un pedagogo è chiamato a sviluppare un laboratorio di teatro con i detenuti. Tra questi, lo avvertono la direttrice e il commissario, un ndranghettista, Modàfferi appunto, che ha atteggiamenti oppositivi e certamente darà problemi. Così è e, come consigliato dalla Direttrice stessa, l’artista cerca di escluderlo ma senza esito. Quando però viene, per caso ma non per coincidenza, a conoscere e leggere alcune sue poesie scopre di Modàfferi un altro aspetto, nuovo, che lo induce a sviluppare un tentativo di contatto umano più profondo, dalla riuscita imprevista. Quando infatti giunge il momento della progettata evasione, il giorno dell’esordio a teatro, Modàfferi rinuncia per poter portare in scena ciò che la sua creatività ha innestato nel corso del laboratorio. Non un lieto fine da favola, dunque, ma un esito profondamente umano, figlio dell’arte e della sua capacità di penetrarci a fondo e anche, talvolta, di cambiarci.

Tutto questo, a conferma di quanto detto in premessa, nel poco spazio di un tavolo grande però come il mondo, con lo sfondo cangiante delle scenografie disegnate da Claudio Montagna, mentre, tra bi e tridimensionalità, transitano piccoli oggetti da lui sempre predisposti, in cui appunto del mondo stesso, quasi miracolosamente, nessun dettaglio sfugge o è tralasciato, forse metafora concreta della nostra interiorità, microcosmo specchio dell’universo. Uno spettacolo che, significativamente, Claudio Montagna è stato invitato a replicare a Roma, presso il Ministero di Grazia e Giustizia, di fronte ai Direttori di carcere di nuova nomina. Uno spettacolo dunque in cui si intersecano anche le suggestioni del teatro nelle carceri, cresciuto e meritoriamente promosso da vari anni, insieme a quelle di un inaspettato contatto umano profondo di cui è riuscito a farsi positivo mediatore.

Teatro da tavolo Lorenzo Mascherpa

Approfondendo in proposito il discorso, vale la pena di ribadire l’importanza che il teatro può avere, e il ruolo che può positivamente svolgere nei luoghi di sofferenza, come carceri e manicomi ad esempio. Quello che entra in quei luoghi è vero Teatro e conserva dunque l’innata capacità di medicare e suturare ferite (della mente e della identità), qualità iscritta nella sua precipua finalità di rappresentare il sé in un orizzonte di coerenza. Una finalità di cui il corpo è protagonista in quanto attraversato da quel flusso di umanità insopprimibile, da quella irriducibilità dell’essere che in esso si intuisce e che costituisce il confine ultimo e catartico per ciascuno di noi. Una umanità che, come suggerisce lo spettacolo stesso e il suo drammaturgo, si può manifestare all’improvviso, e nei modi o luoghi più inaspettati.

Gli altri due spettacoli di Montagna che ho incontrato durante la mia permanenza al Festival sono stati Q, storia di un adolescente, forse un testimone della vita di Gesù, a partire dai Vangeli Apocrifi e sospesa tra Storia e storia, e SILOS distopico e fantastico racconto di una futura riscoperta di Pier Paolo Pasolini. Un Festival che non è stato solo spettacoli ma anche occasione di riflessioni attraverso le presentazioni (“da comodino” così sono coerentemente definite) di testi e libri sull’argomento.

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Visto il 18 novembre a Torino
Claudio Montagna, Modàfferi – Storia di un criminale dedito alla poesia e dell’innocenza teatrale scoperta in un carcere tra corridoi, celle di punizione, notti tormentate e telefonate proibite.

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