RUMOR(S)CENA – VELEIA ROMANA – (Piacenza) – L’inizio è sconcertante. Uno strano personaggio percorre l’area archeologica con passi e gestualità innaturale. L’accompagna il suono di una chitarra elettrica. È una figura femminile (a interpretarla, Maria Teresa Castello), il cui aspetto è quello di un adolescente riccioluto; indossa pantaloncini corti, una maglietta rossa che le lascia scoperto il ventre voluminoso, calzettoni e scarpe da ginnastica. Da lì a poco, con una risatina inquietante ci rivela di essere un dio, Dioniso, che ha preso sembianze umane per affermare la propria natura soprannaturale e punire coloro che la negano. Un essere ambiguo, che comunica un senso di ansia e di disagio, simile a certi personaggi di film horror.

Un gruppo di Cheerleader, con indosso il succinto costume d’ordinanza a fasce bianche e blu, danza su musiche contemporanee (vitalistiche le coreografie di Riccardo Micheletti). Un giovane rapper di colore (Segun Aina Tomiwa Samson) ci racconta il mito della nascita di Dioniso accompagnato dal battito delle mani del pubblico opportunamente sollecitato. Cadmo e Tiresia, il vecchio re di Tebe e l’indovino cieco (Riccardo Livermore e Alessandro Ambrosi), fanno il loro ingresso in scena traballanti in una caratterizzazione che punta sul ridicolo, diretti al monte Citerone per onorare il nuovo dio.
Dove ci porterà la regia di Baccanti pensata da Leonardo Lidi alla guida di 15 giovani, attrici e attori, di “Bottega XNL – Fare Teatro”, mi chiedo. Come potrà emergere la potenza squassante dell’opera che fu testamento spirituale di Euripide? Siamo nell’area archeologica di Veleia Romana. Lo spazio scenico è quello dell’antico Foro, ancora segnato da alcune colonne. Un bosco rigoglioso fa da sfondo all’azione. È l’ambientazione perfetta per una tragedia giocata tra il palazzo di Penteo, il giovane re di Tebe che non vuole riconoscere la natura divina di Dioniso, e le selve, teatro dei riti orgiastici celebrati dalle donne della città, invasate dal dio del vino e dell’ebrezza che dona gioia ai mortali.

E poi, col procedere dell’azione, tutto prende forma e senso. Non siamo di fronte a una lettura banalmente “attualizzante”, ma a un percorso rabdomantico, che dal passato illumina il presente. Il pensiero va alla regia di Luigi Squarzina che nel 1968 portò sulla scena del teatro Duse di Genova le istanze dei movimenti hippies e il mood di quegli anni, senza che questo intaccasse l’essenza della tragedia. L’ingresso in scena di Penteo (interpretato con efficacia da Fabrizio Costella) ci indica la strada. In giacca e cravatta incarna l’arroganza del potere, incapace di comprendere e accettare la complessità del reale e soprattutto di guardare dentro sé stesso.
Il proposito di tenere tutto sotto controllo si infrange contro il mistero del divino e contro i propri desideri repressi. La fascinazione dei riti dionisiaci lo rende oggetto inerte tra le mani di Dioniso, che ne manipola la volontà inducendolo a travestirsi da baccante per spiare le donne da vicino. Lidi dirige con sensibile acutezza la scena del travestimento, una delle più conturbanti di tutto il teatro occidentale, evidenziando la perdita di ogni controllo e facendone il fulcro dell’opera. L’attore si spoglia dei suoi abiti di manager per indossare quelli di Cheerleader, parrucca compresa, in uno sconvolgente smarrimento di sé. Lo assiste un giovane biondo (Pietro Savoi), di femmineo fascino, al suo fianco fin dall’inizio: una presenza sensuale ed enigmatica, una sorta di doppio del dio di leggendaria bellezza, ma anche incarnazione della natura ambigua del re.

La presenza di Penteo sulla scena incombe sul resto della rappresentazione, fino al finale col pianto della madre ormai consapevole di aver straziato il figlio con le proprie mani, in un quadro dove il tono ironico e straniato lascia il campo al tragico. Un ruolo non facile, quello di Agave, generalmente interpretato da attrici nel pieno della loro maturità artistica, affidato, la sera della prima, alla giovane Carolina Rapillo, capace di dare forma credibile al dolore materno. La tenerezza affranta con cui pone sul capo di Penteo la parrucca del suo fatale travestimento induce di per sé a una partecipe commozione. Il solo rimedio al dolore è l’oblio. Voglio dimenticare, ripete Agave, abbandonando Tebe in una sconfortata rinuncia esistenziale.
Dalla scommessa di Lidi di creare una festa gioiosa perché il teatro non deve essere Scuola ma Ricreazione per le ragazze e i ragazzi è scaturito uno spettacolo non superficiale, né di maniera, ma portatore di senso e in grado di rispecchiare il nostro intricato presente. L’identità di genere, la volontà di infrangere schemi precostituiti, l’irrompere di culture altre nella società, il rapporto uomo-natura, hanno trovato efficace evidenza grazie anche all’audace adattamento drammaturgico di Francesco Halupca e alla forza interpretativa e vitalistica degli interpreti, che danno tutti ottima prova di sé, alcuni impegnati in un doppio ruolo.

Lo spettacolo è l’esito di “Bottega XNL – Fare Teatro”, il percorso di Alta Formazione Teatrale della sezione Cinema e Teatro di XNL Piacenza della Fondazione di Piacenza e Vigevano, un progetto ideato e diretto da Paola Pedrazzini, che per questo è stata insignita del Premio Radicondoli 2025.
Visto venerdì 27 giugno nel sito archeologico di Veleia Romana (Piacenza)
Baccanti da Euripide. Regia Leonardo Lidi. Adattamento drammaturgico Francesco Halupca. Costumi Aurora Damanti. Movimenti Riccardo Micheletti. Musiche scelte da Riccardo Micheletti e da Leonardo Lidi: Todrick Hall, Cobrah, Doris Day, Guns N’ Roses
Ruoli e interpreti:
Dioniso – Teresa Castello Penteo – Fabrizio Costella
Agave – Carolina Rapillo / Dalila Toscanelli
Cadmo – Riccardo Livermore
Tiresia – Alessandro Ambrosi
Messaggero – Anna Manella Pastore – Nicolò Tomassini (chitarrista)
Bambina – Ilaria Campani/Martina Montini
Primo coro – Caterina Sanvì/ Simona De Leo
Secondo Coro – Caterina Tieghi
Messaggero Dioniso – Tomiwa Samson Segun Aina
Servo Penteo – Pietro Savoi