Cinema — 30/11/2020 at 09:44

“Febo” ovvero “non dovrai fare altro che ascoltare”

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RUMOR(S)CENA – CINEMA – Finalista al Varese International Film Festival (2019) nonché all’ultima edizione del Lunigiana Film Festival (Fivizzano), Febo di Roberto Scaravilli è una fiaba severa come ogni fiaba degna di tal nome. Erudita, forse troppo. Diseguale ma verace. Di ispirazione non fantastico-distopica, come lascia intendere, bensì “decadente”, nell’accezione letteraria del vocabolo. Mesta parabola di “dèi in esilio”, dunque. Nel segno del poeta Heine. L’ennesima dell’ultimo triennio, a fianco de La forma dell’acqua di Guillermo del Toro, Border (Gräns) di Ali Abbasi e Undine di Christian Petzold.

Phobos (Ladislao Liverani), figlio di Ares, veste i dimessi panni di uno studente, “collezionista” di melodie naturali. La Pizia (Roberta Lucca), sposa e sacerdotessa di Apollo, è invece prigioniera nel corpo di una giovane reietta, quotidianamente stuprata dal fracasso della metropoli, che parla ogni idioma e nessuno. La fanciulla ricorda chi fu l’Uomo un tempo, cos’ha perduto e perché il suo mondo si sgretola giorno per giorno: egli ha smarrito il senso della “physis”, parola genericamente tradotta come “natura” ma che, a dire il vero, definisce una più ineffabile entità, fondamento unico di ogni cosa, senza la quale nulla potrebbe esistere.

In questo sottile immiserimento di traduzione risiede, tuttavia, l’equivoco di cui sono preda non pochi, odierni portavoce del pensiero ecologico (si guardi il documentario 2040: Join the regeneration di Damon Gameu), i quali invitano spesso ad approcciarsi alla Natura quasi fosse una “casa” bisognosa di cure e pulizia. È una funesta ingenuità: molti, infatti, non saprebbero che farsene di una dimora pulita; fin da piccoli imparano ad accettare, quando non proprio amare, la lordura, lo schiamazzo, il grossolano; a nutrirsi ai meccanici trogoli che la civiltà moderna vende loro. Se soltanto capissero (anzi, capissimo) che la Natura non è una “casa” da abitare o da gestire (a prescindere dalle intenzioni, benigne o nocive che siano) bensì un’ossatura ontologica e che essi sussistono (anzi, sussistiamo) solo finché essa sussiste, il mondo cambierebbe. Qualcosa senz’altro cambierebbe, anche per un breve istante di timore… ma nulla ormai potrebbe generare vero timore o educare a cosa sia intrinsecamente Bello e Buono (“kalòs kài agathòs”).



Ladislao Liverani. Crediti: pagina ufficiale Their Studio, inc. (NY)

La Pizia trema di rabbia, ha gli occhi spenti: vorrebbe tanto poter credere ancora in Phobos dal momento che i secoli non hanno affievolito la sua capacità di intendere le “voci”, il lessico segreto della “physis”, tanto da ribattezzarlo “phonìs poimén” ossia “pastore e signore dei suoni”… ma sa anche, disgraziatamente, che nel nostro tumultuoso presente egli non può più incarnare il rigore e la forza d’animo del combattente, venerati dagli Spartani; al pari del fratello Deimos, Phobos reca ormai con sé solo paura, più precisamente la paura della sconfitta, dell’annientamento. Perciò viene respinto dalla fanciulla con la furia di un’amante tradita.

Gli ultimi tempi sono, dunque, prossimi? La Pizia si abbevera, intanto, alla sorgente di Kassotis, tocca l’estasi, si alza da terra come in una pellicola di Andrej Tarkovskij. Il suo vaticinio è flebile, confuso: spira, così, fra le braccia di Phobos. Lui ora è definitivamente solo. Non vince la paura… eppure ha capito: il senso profondo della “physis” è perso per sempre ma, forse, non è mai stato necessario “comprenderlo”; occorre solo “risentirlo”, riascoltarne le innumerevoli “voci” (lo scroscio dell’acqua, il canto degli uccelli, il ronzio degli insetti) e augurarsi che esse non si stanchino mai di “chiamare”.



Roberta Lucca. Crediti: pagina ufficiale Their Studio, inc. (NY)

Questo è il limite e il prezzo di un’eventuale ricostruzione del rapporto fra Uomo e Natura nell’età contemporanea. Molta strada resta ancora da fare al giovane regista ma l’impressione è che si sia, comunque, imbarcato sulla zattera giusta. Incisivi, infine, gli apporti di Marco Coradin (fotografia) e Luca Mendicino (effetti sonori).

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