Cinema, Recensioni Film — 06/06/2023 at 09:58

“Rapito”, conversione di una redenzione

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RUMOR(S)CENA – CINEMA – È nel dualismo tra il bene e il male, il diavolo e l’acqua santa, il bianco e il nero, che il film di Marco Bellocchio, ribalta la prospettiva a partire dalla scelta del titolo “ Rapito “, dapprima pensato come una conversione, ponendo nel significato intrinseco della parola il ribaltamento della prospettiva nella lettura narrativa, dando al personaggio bambino la possibilità di redimersi nel rispecchiamento degli occhi della madre nel momento del suo de cuius, ormai schiavo di se stesso.

Nessun riscatto per il bambino divenuto adulto, schiavo  e quasi incredulo  per la rettitudine  di una donna, sua madre, a cui è stato strappato, rapito il  figlio in tenera età. Privato del suo incedere nel processo evolutivo tra le mura domestiche, fino ad età ormai adulta, senza via di scampo , se non la conversione come atto liberatorio di sopravvivenza. Siamo nella Roma Papale di  Pio IX, quando, nel 1858, viene rapito Edgardo Mortara, bambino di anni 7, ebreo, terzultimo di una famiglia numerosa benestante, interpretato da Enea Sala (bambino) e Leonardo Maltese (adulto). Figlio di padre predicatore interpretato da Fausto Russo Alesi e della madre a cui presta il volto Barbara Ronchi, vincitrice di un  David di Donatello per il film Settembre, insieme a Paolo Pierobon, nella parte del Pontefice, a Fabrizio Gifuni nel ruolo di Padre Feletti inquisitore, già impeccabile nell’interpretazione di Aldo Moro in Esterno Notte ( David di Donatello come miglior attore) , compreso il cast al completo, ci regala un momento in stato di grazia assoluto, diretti magistralmente dalla maturità artistica di Bellocchio.

Fausto Russo Alesi e Barbara Ronchi

Rapito, prelevato e tolto dalla sua famiglia per essere cresciuto come cattolico, si scopre che,  il bambino,  era stato già battezzato segretamente quando infante, aveva solo 6 mesi, e secondo le regole ecclesiastiche, il sacramento imposto al neonato, gli impone un’educazione cattolica. Edgardo da Bologna viene trasferito (“ rapito”), a Roma ed educato secondo i precetti sotto la custodia del Papa Pio IX. I coniugi Mortara fanno di tutto per riaverlo con sé, riscuotendo un’eco di rilevanza politica nella comunità ebraica e non solo, in un’epoca in cui il potere della Chiesa viene messo in discussione, mentre le truppe sabaude conquistano Roma. Tensione che si sviluppa per tutta la durata dei 125 minuti della trama di genere drammatico-storico. Coproduzione Italia Francia Germania.

Enea Sala

Nel finale a sorpresa raggiunto quasi in corsa, come se tra finzione cinematografica e realtà della vicenda, non ci fosse lo spazio tempo, se non del presente, qui e ora per fare ricongiungere per l’ultima volta una madre e suo figlio, prima della morte, tutto il film pare avvolto in un’atmosfera familiare, con inquadrature dalle tinte calde, notturni, squarci prospettici evocanti la luce di Caravaggio. La visione onirica felliniana si appropria della linea spontanea del bambino protagonista, che , pur vivendo in prima persona un dramma, si muove con gli occhi di colui che da vittima, viene ammaliato dal suo carnefice.

Tre scene delineano il processo simbiotico tra vittima e carnefice. La prima in cui il Pontefice si rende complice con Edgardo di nasconderlo sotto le sue vesti, mentre gioca a nascondino con i compagni, imparando a mentire. La seconda,  con lo stesso sguardo della sindrome di Stendhal, il regista Bellocchio, anima il Cristo liberato dai chiodi sulla croce, per mano del bambino. In parallelo, Pio IX, è impaurito dai disegni delle vignette satiriche  mal dicevoli sul potere pontificio, che prendono forma, come in uno stato di allucinazione, tanto quanto in alcune scene del film L’Avvocato del diavolo con Al Pacino. La terza, sottolinea la sindrome di Stoccolma, ormai in fase adulta, con l’eccesso di zelo ed emozione verso il padre padrone Pontefice, travolgendolo nel suo incedere in corteo, meritandosi una punizione esemplare.

Fabrizio Gifuni

Il potere della Chiesa  e la minoranza ebraica . Scene girate tra Roccabianca, Bologna e Roma. Un fiume protagonista di quel traghettare le anime dantesche, di quei bambini rapiti destinati alla conversione edulcorata del battesimo cristiano. Marco Bellocchio, racchiude in questo film tutti gli ingredienti a lui cari ed eviscerati nell’arco della sua carriera. Meticoloso come Visconti, un fil rouge scorre e lega il pensiero analitico, la famiglia, il sacro e profano, il potere politico e religioso, presenti con pesi e rapporti differenti nelle sceneggiature di Bellocchio, il cui sodalizio con Francesca Calvelli, si  sposa con un legame a doppio filo.  La relazione tra inconscio e cinema è inoltre da ricercarsi nel percorso intrapreso, tra il maestro regista con Massimo Fagioli, psichiatra antifreudiano, esperto di analisi collettiva che ha indagato a lungo tra la sessualità e i rapporti uomo e donna.

La filmografia di Marco Bellocchio, è quasi salvifica, un esorcismo agli episodi della sua stessa vita: I Pugni in tasca, La Visione del Sabba, Diavolo in corpo, Marx può aspettare, L’ora di religione, Bella addormentata, Fai bei sogni,  Il Traditore, Esterno Notte, fino a Rapito, ove in qualche modo accoglie il bambino che è stato ed è racchiuso in ogni uno di noi.

Paolo Pierobon

https://www.facebook.com/01distribution/videos/2467939676704059

#Rapito, la controversa storia di Edgardo Mortara, Un film di Marco Bellocchio con Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala, Leonardo Maltese e con Filippo Timi e Fabrizio Gifuni.

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