Teatro, Teatro recensione — 26/03/2023 at 17:06

Hamlet solo-solo Hamlet

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RUMOR(S)CENA – PARMA – Amleto è una delle tragedie più famose e rappresentate di Shakespeare, se non forse la più nota e rappresentata in quanto, soprattutto per l’attore, vera palestra drammaturgica che genialmente si sviluppa per sequenze, che prima circondano e poi svelano il mistero. Non tanto il mistero della morte per assassinio del padre quanto, io credo, il mistero dell’uomo nel suo essere, ovvero heideggerianamente esserci, nel mondo di cui, di questo esserci intendo, l’attore è il più potente strumento di disvelamento, lo strumento alla fine di una vera e propria, anche felice in senso metafisico, rivelazione del sé.

Hamlet Solo, lo spettacolo di Francesco Pititto e Maria Federica Maestri di Lenz Fondazione, non è una delle tante riedizioni riviste e corrette della elisabettiana e notissima ai più drammaturgia, è un Amleto vivo, straordinariamente sincero e insieme altrettanto paradossalmente ingenuo. Infatti Amleto personaggio, disegnato scenicamente, come spesso capita al Bardo, con una evidente personalità, è circondato da molti altri personaggi tutti però privi di altrettanta evidente personalità, su cui del resto domina lo stimma del fantasma (del padre) che li colloca e definisce quasi gerarchicamente, ed è al centro di dinamiche narrative sovrapposte che, insieme a quegli stessi comprimari, precipitano in lui.

Ma nonostante questo, anzi in fondo proprio per questo, Amleto è solo e la sua scenica presenza, in quello che è stato definito il palcoscenico del mondo, è dunque un as-solo tragico che tutto attira su di sé e tutto respinge da sé, fino alla finale condivisione della morte. È proprio quella che gli stessi drammaturghi, anzi gli imagoturghi di Lenz, definiscono “un’estrema e radicale fedeltà alla parola del testo” che consente loro di percepire con sincera efficacia quel nucleo della narrazione, irriducibile esteticamente in scena come è insuperabile, se non correttamente elaborato, nella vita. Una fedeltà radicale, quella di Lenz, capace di usare la parola come materia viva che non solo si costruisce uno spazio ed un tempo che la scena riflette e proietta oltre la contingenza, ma soprattutto è capace di paradossalmente impastarsi con la sua stessa carne metaforica che si fa recitante e protagonista su quella scena che la parola ha organizzato.

È una parola che nella sua sincerità ha necessità sempre di un testimone, e di un testimone sincero, che non confonda le maschere con il volto, anzi che sia quasi incapace di conoscere le maschere tanto è impegnato a comporre e dunque conoscere il proprio volto. In Hamlet Solo il dispositivo drammatico creato da Shakespeare per insieme nascondere e svelare il proprio intento creativo, forse a lui stesso non del tutto consapevole, non è smontato ma bensì è tradotto e traslato nella sua più intima struttura narrativa e significante, ponendo la sola attrice sensibile Barbara Voghera in presenza, al centro di una scena vuota e circondandola dei fantasmi dei suoi interlocutori, che così possono solo attraverso di lei trovare una qualche consistenza.

Proiezioni dallo e sullo schermo che alle sue spalle si materializza dei fantasmi dei tanti personaggi della tragedia shakespeariana, ciascuno dei quali però recita la sua vicenda raccontandola oltre le parole del Bardo, in una sorta di guidata e lucida improvvisazione che da esse parole scaturisce con una semplicità e limpidezza che cattura. In questo spettacolo c’è ‘solo’ Amleto e, dunque, c’è tutto l’Amleto shakespeariano guardato con l’occhio attento di Lenz, rivissuto e rivitalizzato in una sorta di imprevedibile resurrezione, dopo la morte che ancora niccianemente lo ha preso ma che ancora lo attende, attraverso lo sguardo intenso e soprattutto puro di Barbara Voghera, che si fa così, per il tramite del teatro, Umanità ancora capace di riscattarsi.

Il percorso di Lenz Fondazione man mano si allarga e nel suo circuitare ellittico come la Giralda patafisica intercetta nuovi spazi sulla superficie della vita per immergersi di nuovo nelle sue più antiche e irriducibili dimensioni. È un tassello di un più ampio percorso in collaborazione con l’Università di Parma e che è stato icasticamente definito “Reidratazioni Performative del Presente Urbano”, a partire dalla memoria che si è man mano depositata sui luoghi della aggregazione della vita ma che spesso è stata anche colpevolmente abbandonata, è un andare verso una memoria ossimoricamente dimenticata.

Nella giornata mondiale della Sindrome di Down, nella “Aula dei Filosofi” della sede centrale dell’Ateneo Parmense il 20 e 21 marzo. Che Amleto, studente di filosofia appena tornato dalle aule di Wittemberg sia riportato ai quei luoghi perduti non è una coincidenza, se non nel suo significato junghiano. Di grandissima intensità, una esperienza mentale e fisica profondamente materica anche nelle sue dimensioni ultra-reali.

HAMLET SOLO da William Shakespeare. Creazione Francesco Pititto, Maria Federica Maestri. Traduzione, drammaturgia, imagoturgia Francesco Pititto. Regia, installazione, costumi Maria Federica Maestri. Musica Andrea Azzali. Interprete Barbara Voghera. Attori in video Liliana Bertè, Frank Berzieri, Guglielmo Gazzelli, Paolo Maccini, Vincenzo Salemi. Luci Alice Scartapacchio. Produzione Lenz Fondazione.

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