Costume e Società, Editoriale, Pensieri critici — 24/04/2023 at 10:49

In margine alle polemiche suscitate da Rocco Schiavone. La vera trasgressione di una serie televisiva

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RUMOR(S)CENA – Il Covid ha modificato i ritmi di vita e le abitudini di tutti noi, ha condizionato le modalità dei nostri rapporti umani, l’organizzazione delle giornate. Anche gli intellettuali più severi (o più snob), che avevano disdegnato le saghe senza fine di Dynasty e Dallas, si sono trovati a trascorrere le serate di fronte al piccolo schermo, e a farsi coinvolgere nelle serie televisive. C’è da dire che, rispetto a quei fumettoni d’importazione, intrisi di umori reaganiani, ove i rapporti sentimentali erano di un desolante, rozzo  schematismo, la qualità artistica e drammaturgica dei prodotti confezionati in Italia hanno rivelato un diverso spessore.  All’origine c’è, spesso, una sorgente letteraria di notevole solidità. Mi riferisco, per esempio, ai testi di Andrea Camilleri, per la serie del commissario Montalbano; ma anche alla maestria professionale di drammaturghi di razza (per tutti, da citare almeno Donatella Diamanti).

Ma, in questa sede vorrei cercare di analizzare, e di spezzare qualche lancia a favore di una serie che, pur avendo sortito un notevole successo di pubblico, è attualmente al centro di feroci polemiche. Mi riferisco a quella intitolata a Rocco Schiavone. È da notare che, sulla scia del successo di Montalbano, le serie poliziesche si sono moltiplicate. Le varianti sono costituite dal loro inserimento in diversi momenti storici (non necessariamente contemporanei, ma anche il ventennio fascista, o addirittura l’Ottocento), variando anche le sedi geografiche (Napoli, Torino, Bari, Val d’Aosta). Il rappresentante della legge può anche essere di sesso femminile, purché attraente e ragionevolmente sexy. Di contorno, c’è di regola, almeno uno o due figure buffe: sottoposti imbranati, e un rapporto a volte problematico con le figure istituzionali (il magistrato, il superiore diretto, il medico legale). In aggiunta, con discrezione, magari anche un pizzico di paranormale. Quanto al protagonista poliziotto, maschio o femmina che sia, deve avere qualche scheletro nell’armadio, di tipo affettivo o psicologico.

Anche in Rocco Schiavone ritroviamo questi ingredienti, combinati e variati con maestria, con in più il tema di un’asimmetrica, ma profondamente radicata amicizia virile. Il protagonista non è un bello, abbronzato e palestrato, ma un sessantenne dalla fronte spesso aggrottata, brusco nei modi, il cui sguardo e il volto, spesso in primo piano, esprimono un notevole fascino. Le storie sono tratte dai libri di un maestro del poliziesco, Antonio Manzini, pubblicati con notevole successo di pubblico da Sellerio. E allora, cosa c’è che non va in Rocco Schiavone, tale da attirare le critiche scandalizzate di Ignazio La Russa e di Giorgia Meloni?

La serie viene accusata di offrire un esempio di comportamento scorretto e immorale, in fascia protetta: il vicequestore Schiavone si fa una canna ogni volta che arriva in ufficio; parla come uno scaricatore di porto (in effetti, i “vaffanculo” si sprecano); adotta metodi di indagine quantomeno spregiudicati. Ma davvero pensiamo che gli adolescenti siano turbati, e abbiano bisogno dell’esempio di Rocco Schiavone per parlare come parlano, o per trovare una giustificazione alle canne che si fanno? Ed è davvero più educativo mostrarci i rappresentanti della Pubblica Sicurezza come santini, fulgidi ma irreali esempi di virtù pubbliche e private?

Quasi centocinquanta anni fa la cultura dominante di un’Italia da poco riunita aveva sentito il bisogno di proporre ai giovani figure edificanti, come i modelli deamicisiani di virtù civili, quali Garrone e i piccoli eroi dei “racconti mensili”. Anche senza citare il caustico Elogio di Franti di Umberto Eco, non dimentichiamo il quasi coevo contraltare di Edmondo De Amcis: Carlo Lorenzini – detto Collodi – che non credo sia ma stato tuttavia accusato di istigare, con il ribelle, irregolare, discolo Pinocchio, a comportamenti contrari alla morale nazionale.

Azzardo un motivo più sottile che spiega le intemerate governative contro la serie. Vi si rappresenta, con tenerezza e affetto, un rapporto omosessuale che lega due personaggi di contorno. E ciò collide in modo inaccettabile col moralismo maschilista dell’attuale politica governativa, che sta cancellando le aperture alla diversità di orientamento sessuale, che negli ultimi anni si erano faticosamente affermate, anche in Italia. Passino le canne e i “vaffanculo”, ma lo spettacolo di due uomini, che sappiamo legati da un autentico, ancorché problematico rapporto omoerotico, che si abbracciano con tenerezza, per un governo che ha assunto il ruolo di custode della nostra morale, deve essere davvero troppo.

        

Quinta – e per ora ultima – serie vista su Rai 2 in prima serata

www.raiplay.it/video/2023/04/Rocco-Schiavone-S5E4-Vecchie-conoscenze

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