ALTRITEATRI, azioni performative, Interviste — 19/06/2021 at 11:33

Seduti all’alba di una nuova era. Stefano Tè, Teatro dei Venti, incontra gli“Abitanti Utopici”

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“E il mio maestro mi insegnò come è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire” (F.Battiato)

RUMOR(S)CENA – TEATRO DEI VENTI – MODENA – Siamo all’alba di una nuova era alla quale non riusciamo ancora a dare un nome, comunque la accogliamo, con tutte le ammaccature, i punti interrogativi. Come ogni novità stupisce, lascia interdetti di fronte all’ignoto. Ed è proprio l’ignoto che ha smosso gli animi, nel corso della storia, a ricreare, a reagire. Pensiamo soltanto all’eruzione del vulcano del Monte Toba 74.000 anni fa che ebbe un impatto molto profondo sull’ambiente di tutto il globo e, conseguentemente, andò ad impattare anche sulle abitudini di vita degli esseri umani, almeno questo dicono le teorie predominanti. Il disastro ambientale fu causato in particolare dalle ceneri che si propagarono dalla bocca del vulcano nell’atmosfera andando ad oscurare la luce solare: il cielo era del tutto grigio durante il giorno e diventava rosso durante la sera e la notte. Tuttavia l’uomo preistorico riuscì a sopravvivere sulle zone costiere in quanto qui erano presenti diverse specie animali, in primis i molluschi, molto nutritive che sostanzialmente non accusarono il colpo, come invece avvenne per gli animali delle zone interne. In sostanza, gli esseri umani di questa zona sopravvissero senza patire troppo la fame. In sostanza l’essere umano, di fronte a un così enorme cambiamento, seppe trovare una soluzione. E ci piace pensare che si fermo ad ammirare l’alba di un nuovo giorno, diverso.

Stefano Tè direttore artistico e regista del Teatro dei Venti

Ed è per questo che sabato 26 Giugno alle 5 della mattina il Teatro dei Venti inviterà al primo incontro degli Abitanti Utopici: una chiamata aperta a tutti presso la sede di Via San Giovanni Bosco 150 a Modena.

All’alba del 26 Giugno aprirete le porte del Teatro dei Venti non solo a uomini e donne nuovi ma anche a una realtà che fino a ieri ci sembrava surreale, ma a partire dal nostro presente ci sta abituando alle sue regole. Come vivete questa attesa?

«Stiamo vivendo questa attesa come, in realtà, l’abbiamo vissuta fino a qualche mese fa, anche perché ci siamo preparati bene a una rinascita non sentendoci mai morti e, quindi, evitando di vivere il tutto in maniera agonizzante. Abbiamo vissuto il tutto in maniera vigile e viva, con i motori accesi. C’è lo stesso timore per quanto riguarda il circuito italiano: festival, grandi eventi, progetti di comunità. All’estero, invece, stiamo preparando un tour nei Balcani che inizierà a fine Agosto con Moby Dick, con tutto il progetto di comunità».

Stefano Tè: avete pensato al rischio di avere poca partecipazione con l’orario d’inizio previsto alle 5 del mattino?

«Dopo essere stato rinviato dal 5 al 26 Giugno per via che non eravamo ancora in zona bianca (le regioni a seconda del colore devono rispettare delle restrizioni per evitare assembramenti e il pericolo di contagi, ndr), non abbiamo avuto i permessi necessari per potere fare un evento così come era stato pensato, con il rischio di snaturare completamente questa azione, in qualche modo andando a ridiscutere una camminata collettiva, poetica. Abbiamo visto nell’alba una rinascita, un momento di costruzione. La città a quell’ora si vede con occhi diversi, si osservano cose che solitamente non si vedono nel silenzio anche di un luogo vissuto poco. L’augurio di aprire gli occhi in maniera nuova è quello che possiamo dare. È necessario percorrere insieme non da soli, perché da soli siamo stati per tanto tempo».

Quanto bisogno c’era “ieri” di partecipazione e quanto “oggi”?

«Bisogna stare molto sul prima della pandemia e concentrarci su ciò che non andava, ciò che sembrava superfluo . “Ieri” siamo stati isolati per forza, “l’altro ieri” per scelta e forse per “domani” dovremo reagire a questo isolamento forzato con un’apertura straordinaria dei nostri teatri, dei nostri luoghi della cultura: piazze, strade, i luoghi abbandonati, le periferie. Le stesse cose che, alla fine, sentiamo politicamente ma che non hanno visto pratiche per apertura ma, anzi, di impoverimento da una pandemia che ci ha toccati. Eppure le compagnie di frontiera hanno continuato a lavorare tenendo a aperti i teatri. Fossi un’autorità andrei a capire come hanno agito queste realtà e in qualche modo cercherei di sostenerle».

Odissea Teatro dei Venti

Non vi siete fermati di fronte a un colosso, Moby Dick tanto da continuare a portarlo nelle piazze di tutto il mondo, pur avendo dichiarato che il progetto era nato dall’esigenza di essere l’ultimo, la fine. Eppure la fine non l’ha segnata, nonostante un “nonostante”. È nato Odissea radio, il radiodramma in 12 puntate prodotto insieme a Massimo Don, Francesca Figini e Oxana Casolari. E oggi la fine si tramuta in inizio per un altro festival di Abitanti Utopici. Chi sono? E come vivranno?

«Moby Dick è stato, è, uno spettacolo capace di mobilitare una comunità di bambini, anziani, detenuti, richiedenti asilo e tanti altri cittadini che hanno attirato e generato bellezza, meraviglia, stupore prendendosi cura del progetto. Ecco che nasce l’idea, durante la pandemia, di non lasciare il presidio artistico nelle carceri, di non abbandonare il contatto e l’azione con i cittadini a partire dal nostro quartiere attivando le consegne a domicilio di favole di Rodari oppure arrampicandoci nelle finestre di scuole elementari portando storie per mantenere vivo il legame. Le relazioni rimaste vive sono diventate terreno fertile per una rinascita a partire dagli Abitanti Utopici, esseri che si prendono cura del Teatro, quest’ultimo un pretesto per continuare a dare vita a una comunità intera».

Moby Dick Teatro dei Venti

Com’è l’attesa e il respiro per quell’alba del 26 Giugno, alle 5 della mattina, dopo un’eruzione che ci ha visti barcollare e cadere a terra?

«Un teatro che chiama il pubblico all’alba vorrà dire che ha il suo senso, l’inizio dell’uomo in un’era nuova. Esseri umani che insieme, in futuro possono esser parte della visione di un nuovo spettacolo del Teatro dei Venti. Immaginiamo una macchina teatrale, un gigante, di 20 metri che sembra un uomo perfetto, in realtà si distrugge nel camminare e nell’attraversare una strada con il pubblico intorno che è partecipe e testimone del fallimento e quello stesso uomo rinascerà grazie allo sforzo di tutto in altra maniera, in un villaggio: quel “nuovo corpo” genererà musica. Il pubblico e gli attori possono attivarsi per costruire una città nuova dove tutti sono qualcosa e fino all’alba danzare perché durerà tutta la notte».

Ritrovo 26 giugno ore 5 , partenza ore 5.30 tragitto da Via San Giovanni Bosco a Piazza Grande di Modena . I partecipanti devono portare un nastro o un filo lungo circa un metro e mezzo e una tazza.

Evento gratuito con prenotazione

abitareutopie@gmail.com

389 7993351 (whatsapp)

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