Teatro, Teatrorecensione — 16/07/2014 at 13:39

Una risata non ci salverà. Uomo sinonimo di guerra

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TERRANOVA BRACCIOLINI (Arezzo) –“L’attentato alle Torri Gemelle è stato “a più grande opera d’arte possibile nell’intero cosmo”, Karlheinz Stockhausen

L’assunto dal quale parte l’analisi politicamente scorretta di questo Puk contemporaneo guascone ed a tratti irritante e Grillo Parlante irriguardoso è che “La guerra non è disumana”. Anzi la guerra, visto che è una delle cose più evidenti e palesi e lampanti che ci differenzia dagli animali, è una prerogativa degli esseri umani, che così “umani” forse non sono. “Restiamo umani” diceva Vittorio Annigoni, volontario italiano nella Striscia di Gaza ucciso proprio per mano palestinese. Forse dovremmo tornare ad essere animali, o bestie come qualcuno li chiama ancora, per farci meno male.

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La tesi di Andrea Kaemmerle, che qui ritorna nelle vesti della sua maschera prediletta, il clown-soldato Svejk con i capelli stopposi da spaventapasseri, ingenuo e tonto, il naso rosso da ubriacone, è che “Il popolo cattivo” (produzione per questa nuova edizione di “Utopia del Buongusto”) sia invariabilmente l’uomo, con la maiuscola, ogni nazione, ogni Paese, ogni etnia o gruppo passato sul Globo dalla notte dei tempi fino agli anni a venire. Nessuno si salva, ce l’abbiamo nel dna. Siamo tutti perduti. Dopotutto, l’uomo sarà l’unico animale che lotta per la sua autodistruzione. Come il buffone di corte, l’unico che può dire la verità davanti al Re senza paura che gli sia tagliata la testa, Kaemmerle si trincera dietro verità patinate da risate amorali, spara senza pietà su pubblico e su ogni popolazione con una verniciata di allegria che non è solo amara ma anche triste e tragica e drammatica.

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Come ne “Il tamburo sfondato” Kaemmerle (ha ancora più risalto questa sua “lettura” proprio nei giorni di un nuovo e più che mai sanguinoso conflitto tra Stato ebraico e Hamas), con l’utilizzo del sorriso, riesce a far passare messaggi altamente politici ed antibellici portando sul piatto l’ipocrisia dell’uomo, i controsensi delle guerre umanitarie, gli ossimori delle bombe intelligenti, smaschera gli artifici della diplomazia politica che fa più danni della grandine, caschi Onu in testa, smentisce con dati e documenti anni, secoli, millenni di distruzioni di massa, di abomini contro i propri simili, di uccisioni dei propri fratelli. E non si sa se sia un demone o un angelo caduto nel fango, un Lucifero che gongola della nostra stupidità lucida, se ci ammonisca goliardicamente o se ci inciti a continuare il tanto ben fatto lavoro portato a termine da chi ci ha preceduto. Forse è proprio la Pace un atto tremendamente disumano, o, come sostiene qualcuno, la pace è solamente una tregua, più o meno lunga, tra una guerra e l’altra. La nostra natura è quella dell’arroganza e della battaglia testosteronica, dell’aggressione, dell’annessione, dell’avidità, dell’accaparrarsi la roba altrui, dell’avere e non dell’essere.

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Dobbiamo farci i conti senza pensare di essere fatti della stessa sostanza dei sogni, di essere stati creati ad immagine e somiglianza con l’Altissimo, di essere la razza prescelta. Abbiamo insito sotto pelle il gene della morte, dell’assassinio, del sangue, da Caino e Abele, per chi crede, in avanti. Se esiste il Male, ne siamo l’incarnazione perfetta. Kaemmerle tocca vari periodi storici e diversi nazioni, ma il discorso è in divenire e intercambiabile e, purtroppo, potrebbe sempre essere aggiornato con nuove avventure dei nostri prodi eroi. Dietro di lui l’orchestra che lo sosteneva anche in Balcanikaos e che tange ogni cultura con musiche di repertorio che toccano le coscienze popolari (anche Kurt Weill-Brecht), le tradizioni conosciute, l’immaginario collettivo senza sconfinare nel trito compassato. Nessun popolo è immune alla malattia della guerra e della voglia di sottomettere ai propri voleri il vicino chiamato indifferentemente barbaro, straniero, nemico, avversario, oggi extracomunitario, immigrato oppure soltanto i diversi da sé.

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Il pagliaccio ci mostra realmente come siamo, ci mette davanti al naso lo specchio per farci vedere di cosa sono stati capaci i nostri avi ed antenati e di che pasta putrescente siamo fatti. Salta, scherza sul sangue, sui milioni di morti che ingiustamente vengono accostati soltanto ad Hitler ed ai lager nazisti. Il grande mestiere accumulato in questi anni di teatro di strada lo aiuta palleggiandosi da un argomento all’altro, trovando passaggi insperati, tenendo in pugno il pubblico, tra uno schiaffo ed una carezza, un’atrocità vera ed un gioco mentre ci racconta di Congo e Cambogia, di Ruanda e Bosnia. E’ un Piccolo Diavolo impertinente e irriverente che si prende in giro del nostro buonismo da quattro soldi, che ci mette di fronte al lassismo dei benpensanti, quelli che cliccano “mi piace” sulla fine del conflitto israelo-palestinese ma che poi in concreto non fanno assolutamente niente per cambiare le cose. L’Armenia, la Siria, l’Afghanistan, la Cecenia gridano quella vendetta che soltanto l’arte, il teatro, il racconto, la narrazione, anche e soprattutto con termini fintamente leggeri, possono dare.

Visto a Persignano Terranuova Bracciolini (Arezzo) il 12 luglio 2014

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