Arte — 15/04/2024 at 17:11

Ai Weiwei presenta Neither Nor. A Galleria Continua si apre la nuova Stagione artistica

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RUMOR(S)CENA – SAN GIMIGNANO – (SIENA) – Nato a Beijing nel 1957, nel 1978 Ai Weiwei si iscrive all’Accademia cinematografica dove studia animazione e, a soli 23 anni, come co-fondatore del collettivo Stars, espone nella prima mostra contemporanea in uno spazio artistico di una certa rilevanza nella Repubblica Popolare Cinese. Emigra già nel 1981 negli  Stati Uniti, dove vive fino al 1993. Del periodo newyorkese, oltre all’amicizia con uno del padri della Beat Generation, Allen Ginsberg – l’autore dell’ormai mitico Howl – restano gli scatti della serie New York Photographs.

Tornato in patria, nel 1999 si trasferisce a Caochangdi, dove per la prima volta si confronta con l’architettura progettando la sua casa-studio e – appassionatosi a questa forma creativa che nasce dalla fusione di genio artistico e necessità pratica – fonda il FAKE Design, nel 2003. Arriva a Berlino nel 2015 – dopo essere stato arrestato, nel 2011, per evasione fiscale (tara che pare accomunare imprese e imprenditori, calciatori e artisti, in ogni parte del mondo) – ma vi resta solo quattro anni e, annunciando che quella tedesca “non è una cultura aperta”, prende il volo per la gelida Albione. Ma già nel 2021 si trasferirà nuovamente, questa volta in Portogallo – al momento la sua residenza ‘stabile’.

Sempre facendo un passo indietro, tra i molti lavori di una carriera poliedrica, ricordiamo Beijing 2003, ossia 150 ore di girato che raccontano la capitale cinese attraverso 2400 chilometri di vie, anche le più laterali e nascoste, di un centro cittadino oggi totalmente rivoluzionato dall’impetuoso sviluppo urbanistico successivo. Se ne apprezza non solamente il valore storico e documentario ma anche un’assenza di giudizio estetico che lascia allo spettatore la libertà di apprezzare o criticare le scelte posteriori. Altro progetto, insieme curioso e radicale, è Fairytale, che ha partecipato all’edizione del 2007 di Documenta. Ai Weiwei decise di invitare 1001 cittadini cinesi di varie età, cultura e status sociale a Kassel, per sperimentare una favola (come da titolo) in proprio. Il risultato è un film di 152 minuti che documenta la preparazione e il dietro le quinte oltre al risultato finale di questa esperienza artistica e umana – a livello individuale e collettivo. Molto interessante, sempre nel settore videoartistico, il Fukushima Art Project, che documenta quel che resta del sito che fu al centro del disastro nucleare giapponese (le cui conseguenze continuano a essere devastanti, visto anche lo sversamento delle acque radioattive nell’oceano), oltre che il processo che ha portato Ai Weiwei a elaborare ben due installazioni su invito del gruppo giapponese, Chim↑Pom. Notevole sia a livello emozionale sia concettuale. l’installazione che Ai Weiwei ha pensato site-specific per una delle zone espositive, ricomprese nell’area interdetta dopo il disastro nucleare. Intitolata, A Ray of Hope, la stessa è formata da un sistema fotovoltaico posizionato al secondo piano di un vecchio magazzino, che fornisce energia a un sistema luminoso a led che si accende automaticamente due volte al giorno, ridando luce e, metaforicamente, speranza a un deserto di rovine e solitudine. 

Ma Ai Weiwei è famoso, oltre che per le sue produzioni filmiche e fotografiche, per le sue installazioni in cui prevale il calore e la malleabilità del legno, ma per le quali ha utilizzato anche materiali apparentemente poco ‘artistici’, scelti con la consapevolezza del loro valore simbolico.
Tra i tanti lavori, segnaliamo quello che ci ha maggiormente colpiti, presentato alla Biennale di Sidney nel 2018, ossia Law of the Journey, in cui sia le 258 figure di migranti sia il barcone lungo 70 metri sul quale sono stipate, sono fatti di materiale gonfiabile: quasi che l’essere umano non sia niente di più di un pezzo di uno tra i tanti gommoni coi quali è disseminato il nostro Mediterraneo.

Contemporaneamente, però, avvertiamo come l’essere umano, in quanto tale, possa essere leggero quanto l’aria – l’habitat naturale in cui vivono gli uccelli, liberi di migrare, a differenza di uomini e donne (ricordiamo anche il capolavoro teatrale di Agrupación Señor Serrano sul medesimo argomento, ossia Birds). Ancor più interessante il fatto che Ai Weiwei, con quest’opera ospitata in Australia, indirettamente punti il dito anche contro la politica di quel Paese che respinge le navi che tentano di attraccare illegalmente, relegando i migranti sull’isola di Manus, in Papa Nuova Guinea, e a Nauru – come farà grazie, all’Illegal Migration Bill, il Regno Unito, che vorrebbe deportare e rinchiudere i migranti in campi, situati in Rwanda (1).

E veniamo ora alla personale che dedica Galleria Continua ad Ai Weiwei negli spazi della sede di San Gimignano. Due gli elementi base. Da una parte, i mattoncini della Lego – reinterpretati per regalare riproduzioni di opere famose con un oggetto ‘disturbante’ all’interno della composizione. Dalla Venere dormiente di Giorgione e Tiziano Vecellio con gruccia, al Ratto delle Leucippidi di Rubens con panda, fino all’Ultima Cena vinciana in cui Ai Weiwei ha introdotto se stesso tra i discepoli (un po’ come faceva Alfred Hitchcock nei suoi film) respiriamo una leggerezza e giocosità che l’artista cinese aveva dimostrato raramente in passato.

Nel 2014 l’artista si era già confrontato, infatti, con i mattoncini della Lego quando aveva ritratto 176 prigionieri politici e di coscienza, ponendo l’installazione originale sul pavimento della Prigione di Alcatraz a San Francisco (istituto penitenziario famoso per la sua brutalità, come raccontato nel bellissimo film L’isola dell’ingiustizia – con un Kavin Bacon da Oscar).

Sempre a San Gimignano, ospitato nell’affascinante Torre, ecco il secondo elemento materico che ci ha conquistati, il bambù. Huantou Guo è un’opera monumentale (alta 2 metri e mezzo e con un’apertura alare di 4 metri) ricchissima di significati e stratificazioni semantiche, storiche e culturali. Un angelo miltoniano padrone all’inferno invece che servo in paradiso o l’essere umano stesso, decaduto ma possente, e ancora capace di volare alto? In entrambi i casi lo vediamo in equilibrio (o padrone?) tra i due opposti ontologici, tra il simbolo cristologico del pesce e quello demoniaco del serpente. Tra redenzione e peccato, questo angelo decaduto pare lo specchio di ogni visitatore.

E infine una nota sugli sgabelli di legno, che occupano l’intera platea della sede espositiva di via del Castello. Mondo/universo o assenza? Nella statua all’ingresso, intitolata Grapes, come nell’installazione, Stools, a ognuno trovare significati per quello che potrebbe sembrare un oggetto di artigianato o di arte povera ma che, nella moltitudine, rimanda a una collettività omologata come in 1984 di George Orwell. Sebbene, nonostante tutto, nella leggera differenza, di forma o colore, ogni sgabello paia rivendicare la specificità propria di ognuno di noi, l’impossibilità per l’ingranaggio capitalista di trasformarci in oggetti interscambiabili di produzione di plusvalore.

La mostra sarà visitabile fino a domenica 15 settembre 2024, dal lunedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00 in via del Castello, 11, a San Gimignano.


Nella foto: Veduta generale della mostra, San Gimignano, 2024, Courtesy: AI WEIWEI STUDIO and GALLERIA CONTINUA, Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio (in primo piano Grapes (2017) e, alle sue spalle, Sleeping Venus with coat hanger (2022).

(1) https://www.inthenet.eu/2023/09/29/uk-illegal-migration-bill-come-la-gelida-albione-si-trincera/


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