Teatro, Teatro recensione — 13/11/2023 at 10:03

Il perturbante, ovvero “Non Commettere atti impuri”

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Più che un teatro “fuori circuito”, cui pure con intelligenza ed interesse si rivolge il progetto “da Salotto” di Alessandra Fabretti promosso e ospitato dal Teatro Garage di Genova, è un teatro”in corto circuito” quello andato in scena con questa inquietante e urticante drammaturgia di Roberto De Sarno. Già il titolo con cui si presenta, Non commetere atti impuri appunto, riconduce inevitabilmente ad ombrosi recessi di una mente in formazione, inestricabilmente esistenziale tra infanzia abbandonata ma non dimenticata e maturità che sembra inattingibile, ai luoghi di confessioni protette ma falsamente liberatorie. In un tempo di rivoluzioni e ‘transizioni’ di genere, spesso senza risoluzioni, in cui emergono i tanti ‘ismi’ che talora ci ingannano, con questa pièce sul palcoscenico, come raramente accade, sale la crisi del maschile, anzi del ‘Maschio’ tout court che è, come sta venendo per fortuna in coscienza di molti, il vero ‘non detto’ di questa transizione-rivoluzione che sembra man mano segmentarsi liquefacendosi nella perdita di un universale ‘naturalmente’ e collettivamente condiviso o condivisibile.

È una scrittura non solo crudele, nel senso illuminante e significante che la crudeltà assume su di sé in teatro rinnovando e quasi incistando Antonin Artaud con l’altrettanto spiazzante Angelica Liddell, è anche una scrittura ‘cattiva’ in cui le dissociazioni e le perversioni sessuali sono in qualche modo viste da ‘dentro’, più che nei loro effetti sull’altro o sull’altra che sono sempre lontani, e difensivamente schermati da un velo che è onirico e quasi ‘automatico’ come una narrazione surrealista. Cattiva ma non ‘oscena’, poiché è una scrittura che guarda all’intimità’ dell’uomo e dunque, come diceva Grotowski e praticava Fassbinder, osceno è solo ciò che perde quella intimità da cui si palesa con dolore.

Una narrazione non solo vista dentro un maschio, singolare esistenzialmente e insieme metafisicamente metaforico di sé stesso, ma ripercorsa quasi a partire da una grottesca storia della ‘Creazione’ che disegna lo stigma della imperfezione e della parzialità che forse neanche il successivo dono-creazione della donna compagna (solo narrata peraltro) sembrerebbe in grado di completare. Un dono che quell’Adamo, marionetta dinoccolata e oscena che ricorda nei suoi movimenti il grande Totò (spesso più profondo e crudele di quanto si voglia ammettere), non sembra in grado di capire e così deforma e distorce in comportamenti aggressivi e di sopraffazione (di cui il Patriarcato è la summa) che nascondono a mala pena la intima fragilità che li muove, come se gli fosse stata affidata una missione che non è in grado di assolvere.

Tutto questo è il segno di una ‘immaturità’, dell’immaturità di un maschile che oscilla tra o trionfalismi beceri del latin lover, macchietta comica del tragico Don Giovanni, e regressioni ‘opache’ ad una infanzia mai veramente vissuta, come nella grottesca scena finale che trasforma l’unione tra uomo e donna, normata nel matrimonio a schema patriarcale, in un gioco angosciante e senza prospettive. Ciao Maschio ci dice la drammaturgia, usando le parole del famoso film di Marco Ferreri, questa drammaturgia dal pessimismo profondo, un ‘ciao’ detto dal maschio a sé stesso in attesa forse, anche se la speranza è appena un lumicino, di dissodare nuovi e più creativi territori fuori dal “Paradiso Perduto”, su cui forse il femminile già si avventura, guardando finalmente ciò che siamo gli uni per gli altri, anzi gli uni per le altre in tutte le declinazioni possibili.

Roberto De Sarno, allievo tra gli altri di Danio Manfredini e di Pippo del Bono di cui però non segue quel particolare lirismo che li anima, si dimostra intelligente nella scrittura e bravo nell’interpretazione che trasforma il suo viso e il suo corpo in una maschera fluida che ogni volta determina una figura dalla mimesi coinvolgente, tra grottesco e ironicamente malvagio, come ad esempio nel prelato che si confessa o nell’uomo ‘comune’ che sfoglia, come un guardone, le notizie di rotocalchi dai toni quasi pornografici.

Una mimesi che condiziona e crea lo scenario, tra poche cose di scena, cui si rapportano con coerenza le sue due compagne di scena, le sempre significativamente ‘silenziose’ Raffaella Migliori e Manu La Bibi. Uno spettacolo difficile, perturbante e per questo fa riflettere, che fa parte dello più complesso studio sui “Dieci Comandamenti” condotto dal suo autore, da apprezzare perché aggredisce temi scottanti con i quali la società volente o nolente è costretta a confrontarsi, fatto di quel materiale che per Freud viene prevalentemente rimosso e che è in grado di produrre plurime e non sempre coerenti ‘interpretazioni’.

Nella piccola ma accogliente Sala Diana del Teatro Garage di Genova, venerdì 10 novembre. Il pubblico (ne avrebbe meritato ben di più) è rimasto colpito e come un pugile è andato al tappeto, rimanendo quasi in pausa prima di applaudire.

Non Commettere Atti Impuri o la boutique humaine (V. M. 14). Compagnia Pop.Opera. Di e con Roberto De Sarno, con la partecipazione di Raffaela Migliori e Manu La Bibi. Sound & light design Piermarco Lunghi, assistente di scena Myriam Sokoloff, produzione Pop.Opera in residenza presso Nunc, Castiglion Fiorentino (AR) con il sostegno del Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), Comune di Castiglion Fiorentino. Un ringraziamento particolare a Jacopo Bucciantini e L’Ulcera del signor Wilson / Sosta Palmizi.

Consigli per la lettura

Sigmund Freud, Il perturbante, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio,
Bollati Boringhieri 1991

https://www.istitutosvizzero.it/wp-content/uploads/2018/09/ISR_StudioRoma_Freud_IT1.pdf

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