Teatro, Teatro recensione — 12/12/2022 at 13:48

Il ben-altro mondo possibile

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RUMOR(S)CENA – PRATO – Firenze – Vladimir e Estragon aspettavano, mentre Nic e Nac sono di un’altra pasta. Certo, il deserto senza venti né tempeste è lo stesso, ma l’umanità di cui i personaggi di Fratellina sono rappresentanza, è ben più smaliziata. Basta sentirli parlare Nic e Nac, per rendersi conto che la sanno lunga quei due. Sono veterani del paradosso, reduci tanto dell’informazione come del sentito dire, attrezzati biologicamente ai rovesciamenti di una realtà i cui trucchetti, con loro non attaccano più. Riescono persino a vedere chiaramente l’ opportunità offerta da quel posto dimenticato da tutti: una bella botta di oblio per ricominciare da capo. Scusi tanto Signor Beckett, altro che GO e DOT: qui c’è da fare! C’è da creare una realtà diversa e per farla, c’è bisogno di cose e soprattutto di persone diverse. Insomma ci vuole ben altro e quindi… tocca rimandare. Perchè Nic e Nac non aspettano, rimandano casomai.

Al Fabbricone di Prato, l’ultima creazione della Compagnia Scimone Sframeli prodotta dal Teatro Metastasio, ha restituito il piacere di ritrovare i meccanismi di Aspettando Godot alle prese con aspetti sfumatissimi del contemporaneo, che il testo ha centrato con puntualità: il cambiamento raccontato come necessario, ma sempre rimandato e demandato in nome di un benaltrismo compulsivo, della deresponsabilizzazione rispetto a ogni colpa o dovere. Quando Nic e Nac conoscono il loro dirimpettaio, anch’egli autoconfinato in cima a una torre di letti a castello, si complimentano per la sua eleganza e aggiungono: “C’è bisogno di una persona ben vestita come lei, nella nuova realtà che stiamo cercando”. “Ma questo vestito…”, chiarisce subito l’altro “ non è mio, è di mio cognato”.

Prato, teatro Fabbricone- “Fratellina” di Spiro Scimone, regia di Francesco Sframeli. Nella foto Spiro Scimone e Gianluca Cesale. Foto di Gianni Fiorito

Immediatamente l’attenzione di tutti si sposta su questo invisibile personaggio: si scopre che a causa della sua troppa generosità, il cognato del distinto signore è stato imprigionato dentro a un armadio e dunque, bisogna liberarlo. Ma proprio nel momento in cui l’armadio verrà miracolosamente ritrovato, nessuno vorrà prendersi la briga di aprirlo e di determinare la sorte di quel povero “cognato di Schrodinger”. Ogni personaggio di Fratellina vuole e potrebbe, ma nel potere subodora la fine della potenzialità, il multiverso del possibile del quale reclama diritto di cittadinanza, aldilà dei paventati desideri di riscatto o di fuga.

Prato, teatro Fabbricone- “Fratellina” di Spiro Scimone, regia di Francesco Sframeli. Nella foto Giulia Weber e Gianluca Cesale. Foto di Gianni Fiorito

Come in Aspettando Godot, anche Nic, Nac, il distinto signore e la sua inconsolata sorellina, sanno di esser parte di un’umanità; ma l’idea è di trovarsi di fronte non tanto a un ritratto, quanto a un autoritratto dell’esistenza umana: c’è qualcosa dell’istantanea nella penna di Spiro Scimone, qualcosa di anti-monumentale rispetto allo “waiting” beckettiano. Alla densità si preferisce un largo tra frasi e in questa drammaturgia dilatata, l’azione raccontata emerge dall’ apparente immobilità della rappresentazione. Si entra in un territorio affascinante riflettendo sulla reazione del pubblico al linguaggio di Fratellina: in un contesto più situazionale che assurdo, tutto ciò che viene detto, per quanto desueto e stravagante, risulta invece comprensibile e addirittura sensato. Ma allora, è Scimone che fa un uso moderato dell’assurdo, oppure è il pubblico che, nell’assurdo, ormai ci vive?

Prato, teatro Fabbricone- “Fratellina” di Spiro Scimone, regia di Francesco Sframeli. Nella foto Francesco Sframeli. Foto di Gianni Fiorito

Altro effetto sorprendente del testo, dove la bravura degli attori ha davvero un ruolo centrale, è lo spazio tempo in cui le allusioni hanno modo di lievitare: ad esempio, l’elemento della sessualità aleggia sin dall’inizio dello spettacolo, ma attende lo sviluppo tematico per poi irrompere opportuno e giustificato, quando la sorellina del distinto signore si offre a Nic e Nac. Le dinamiche relazionali e psicologiche di quei personaggi che rifuggono la responsabilità, non possono che tradursi nel disimpegno, sia nell’offrire il proprio corpo che nel prendersi carico dell’azione affettiva. Del tiepido insuccesso il pubblico ride, lo trova plausibile: ma davanti a noi è stato appena disinnescato e rifondato un meccanismo classico della commedia dell’arte, attraverso la creazione di nuovi caratteri umani perfettamente funzionanti.

Le scene di Lino Fiorito, le luci di Gianni Staropoli: tutto l’impianto dello spettacolo è un rado arcipelago di suggestioni scarne, come lo sono i dialoghi tra Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale e Giulia Weber. Eppure in questo tessuto dalle maglie larghe è proprio il vuoto, il non detto, a trasmettere un’infinità di informazioni: si accenna appena a coloro che hanno imprigionato il cognato, ma ciò basta a rivelarci l’esistenza di una forza antagonista, e che quindi ci troviamo nell’orbita della distopia. Il meticoloso disinteresse dei personaggi a confrontarsi con queste fantomatiche forze, tacitamente assunte all’ovvietà dell’ incontrovertibile, trasforma la quarta parete in uno di quegli specchi in cui ci si imbatte all’improvviso, riconoscendo solo dopo un secondo la nostra immagine riflessa.

Prato, teatro Fabbricone- “Fratellina” di Spiro Scimone, regia di Francesco Sframeli. Nella foto Gianluca Cesale. Foto di Gianni Fiorito

Forse, la realtà come la conosciamo è esaurita e deve essere superata; ma in scena non ci sono i malanni del mondo. Là sopra c’è l’attrazione entropica verso la resa, la rinuncia al determinato che da umani, pensiamo di rendere esclusivamente umana dandogli un nome: svolta, rivoluzione, salto, fuga. Ma anche gli insetti, nel loro ticchettante linguaggio, urlano forte la parola cibo, prima di gettarsi in picchiata verso la luce.

Visto in prima nazionale al Fabbricone di Prato, il 6/12/2022

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