Culture, editoria, racconti, poesie, Interviste — 10/10/2020 at 18:23

“Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare”: Cristina Cassese, autrice del podcast Nomadismo professionale.

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RUMOR(S)CENA – “Per la stessa ragione del viaggio viaggiare”, citando un verso di una poesia di Fabrizio de André dedicata ai nomadi in continuo spostamento. Moto a luogo, andare verso.… ha affascinato l’uomo da sempre, fin dai tempi dei tempi, l’intera letteratura ci parla di scoperte avanzate dalla curiosità dell’uomo. E non si parla soltanto di terre; bensì di atteggiamenti, di culture, di volti nuovi. Di innamoramenti verso il diverso, il segreto di ciò che può muovere il mondo. Autrice e formatrice, Cristina Cassese è una donna che la curiosità ce l’ha nel suo DNA fin da piccola. Nasce a Taranto nel 1982, specializzata in Antropologia culturale con una tesi sperimentale sul teatro africano contemporaneo, si occupa principalmente di rappresentazioni e stereotipi con particolare attenzione alle arti performative. Collabora con diverse realtà pubbliche e private a progetti educativi e divulgativi. Nel 2019 ha pubblicato “E io avrò cura di te. Guida alle professioni di cura domiciliare” (edizioni Aracne) e dal 2020 è autrice del podcast “Nomadismo Professionale”.

Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.”

(RYSZARD KAPUSCINSKI, In viaggio con Erodoto)

Quanto di lei ritrova in questa affermazione?

«Sono totalmente d’accordo, il viaggio comincia ben prima di partire fisicamente. Già da casa immaginiamo il luogo che visiteremo, ci documentiamo in proposito e si forma così nella nostra mente una certa idea di come sarà la nostra meta. Quando poi arriviamo facciamo i conti con la realtà che abbiamo immaginato e che quasi mai corrisponde alle nostre fantasie. Allo stesso modo, quando torniamo, rielaboriamo le esperienze vissute altrove, le raccontiamo ai nostri amici, le rievochiamo attraverso i ricordi. Il viaggio diventa così una parte profonda, intimissima della nostra vita e questo ci fa venire voglia di partire di nuovo».

Cristina Cassese

Perché ha scelto il viaggio come altro stile di vita?

«Sono una persona molto curiosa e la diversità mi affascina moltissimo. Anzi, direi proprio che mi “seduce”, in senso letterale, mi porta a sé. Vengo da una famiglia di campeggiatori e credo che questa passione sia nata proprio così, grazie alle tante esperienze di incontro e di convivenza con gli altri. Crescendo mi sono resa conto che il viaggio è la dimensione che mi permette di nutrire la mia umanità, più di qualsiasi altra cosa. Spostandomi e conoscendo altre persone, altre realtà, altri modi di vivere, il mio orizzonte si allarga e già solo questo è per me enormemente gratificante. Eric J. Leed nel suo saggio “La mente del viaggiatore” descrive l’esperienza del viaggio come transitoria: si parte e, prima o poi, si torna ed è proprio questo andare e tornare che determina un progressivo abbandono di qualsiasi forma di assolutismo. Viaggiare significa cambiare continuamente prospettiva e concedersi molte opportunità di stupore e meraviglia: ecco perché non riesco proprio a farne a meno».

Alluniversità ha scritto una tesi sul teatro africano contemporaneo. Perché questa scelta? Ci racconti da dove le è nata l’esigenza di stendere questo suo progetto e come è stato?

«L’idea della tesi non è venuta a me, a dire la verità, ma a Marco Aime, il mio professore di Antropologia culturale. E’ stato lui a parlarmi di alcuni giovani teatranti che aveva conosciuto durante una delle sue ricerche sul campo in Benin, in Africa occidentale. Il suo racconto mi incuriosì moltissimo proprio perché non riuscivo a immaginarmelo questo “teatro africano”: nella mia testa c’erano solo riti e rituali voodoo, maschere e danze apotropaiche e cose simili. Quello che mi raccontava Aime, invece, sembrava un teatro d’improvvisazione, quasi sperimentale e soprattutto molto connesso alla contemporaneità, ai luoghi, in particolare a quelli rurali, lontani dalle città e dalle metropoli. Un teatro in cui convergevano aspetti tradizionali, legati al patrimonio performativo dei griot e delle griottes, e tematiche di grande attualità e valore sociale. Così ho deciso di andare a vedere con i miei occhi. Ed effettivamente mi sono trovata di fronte a degli artisti che mescolano tradizione e sperimentazione, veicolando messaggi importantissimi e stimolando veri e propri dibattiti con il pubblico che durano anche molte ore dopo la fine della performance».

Cosa sono i segni per lei?

«Sono tutto ciò che ci parla di noi, che ci racconta qualcosa che ci riguarda anche se apparentemente ha a che fare con altro».

Ne sta lasciando uno molto importante con il suo podcast “Nomadismo professionale”. È nato in periodo Covid-19. Come si è sentita a ripercorrere a occhi chiusi i suoi cammini, studi ?

«Nomadismo Professionale è nato quasi per gioco: volevo cimentarmi in nuove forme di scrittura e condividere studi ed esperienze raccontandole in modo informale e accessibile. Il podcast si è rivelato il formato ideale. La cosa sorprendente è che, lavorando agli episodi, metto a fuoco molto più chiaramente i temi di cui mi occupo. La nostra è una società complessa e stratificata, per provare a comprenderla serve tempo, riflessione, attenzione: il podcast mi sta dando l’opportunità di misurarmi con tutto questo senza fretta e per il semplice piacere di farlo. Poi l’interazione con chi mi ascolta è stata da subito molto arricchente e stimolante».

Cristina Cassese

Le tematiche: sono varie tra cui anche il genere uomo e donna “sole e luna, la logica binaria che ci induce a ragionare spesso per dicotomie” ma illumina e giustifica che il mondo arcobaleno è non soltanto un simbolo ma….(…) Come mai Le sta molto a cuore questa tematica?

«Sono convinta che le istanze del femminismo intersezionale costituiscano l’urgenza primaria del nostro tempo. Attraverso l’analisi di questi temi costruiamo la cassetta degli attrezzi necessaria per comprendere la complessità delle società attuali e della nostra stessa umanità. Come sostiene Donna Haraway, la vera entità del mondo è nel molteplice, nel plurale, nel variabile. Grazie agli studi di genere e all’antropologia culturale possiamo percepire concretamente il valore immenso della diversità e quindi vivere meglio tutti e tutte».

Cosa vede che sta accadendo tramite media, a tal riguardo, e non soltanto dal punto di vista antropologico? Salti avanti o passi indietro?

«Salti veri e propri forse ancora no però, tutto sommato, mi sembra che i media stiano offrendo possibilità di informazione e di interazione molto interessanti. Quello che secondo me ancora manca è l’educazione, sia agli strumenti della comunicazione odierna che al riconoscimento e alla gestione delle emozioni».

Cos’è per lei la cultura?

«Rispondere a questa domanda è molto difficile. Il concetto di cultura è sfuggente: la cultura è la lingua, le tradizioni, le abitudini, la storia della società di cui facciamo parte ma è anche tutto quello che arriva attraverso l’alterità e che, in qualche misura, ci risuona, ci piace, ci è utile. Le culture non sono monadi statiche e a sé stanti ma cambiano, si evolvono, si mescolano con altre culture. Aime le definisce come “recinti aperti”: racchiudono elementi specifici ma al tempo stesso possiedono una permeabilità che è essenziale, oserei dire vitale».

Ama molto leggere e diffondere questo piacere. Quando ha iniziato a viaggiare tra le righe di un libro? E cosa Le ha attratto tanto da non smettere mai più?

«Ho imparato a leggere a cinque anni grazie a mio nonno che un’estate mi mise sotto il naso l’Odissea di Omero: il primo libro che ho letto era dunque la storia di un viaggio e forse anche per questo le due attività, leggere e viaggiare, sono per me così affini. Ricordo benissimo quella sensazione meravigliosa di riuscire, piano piano, a decifrare le lettere mentre nella mente si susseguivano le immagini: credo che sia questo ciò che mi ha conquistata all’istante. Leggere è viaggiare stando fermi con il vantaggio che puoi farlo non solo nello spazio ma anche nel tempo. E curiosando negli affari degli altri».

Il mondo è…?

«Diversità, molteplicità».

Come vede il Teatro oggi?

«Per me il teatro è il più potente mezzo di comunione e condivisione tra sconosciuti. Secondo una recente ricerca condotta da un gruppo di neuroscienziati, assistere ad uno spettacolo teatrale determina la sincronizzazione del battito cardiaco dei partecipanti. Il teatro ci fa battere il cuore all’unisono, letteralmente. È una delle più grandi magie di cui gli esseri umani sono capaci».

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