Teatro, Teatrorecensione — 09/06/2013 at 16:43

L’urlo dell’umanità alla deriva in Hotel Belvedere secondo Paolo Magelli

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Riconducibile al movimento espressionista responsabile di aver rivoluzionato il linguaggio artistico che contrapponeva all’oggettività dell’impressionismo una visione prettamente soggettiva, un artista che si riconosceva in questa cultura tendeva a privilegiare e ad esasperare l’emotività dei fenomeni reali rispetto alla percezione oggettiva. Nel campo delle arti l’espressionismo ha assunto una connotazione precisa e fortemente critica, anche nei confronti dell’ordine sociale, operando per contrasti e rotture estetiche e visuali, come nel caso della pittura e architettura. Nell’espressionismo rivolto al teatro si è assistito alla nascita di opere satiriche anche violente. Drammaturgie in cui emerge un pensiero pessimistico e drammatico nell’affrontare realtà come la guerra condannata senza mezzi termini.

Un teatro che evolverà nell’epico e nel sociale brechtiano. L’opera Hotel Belvedere di Ödön Von Horváth trova sicuramente una sua collocazione giustificabile all’interno di questo modello di pensiero culturale che si fa portavoce di un disfacimento morale e sociale incombente in tutta Europa. E infatti, la prima stesura del suo testo si intitolava Hotel Europa per poi modificarlo in Al Belvedere. L’Europa di Von Horváth è sull’orlo di un precipizio in cui precipitare e l’autore ne è consapevole. Dentro il suo hotel fa vivere il peggio dell’animo umano che si possa immaginare. Un cinismo imperante circola al suo interno dove albergano uomini e donne che sembrano essere alla deriva nell’impotenza di riuscire a dare senso alla loro vita sciagurata e fallimentare. Sono affetti da un virus che dilagherà da lì a poco infettando l’Europa intera. L’odio che alimenterà un conflitto mondiale.

Il regista Paolo Magelli firma una versione tradotta per il Teatro Metastasio di Prato e la porta in scena con esiti contrastanti. La sua mano registica è riconoscibile immediatamente nell’imprimere all’azione scenica una recitazione esasperata e frenetica dai toni sopra le righe. Scelta realizzata senza mezzi termini. La trama racconta di un odio sviscerato tra le persone che albergano nell’hotel, metafora di qualcosa simile ad un luogo di convivenza forzata dove il conflitto esacerbato dalle diversità può esplodere da un momento all’altro. Magelli chiede agli attori di alzare i volumi sonori e la loro gestualità si fa esasperata. Il risultato determina reazioni anche scomposte e fastidiose. Si comprende bene l’intenzionalità drammaturgica frutto di un pensiero meditato anche se a tratti sembra un’esaltazione parossistica. Per la prima volta tradotto in italiano, Hotel Belvedere è la rappresentazione del degrado di cui è affetto l’essere umano. L’Uomo di Ödön Von Horváth è abbruttito dal suo stesso mal vivere e lo riversa su i suoi simili in un feroce lotta antagonista dove nessuno uscirà vincitore. Da una parte i personaggi di sesso maschile a rappresentare il fallimento, il disprezzo per il prossimo, la brutalità di un omicida seriale colpevole di aver assassinato tre donne, un uomo capace di abbandonare una giovane donna dopo averla messa incinta. Dall’altra donne senza scrupoli dove il suo denaro è il mezzo per acquistare chiunque.

Una giovane sventurata e delusa per essere stata usata e scartata. Un’altra più matura si rende conto che con l’avanzare dell’età le sue sicurezze franano perdendo il fascino che conquistava quando era più giovane. Entrambe sono vittime di carnefici maschili. La sensibilità e la bellezza femminile calpestata dalla brutalità e dalla volgarità dell’uomo. Specchio di un’umanità che l’autore vede come degenerata in balia di eventi funesti. L’Hotel Belvedere è un incubatore dove si sta sviluppando un terribile virus che contaminerà tutta l’Europa e Magelli intende darne voce con una recitazione che travalica sempre chiedendo agli attori di “urlare”. Un urlo che in alcuni casi può risultare idoneo nello spiegare le dinamiche conflittuali ma che alla lunga stanca e affatica la visione. Come una certa gestualità nelle azioni che provocano reazioni di odio per le relazioni venutesi a creare tra i vari protagonisti, dettate dalla drammaturgia e dalle note dell’autore presumibilmente. Il disorientamento nasce quando la cattiveria umana, gli istinti sadici, la malevolenza dell’uomo, la sopraffazione del più forte che schiaccia il più debole, sono descritti come azioni descritte all’ennesima potenza.

Gesti repulsivi, malesseri come il vomito, abitudini malsane come il ruttare o emettere altri rumori corporali diventano azioni grottesche. Una sorta di non ritorno dove tutto implode e non lascia spazio alla riflessione da parte di chi assiste e non ha la possibilità di rielaborare una sua personale visione dei fatti. Risulta efficace e metaforicamente ben riuscita la scena del banchetto consumato dove viene divorata a morsi la cartina geografica dell’Europa quasi un pasto famelico dove si evidenzia come il potere di pochi uomini -”cannibali” si alimentino dei propri simili. Agli attori il regista chiede uno sforzo fisico e mentale immane dove l’adesione al progetto registico è totale. Una fusione apprezzabile se vista come coesione all’interno di un percorso ma anche in questo caso scontata a priori.

Tra tutti si distinguono le prove offerte da Marcello Bartoli per la sua interpretazione carica di una valenza negativa capace di esprimere il male incarnato nell’uomo, Mauro Malinverno nei panni di un nobile cinico e spietato e Cecilia Langone, la giovane ragazza la cui dignità verrà insultata e maltrattata. Con loro dividono le sorti con innegabile convinzione Francesco Borchi, Daniel Dwerryhouse, Fabio Mascagni, Valentina Banci. Le musiche di Alexander Balanescu sottolineano e amplificano l’urlo collettivo che risuona sinistro nelle stanze di un hotel dove non c’è speranza per l’uomo.

 

Visto al Teatro Metastasio di Prato il 14 aprile 2013

 

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