Co-Scienze — 06/07/2022 at 10:11

La Marmolada e le sue vittime travolte dal ghiaccio e dalla neve

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RUMOR(S)CENA – Nell’estate del 2015, in occasione dell’inaugurazione del Museo della Grande Guerra sulla Marmolada, avvenuta il 27 giugno, il racconto di quella giornata citava anche un passato tragico segnato da una immane tragedia, che alla luce di quanto accaduto il 3 luglio scorso, rimbalza sinistramente alla memoria: (….) Lo sguardo è rivolto all’insù in attesa di salire nella cabina della funivia, che da Malga Ciapèla porta in pochi minuti fino ai 3000 metri di Punta Serauta, sulla cima della Marmolada. Sono istanti e non ore e ore di faticoso cammino nella neve e nei ghiacci, come accadeva cento anni fa per i soldati italiani e austriaci, mandati a combattere su queste cime impervie, dove oggi salgono comitive di turisti e sciatori, si possono vedere sbucare le marmotte da dietro i sassi mentre in cielo librano leggeri i corvi. Non si conosce cos’è la fatica mentre si prova una sana ebbrezza, resa possibile dalla vista panoramica che si perde a vista d’occhio: nelle giornate di cielo terso è possibile ammirare il luccichio della laguna veneta e il campanile di San Marco di Venezia. Sono gli occhi di persone libere, non certo quelli di chi era intento a scrutare incessantemente le postazioni nemiche, rischiando la vita per un colpo di baionetta, una raffica di mitragliatrice, o lo scoppio di un ordigno. Ma non erano solo le armi che uccidevano: in realtà si contano poche vittime a causa delle ferite riportate. La neve e le valanghe travolgevano centinaia di uomini (220 austriaci furono travolti da una sola valanga il 13 dicembre del 1916), il freddo (temperature che arrivavano anche a meno 30 gradi sotto zero) e gli stenti patiti per le condizioni ambientali, facevano il resto.

Tutto questo accadeva negli anni della prima guerra mondiale tra il 1915 e il 1917. «Durante il primo inverno di guerra le abbondanti nevicate provocarono con il disgelo colossali valanghe che causarono, nel marzo del 1916, migliaia di vittime civili e militari. (…) Le gallerie scavate sotto la superficie del ghiaccio servirono a raggiungere le postazioni avanzate che esistevano sopra il manto gelato. In profondità furono realizzate anche delle caverne dove gli austriaci costruirono delle baracche di legno per adibirle a dormitori, infermeria, magazzini, e zone dove i soldati potevano radunarsi quando cessavano i combattimenti. Un insediamento abitativo di 300 soldati che fu denominato “Eisstadt” (Città di Ghiaccio), scomparsa nel 1922 a causa dello scorrimento verso valle del Ghiacciaio» .

Le vittime dell’Esercito AustroUngarico e anche tra le file dell’Esercito Italiano, furono travolte dalle valanghe e molti dei corpi furono restituiti solo dopo molti anni, a distanza di decenni, quando il ghiaccio sciogliendosi permetteva il ritrovamento. Nel 2009 venne rinvenuto lo scheletro di un alpino italiano. La Marmolada, il cui nome deriva dal greco marmar, che significa scintillante, è riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, anche se non è composta dalla dolomia ma da calcari grigi provenienti da scogliere coralline. La cronaca di questi giorni è segnata dai morti, dai feriti e da chi non si trova ed è considerato disperso. Su ordinanza dei sindaci dei Comuni di Canazei, San Giovanni di Fassa e Rocca Pietore (quest’ultimo in provincia di Belluno) gli accessi alla Marmolada sono stati chiusi per motivi di sicurezza e per permettere alle squadre dei soccorritori di agire senza intralci di sorta. Tutta l’area compresa tra Punta Serauta e Forcella Marmolada è stata interdetta. I soccorritori muniti di droni stanno operando in condizioni critiche per la loro stessa incolumità a causa di ulteriori rischi di cedimento e la tragedia assume ancor di più risvolti drammatici. A causa dell’enorme smottamento di ghiaccio, neve e pietre, i corpi dei dispersi sono sepolti sotto uno strato profondo 30 metri e risulta difficile recuperarli anche perché il ghiaccio spezzato si è trasformato in lame taglienti.

Le testimonianze degli operatori sul posto parlano di rinvenimento di parti dei corpi smembrati, la cui identificazione è stata assegnata ai Ris di Parma con l’esame del Dna. Tra le cause che sono state ipotizzate si fa strada quella di un bacino d’acqua che si è venuto a creare sotto il seracco staccatosi dalla parete con una pendenza di 45 gradi. Poca neve durante l’inverno e la siccità prolungata aggravata da temperature in rialzo eccessive nel mese di giugno. Lo zero termico sulla Marmolada è stato registrato per 25 volte oltre i tremila metri. I 10 gradi in quota e ben 13 il 20 giugno scorso. L’acqua che si è riversata sotto il ghiacciaio senza trovare vie d’uscita. Questo ha determinato una compressione che ha creato un sollevamento forzato che ha fatto esplodere la superficie del ghiaccio e neve. Il rumore era stato percepito da giorni e segnalava un fenomeno che si è rivelato pericoloso fino a causare una tragedia.

L’appello dei soccorritori è rivolto a tutti i curiosi e turisti di non raggiungere la zona per non intralciare le operazioni che risultano complesse e laboriose, essendo presenti centinaia di operatori tra tutte le forze messe in campo. Una località turistica di fama mondiale si è trasformata in un luogo di sofferenza e dolore, per i parenti delle vittime assistiti da psicologi.

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