RUMOR(S)CENA – ROSIGNANO – (Livorno) – Lo stato dell’arte è il canto notturno di un usignolo. E’ il brusio di api operose che preparano il miele, esattamente come sembra di ascoltare mentre i quattro protagonisti dello “strano incontro” in Toscana – Marcello Sambati, Michele Ifigenia Colturi, Giacomo Lilliù e Lisa Ferlazzo Natoli – parlano dei loro lavori nascenti. E’ la prima tappa 2023 dello Stato dell’Arte, ospitata da Armunia il 12 maggio scorso a Rosignano e promossa da C.Re.S.Co, dove si sbircia sul divenire teatro delle idee. Lo si fa in cerchio su un palcoscenico, davanti a una testimone interessata – Maura Teofili e il suo affabulante ricomporre i nodi tematici degli artisti -, a Elena Lamberti, coordinatrice del tavolo delle idee C.Re.S.Co, nonché magica raccordatrice di pensieri e azioni, e alla direttrice appassionata di Armunia, Angela Fumarola. E io? Narro, o meglio dovrei ma mi incanto dietro alle parole e alle emozioni, a quello che ancora non c’è ma vibra nell’aria come un passaggio di Ariel.
Fuori le mura il paesaggio mosso tra mare e collina, dentro le mura il circolo dei “carbonari” dell’arte, sul palco a platea vuota, intenti a disegnare – parafrasando Sambati – l’atlante dello spettacolo immaginario. E ancora sulla scorta parallela delle parole di Marcello, si muovono, pellegrini, “nelle direzioni dei cercatori di aure sulle scie dell’introvabile”. Mi piace rubare a Sambati i suoi versi un po’ arcani e sonori per suggerire a chi non c’era il tipo di zoosfera di questi meravigliosi animali di scena. Richiamata per immagini-video, cenni di letture fatte, lacerti di memorie passate o suggestioni colte di passaggio. E’ il trasformarsi in arte per numinosi segni, un ribollire inquieto di spunti.
Il castello dei progetti incrociati rivela passaggi segreti e connessioni inaspettate. Marcello Sambati è l’ultimo a parlare ma presagisce tutto il senso dell’incontro nel suo lavoro futuro. Ontogenesi è il titolo provvisorio, ovvero traslatamente quella serie di progressivi cambiamenti che un’idea attraversa per dare origine allo spettacolo. Forse non è un caso che l’ispirazione poetica e teatrale oggi nasca spesso con un’immersione/confronto con la natura. Lo fa da sempre Mariangela Gualtieri, ma in modo diverso da Sambati per quella bellezza rotonda e conclamata del verso, corda tesa in senso etico. Sambati è più ombroso. Un entomologo del senso teatrale di cui cerca bisbigli e fruscii tra gli anfratti. Lo zinzinnare degli insetti nell’ombra e nel sole. E’ una ricerca poetica arricciolata, che si fruga incessante nella solitudine. Senza macerazione, però, sempre nel bagliore della meraviglia in cerca del gesto insensato “che fa apparire l’increato”. Ricordando qui per assonanza la verginità del gesto attoriale ricercata dai Marcido.
Di Ontogenesi arrivano echi lontani, remoti. Quasi oracolari, come quelli che cerca a teatro Michele Ifigenia Colturi. All’altro capo anagrafico del gruppo (classe 1995, praticamente un “nipotino” di Sambati), Michele si affaccia con un bel piglio sulla scena italiana, scegliendo il mito come territorio di esplorazione creativa. E’ reduce da Cuma (che sarà in tournée quest’estate per vari festival), un assolo potente ispirato alla Sibilla. E sempre nel medesimo ciclo “classico” si inserirà il nuovo Antinoo. Un altro “amore estremo” – il sentimento intenso che lega il fanciullo Antinoo e l’imperatore Adriano – che Colturi indaga con la collaborazione del Dramaturg Ciro Ciancio. La storia della relazione con tragico finale diventa visione distopica, una sorta di horror dai contorni pornografici. “Cerco di trasmettere al pubblico un’emozione che anch’io voglio provare” spiega il giovane coreografo, che procede sedimentando materiali i più variegati, con molte pause in mezzo per macerare il tutto. Mito, teatro fisico ma anche virtuale, sapientemente miscelato come ha fatto in Cuma, perché “il virtuale permette di arrivare a un realismo surreale”.
L’anello di congiunzione tra giovani creativi, Colturi e il suo teatro “mitologico” e Giacomo Lilliù (1992), è proprio qui, nell’innesto tecnologico a teatro. Tema che per l’artista di Osimo è in primo piano con WOE – Wastage of Events, performance ibrida che mette insieme piani diversi: la visione da remoto, tramite la piattaforma di streaming Twitch, e il pubblico in platea (come si prevede per la rimodulazione a teatro della performance), le interazioni fra i tre protagonisti e gli spettatori. Esperimento avanzato che propone un paesaggio virtuale privo di umani ma gestito dagli umani. Lilliù lo immagina come un viaggio dentro una memoria non umana (quella del computer), sedimentando riflessioni diverse, compresa una pennellata ecologica sul tema degli scarti. L’effetto finale, però, non è semplicemente “la perlustrazione di una realtà virtuale in rovina” o del “dimenticatoio evocato dal deterioramento della memoria” ma un senso lato dello sperdersi. Qualcosa che ha quasi il sapore di un naufragio leopardiano (poeta marchigiano, del resto, come Lilliù), reminiscenza mnestica tra il replicante di Blade Runner e la pillola della conoscenza di Neo in Matrix.
Generazione di mezzo tra Sambati e i giovani Colturi e Lilliù, Lisa Ferlazzo Natoli è figlia d’arte e si sente. Poggia i piedi su un terreno di coltura tutto teatrale e letterario (il padre Lisi, ferreo avanguardista, la madre Silvana bazzicatrice di libri e sentieri di scena), venuta su all’ombra o meglio alla luce dei riflettori del mitico Spazio Zero a Roma. Ora è portatrice sana di buon teatro, imbevuta di riferimenti colti, lettrice appassionata che sa incrociare le sue passioni improvvise con spunti per la scena. Così nasce/nascerà Città sola, sorta di spin-off del Ministero della Solitudine (gran bello spettacolo, a proposito). Indagando ancora sulla solitudine, in questo caso nel rapporto fra questa e l’arte grazie alla mappa creata da Olivia Laing, dal cui libro sorge l’architettura del nuovo spettacolo. Corale è stato il Ministero, mentre Città sola sarà un assolo in cui Lisa si rimette in scena, passando dai paesaggi di Hopper alle registrazioni di Warhol, nella New York spericolata e vibrante degli anni 80 e 90, già con l’orlo livido dell’Aids. Sola ma solo in scena, attorniata comunque dal “gruppo-famiglia” lacasadargilla, comunità di artisti che si sono scelti e con la quale lavora in stretta sintonia.
Il lavoro di squadra è un Leitmotiv, in fondo, anche degli altri: Tyche è la compagnia di Colturi formata da tre danzatrici, due Dramaturg e un coreografo, e Lilliù si alterna fra il collettivo ØNAR e il gruppo MALTE. Neanche Sambati è un solitario: nel suo passato risalta l’indimenticali Shō. La bellezza finale, creato assieme a Fabrizio Crisafulli (light designer), Giovanna Summo (danza), splendido esempio di interazione fra artisti diversi. La stessa armonia che si intreccia in questo pomeriggio da fauni teatrali, tra il profilo ondulato dell’orizzonte e il cinguettio melodioso dell’usignolo. Eh sì, è dallo scrigno delle registrazioni di Sambati che esce il canto. Sigla perfetta per un incontro off shore dal solito chiasso.
Lo Stato dell’arte – Armunia Rosignano 13 maggio 2023