Chi fa teatro, Pensieri critici, Teatro — 06/06/2020 at 13:08

servomutoTeatro:”Bellotutto” indaga sul teatro che verrà intervistando i lavoratori dello spettacolo

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RUMOR(S)CENA – SERVOMUTOTEATRO – BELLOTUTTO – Di norma un giornalista, nell’esercizio della sua professione, rivolge delle domande a chi è l’oggetto dell’intervista, ma se accade il contrario, si ritrova in una condizione per lo meno inusuale. Accade quando un altro collega ti chiede di accettare di essere intervistato. Nel caso specifico la richiesta è arrivata da servomutoTeatro , associazione culturale formata da autori, attori, e registi “che con tematiche universali e linguaggio originale intende mettere in relazione teatro e tempo presente. Nasce dalla necessità di reagire in modo creativo al contemporaneo attraverso la creazione di spettacoli ed eventi culturali»

Il regista Michele Segreto insieme a Michele Mariniello, Marco Rizzo, Sara Drago e Roberto Marinelli hanno ideato “Bellotutto”, una rubrica serie di incontri-interviste (realizzata in diretta sulla pagina facebook.servomutoTeatro sul “teatro che verrà” dove sono stati intervistati operatori dello spettacolo nelle diverse funzioni: Carlotta Viscovo attrice, coordinatrice nazionale del sindacato attori SLC – CGIL e rappresentante di Attrici Attori Uniti; il costumista Gianluca Sbicca; Antonia Chiodi direttrice della scuola di teatro dell’Accademia Filodrammatici di Milano; Giulia Brescia organizzatrice, programmatrice e distributrice teatrale; Fabrizio Trisciani, direttore artistico di Straligut Teatro e coordinatore di In-Box – Rete di sostegno del teatro emergente italiano ; Massimiliano Cividati, attore, regista, formatore e direttore artistico della compagnia teatrale AiaTaumastica; Loredana Oddone direttore luci della Compagnia Le belle bandiere

Al sottoscritto è toccato il compito di spiegare il ruolo del critico e quali sono le sue competenze in merito. La chiusura totale nei mesi di emergenza sanitaria dovuti alla diffusione del Covid-19 ha impedito ogni forma di rappresentazione pubblica e come il web abbia sostituito la normale attività artistica che era in corso in tutti i teatri.

“Bellotutto” – ha spiegato Roberto Marinelli – «è stato pensato come un contenitore per scoprire come i diversi lavoratori dello spettacolo hanno affrontato l’emergenza e come immaginano il futuro del teatro».

servomutoTeatro

Ci siamo concessi queste settimane di silenzio per riflettere sul percorso che stiamo compiendo e ripensare al senso profondo del nostro lavoro, al senso profondo di creare comunità, di seminare cultura e dialogo e di fare una cosa così difficile e unica come lo spettacolo dal vivo. È stato un tempo di ascolto che ha fatto emergere buone domande, prima individuali e poi collettive. In che direzione andare? Quali azioni è giusto intraprendere? È il tempo della creatività o è il tempo di riconoscerci e farci riconoscere come categoria e lottare per la tutela dei nostri diritti di lavoratori, di riconoscerci tra diverse realtà e non percepirci più come monadi distinte e distanti. Vogliamo condividere queste domande con voi, vogliamo raccontare la nostra parte in tutto questo, cosa ci spinge a credere che il nostro lavoro sia ancora portatore di senso, che sia ancora utile, necessario, vivo, umano, salvifico – tutte urgenze che dobbiamo recuperare, insieme alla consapevolezza del valore del lavoro. Per far fronte ad una situazione che non andava bene prima e che a maggior ragione ora va rivista, discussa, messa sotto scanner e immaginata, ridisegnata nuovamente nelle logiche che la orientano. Per questo, ci stiamo muovendo in gruppi che si stanno organizzando come noi per promuovere una realtà futura più dignitosa, rispettata e che metta gli “artisti” nella condizione di fare ricerca. Arte, appunto. La cultura ha un valore immenso e le persone hanno fame di bellezza. Quale miglior mezzo del Teatro per rispondere a questa esigenza. Il Teatro è Accadimento. Non esiste se non esiste la presenza di un pubblico che partecipa di ciò che accade durante lo spettacolo. Ma per poterci reinventare non possiamo esser lasciati da soli o considerarci soli. Siamo tanti. Siamo di nuovo qui, almeno qui, per adesso. Le cose cambieranno, e lotteremo insieme perché cambino. Se vorrete seguirci, immagineremo insieme il teatro del futuro.

Nell’intervento a cui mi è stato chiesto di partecipare il 27 Maggio scorso, le domande avevano lo scopo di capire chi è e cosa fa un critico? Come lavora a spettacoli fermi e in questo momento d’emergenza cosa può fare concretamente per sostenere il comparto spettacolo? Nel ruolo di critico si sente un lavoratore dello spettacolo o un giornalista? Esiste un dialogo tra critica, organizzatori, direttori per immaginare il futuro? Alla luce delle discussioni nate in questo periodo e alla possibilità di portare il teatro fuori dal teatro, si possono rimettere in scena gli spettacoli di prima o è il caso di rivedere i contenuti, oltre alle modalità?

Un critico deve (ma forse è il caso di dire dovrebbe utilizzando il condizionale) svolgere il suo ruolo di “custode” nel monitorare il percorso artistico di un artista/compagnia anche nell’ottica di comprendere il processo creativo. Custode come tutore. La visione di uno spettacolo al suo debutto non garantisce sempre la possibilità di essere valutato nella sua riuscita: un lavoro considerato finito ha necessità di essere replicato più volte (alla presenza del pubblico) al fine di acquistare una sua “personalità”… Ritornare a teatro nel vedere lo spettacolo gioverebbe , in questo senso, a maturare un giudizio critico (utile per l’artista ma anche per chi ha il compito di scrivere), anche se è pur vero non facilmente realizzabile. Un allestimento necessita di tempo per essere pronto ad affrontare le scene: l’impegno, la costanza dello studio e delle prove è alla base di un processo creativo-artistico, non sempre scontato a causa dei tempi ridotti per le tempistiche imposte da debutti nei festival: una delle tante cause su cui converrebbe riflettere, ad esempio).

Il critico deve dimostrare di possedere un atteggiamento di umiltà, ma anche di curiosità, che vada al di là della sua presenza limitata alla durata temporale di uno spettacolo, preservando quella che è la sua caratteristica essenziale: l’autonomia intellettuale di cui non deve mai privarsi. Esercitare il ruolo di osservatore privilegiato significa anche sollecitare delle riflessioni su come è stato gestito il teatro in passato, il lavoro artistico, affrontare criticità rilevate e mai risolte. La funzione della critica attualmente è quella di andare in supporto rispetto alle legittime e inderogabili istanze degli artisti per rivendicare i propri diritto di lavoratori. Non dobbiamo però minimizzare le tante anomalie del sistema teatrale riemerse in tutta la loro gravità a causa della pandemia che ha colpito indistintamente ogni settore dell’economia. È urgente riaffermare la necessità di rivalutare e riscattare il ruolo fondamentale di una cultura dello spettacolo; dotandola di pari dignità rispetto a tutte le altre arti, ma è altrettanto doveroso impegnarsi in una riforma strutturale che riveda certi meccanismi della produzione teatrale.

Penso, ad esempio, ai “primi studi” presentati in molti festival dove gruppi formati da giovani artisti si presentano ad una platea composta da soli addetti ai lavori (compresi i critici) per poi finire (spesso) nell’oblio e non riuscire a completare un lavoro in grado di restare in scena a lungo. L’urgenza di farsi conoscere a volte ha fatto decidere di esibirsi gratuitamente. In tempi di coronavirus la comunicazione da parte di molti artisti è risultata eccessiva, rispetto alla necessità/urgenza di continuare ad esprimersi attraverso canali alternativi. Il dubbio se questa visibilità abbia prodotto un risultato valido o meno è alla base di una riflessione a posteriori: valeva la pena esibirsi in modo così ostinato o avrebbe giovato di più una pausa e un tempo dedicato al silenzio “per stare in silenzio” come ha affermato Roberto Latini? Alla domanda se mi sentissi lavoratore dello spettacolo o giornalista, la risposta è stata categorica: giornalista ma non per presunzione e affermazione di uno status professionale superiore, bensì per chiarire che un lavoratore dello spettacolo è quello che lavora sul palcoscenico e dietro le quinte, e non chi assiste e scrive di teatro. Il giornalista è altro, è quello a cui viene richiesto di guardare anche fuori (e non solo dentro il teatro), intorno e verso l’esterno dove accadono altre esperienze collegabili al settore artistico.

Uno sguardo critico capace di analizzare la società in cui è inserito il teatro. Parcellizzare lo sguardo solo verso la scena fa perdere di vista una visione globale e complessiva della realtà, specie quella attuale in cui tutti siamo chiamati a dare un contributo per far ripartire una nazione intera e non solo il teatro.

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