ALTRITEATRI, Chi fa teatro, Va in scena a — 05/07/2020 at 11:12

L’apetrale parte da Lucca in tournée con a bordo Marco Brinzi e Caterina Simonelli

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RUMOR(S)CENA – IF PRANA – LUCCA – Cos’è l’apeteatrale? È un ibrido tra commedia dell’arte e teatro di strada, un idea di teatro itinerante proposta dalla  Compagnia teatrale IF Prana    e prodotta dal Teatro del Giglio di Lucca. Partirà dal 6 luglio (prima rappresentazione alle 18.15 nella Piazza San Martino) fino al 24 del mese proponendo 35 rappresentazioni della durata di 30 minuti ciascuna in piazze e sopratutto periferie della città. 

Sull’Apecar assieme a Marco Brinzi ci sarà Caterina Simonelli, «amica e compagna di avventure teatrali di lungo corso, con cui abbiamo messo in scena durante il Covid-19 lo spettacolo sulla strage di Sant’Anna di Stazzema “Ich war da”( Io ero la) e che riprenderemo prossimamente. Il nostro intento è essenziale ovvero ritrovarsi come comunità attraverso il rito teatrale, il rito dell’incontro, atto negatoci in questi mesi dove abbiamo vissuto e attraversato la paura di qualcosa “invisibile”, qualcosa che ha modificato, a mio avviso, la percezione che abbiamo dell’altro almeno per adesso. Ho scelto di “giocare” teatralmente proprio su questo tema dell’incontro con l’altro – spiega Marco Brinzi – come portatore di qualcosa di invisibile portando nella città, a bordo di un Apecar, due archetipi del teatro italiano: Arlecchino e Balanzone. In questo tempo di crisi e sospensione i due si ritrovano nelle piazze a vendere i loro prodotti miracolosi, come l’arrotino  o l’ombrellaio che passava sotto casa…

Provano a vendere al pubblico unguenti, galli profetici, imbuti linguisti (che permettono di parlare tutte le lingue del mondo)  o altre cose assurde e strampalate. In realtà ciò che agiscono profondamente è la loro volontà di continuare ad “esistere” come maschere/attori nonostante la chiusura dei teatri, nonostante la mancanza di un pubblico unito e libero da distanze.sonno posseduti dalla paura di re-esistere dopo il passaggio di un antagonista così tragico e invisibile come il virus.

Per me, Balanzone oggi è sia la maschera del dottore petulante e saccente bolognese sia l’incarnazione di persone che in tempo di pandemia sanno sempre più degli altri e risultano informati su:  decreti, norme, casi asintomatici o non, etc… ovvero coloro che parlano citando altri o per sentito dire, coloro che arrivano “scientificamente” a provare che questo virus sia tutto un complotto. Balanzone si trova a vendere merce miracolosa per sopravvivere alla pandemia, si trova a speculare sulle ansie e le paure del pubblico assieme ad Arlecchino, in questo caso il peggior servo che potesse mai trovare.

Arlecchino infatti, in questi lazzi inventati e improvvisati di commedia dell’arte, tutto fa tranne che credere ai prodotti “invisibili”. Non ci crede, non pensa che vendere merce inesistente sia la sua soluzione alla sua fame e povertà. Arlecchino nonostante tutto continua a ridere forse perché sa che avrebbe troppo di cui piangere. Ha un po’ l’attitudine del popolo italiano ovvero sorride alla disperazione con il massimo d’allegria possibile, quasi fosse un rito scaramantico. Lo spettacolo dura 30 minuti ed è composto da lazzi di commedia dell’arte improvvisati con il pubblico. Noi abbiamo scritto dei temi/ canovacci che poi modifichiamo in base alla reazione del pubblico proprio come facevano i comici dell’arte. È ironico, grottesco molto pop e surreale per certi versi. Abbiamo scelto di muoverci con l’apecar perché l’ape ha diversi significati…il primo è storico. Il veicolo della Piaggio nacque nel 1948 proprio per aiutare i cittadini di un Italia che cercava di  risollevarsi economicamente dalla guerra, un simbolo quindi di rinascita. 

Il secondo perché l’ape, qui intesa come animale, è il perfetto esempio di condivisone sociale. Immagino la città e le periferie come un magnifico alveare a cui questa ape debba far ritorno per creare un prodotto operoso: il miele. Abbiamo deciso di dare al nostro veicolo il nome “L’Apez” ricordando Cristina Pezzoli, scomparsa recentemente. Cristina era una regista a cui ero molto legato e che chiamavo in amicizia LaPez appunto, una donna che sognava di cambiare il teatro e di cambiare il mondo col teatro. Sicuramente ha cambiato il teatro e il mondo di coloro che l’hanno conosciuta».

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