Teatro, Teatrorecensione — 03/02/2014 at 16:28

Esplode la famiglia, il “Pater familias” non ha più poteri.

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MILANO – Sguotti, il Master, il guru, il deus ex machina della Compagnia Kronoteatro, confessa di essersi ispirato al “Minotauro” di Durrenmatt. Soprattutto per quanto riguarda gli specchi. Non ci sono vincitori nel “Pater Familias” eretto nelle parole dense e calde di Fiammetta Carena, scandite, appuntite come rompighiaccio in questo gelido scenario interiore. Da una parte il padre grigio che avrebbe voluto un figlio diverso (come forse tutti i genitori), dall’altra figli sbandati, agglomerato di violenza suburbana da “Arancia Meccanica” che avrebbero voluto dei padri differenti (come forse tutti i figli). Pietro Maso bussa. Così come Erika e Omar. Facce di uno stesso destino.

Volti duri, indifferenti, sguardi da drugo, trendy-sportivo, atletico sovreccitato. Implodono di una rabbia che non trova pori abbastanza elastici per la fuoriuscita, sono vulcani senza meta, lava che vuole solo distruggere e portare a fondo, in quell’abisso dove sono finiti, ingoiati. La colpa dei figli è nei padri. Martella la musica come un tamburo d’iniziazione, sono nichilisti senza niente da perdere.

Fondamentale e decisiva la scena illuminante, ideata e composta da Francesca Marsella: sei tavoli che i ragazzi spostano, alzano, buttano a terra, fanno scivolare, rovesciano con grande energia da jumper e parkour. Con semplicità diventano tunnel, riflettono perché sotto hanno degli specchi, casa e rifugio fetale ma anche obitorio, adesso teche da esposizione, gabbie, letti da accoppiamento. Sono i ragazzi di “Trainspotting” che si lanciano in acrobazie sincopate, in coreografie dure, sono un frullato dopato ed alterato di sensualità ed eros esposto, tristezza e disperazione.

Tutti annegano dentro il labirinto costruito con i sei tavoli in questa periferia interiore senza salvezza. Immersi in un gioco di ruolo dove vita e morte hanno lo stesso valore, dove non esiste domani e dove le conseguenze non hanno significato perché niente ha senso, i soprusi, le botte o la violenza carnale. Sono un mix tra i ragazzi di vita pasoliniani e quelli più recenti dei libri di Ammaniti, milizie paramilitari.

Il peccato originale non ci viene attribuito con la nascita, ma è la nascita stessa. Sono dei boia melliflui e serpentini in cerca dell’ennesima vittima sacrificale, sono Lucignoli, sono cattivi alunni perché non hanno avuto alcun maestro, sono i ragazzi del “Signore delle mosche” lasciati in balia di se stessi, primitivi, ancestrali, guerrieri senza ideali, soldati che hanno soltanto nemici al di là della loro cellula eversiva. Il senso di morte aleggia. Si sono disinteressati di loro: questo è il risultato. Una favola nera sul concetto di famiglia. Esiste ancora? E’ mai esistita? Può ancora esistere?

Pater Familias”, Kronoteatro, testo di Fiammetta Carena, Regia: Maurizio Sguotti, Scene e costumi: Francesca Marsella, Luci e musiche: Enzo Monteverde, con: Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Maurizio Sguotti. Visto al Teatro Elfo Puccini, Milano, il 31 gennaio 2014.

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