Teatro, Teatro recensione — 23/05/2016 at 22:53

Se la scena antica la raccontano Elettra e Alcesti

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SIRACUSA – Che cosa vediamo a teatro, quando assistiamo ad uno spettacolo, costruito su un testo della drammaturgia classica? Non è affatto un’interrogazione retorica e nessuna risposta è scontata: tragedie e commedie classiche sono ancora archetipi della nostra cultura e fuoco vivo da maneggiare con attenzione. Fino a qualche anno fa a Siracusa ci si accapigliava a rispondere, ci si scandalizzava, si giudicava, ci si schierava. Alcune di queste polemiche  hanno l’eco che risuona ancora. Del resto, molte risposte a quella domanda sono ancora materia di analisi e riflessione, ma probabilmente oggi si può constatare che alcuni punti fermi sono stati in qualche modo fissati. Non vediamo a teatro né Eschilo, né Sofocle, né Euripide, né Seneca,  Aristofane o Menandro e nemmeno Plauto o Terenzio: semmai l’esito di un confronto, del confronto tra un artista contemporaneo (il regista, ma potrebbero esserci altre opzioni autoriali) e un testo antico, del quale si possono cogliere le potenzialità di operatività e di critica nel presente. Quanto più e denso, colto e avvertito questo confronto, altrettanto consapevole della propria storicità, e quindi anche della propria contemporaneità – , tanto più gli spettacoli sono vivi e riescono a comunicare al pubblico di oggi. E viceversa.

Sembra poco, ma già constatare una diffusa e chiara contezza di questo è un gran passo avanti. Raccontiamo di questa edizione 2016. dell’Elettra di Sofocle e dell’Alcesti di Euripide, dirette rispettivamente da Gabriele Lavia e da Cesare Lievi, nell’ambito della cinquantaduesima Stagione Inda, in scena a giorni alterni al Teatro Greco di Siracusa, dal 13 maggio al 19 giugno, mentre dal 23 al 26 giugno verrà allestita Fedra di Seneca, diretta da Carlo Cerciello.
Da un oscuro passato archetipico ad un minaccioso e desolato futuro distopico, senza passare per il presente, per alcun presente, si potrebbe sintetizzare così il senso e il tono complessivo dell’“Elettra” di Gabriele Lavia i cui personaggi sembrano appartenere a una qualche violenta gang di bikers. La traduzione, che si presenta asciutta e senza particolari slanci, è di Nicola Crocetti, in scena recitano Federica Di Martino (Elettra), Maddalena Crippa (Clitennestra), Jacopo Venturiero (Oreste), Maurizio Donadoni (Egisto), Massimo Venturiello (il pedagogo), Pia Lanciotti (interessante nella sua interpretazione di Crisotemi), Massimiliano Aceti (Pilade), Giulia Gallone (corifea), Simonetta Cartia, Flaminia Cuzzoli, Giovanna Guida, Giulia Modica, Alessandra Salamida (prime coreute), le ragazze dell’Accademia Inda (coro delle ragazze di Micene); le scene ( potenti, ferrose, capaci da sole di raccontare una storia) sono di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti, le musiche di Giordano Carapi.

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Federica di Martino (crediti foto Maria Pia Ballarino)

Gabriele Lavia conosce bene e sa fa girare l’implacabile meccanismo drammaturgico della tragedia ma, forse per eccessiva sicurezza, o per eccessiva fiducia nelle doti attorali degli interpreti, lo spettacolo, nel quale i cori sono estremamente indeboliti, appare complessivamente poco meditato e scorre via senza slanci né particolare emozione: l’Elettra barbona, reietta, rivoluzionaria sconfitta di Federica Di Martino appare eccessivamente sovreccitata (se proprio non in preda a gratuita isteria) e poco capace di trasmettere il senso profondo, esistenziale, politico, di questo suo stato. Al contrario la Clitennestra di Maddalena Crippa appare così naturalmente solida e potente nel suo reggere la scena, e la forza dei versi sofoclei, che si fa fatica a leggere il segno della regia (e qualcosa di molto simile potrebbe dirsi per il Pedagogo di Venturiello e l’Egisto di Donadoni).
Di diverso tenore e concentrazione è invece l’Alcesti di Cesare Lievi per la traduzione di Maria Pia Pattoni. Probabilmente perché questo dramma euripideo è di difficile definizione, abbastanza laterale rispetto al corpus della drammaturgia classica e pone gravi problemi di senso a chi prova a comprenderlo. Il lavoro d’interpretazione del regista appare subito profondo, evidente e omogeneo per tutta la durata dello spettacolo.

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Federica di Martino Pia Lanciotti  (crediti foto di Franca Centaro)

L’irrompere dello scandalo della morte, la generosità di Apollo, il coraggio fragile di Alcesti, l’ambiguo utilitarismo di Admeto (smascherato con nettezza dal padre Ferete), la forza e la leggerezza di Eracle; il mistero del ritorno in vita di Alcesti, sono tutti elementi che si trasformano in altrettante scelte formali e d’interpretazione (a partire dall’Alcesti di Galatea Ranzi che domina perfettamente il pathos dei versi euripidei) precise, controllate, esatte nel contesto di uno spettacolo che assume movenze, respiro e colori della fiaba, senza al contempo, nascondere la fatica del pensiero e della salutare necessità del confronto col mistero della morte. Una fiaba atemporale, un funerale cristiano, i fiori (un grande tappeto di papaveri), i colori (il rosso soprattutto, che non richiama sangue o tregenda, ma piuttosto connota di vita l’intero mood di una scena attraversata dalla morte), la verve comica dell’ Eracle di Stefano Santospago (davvero in grande forma) a ricordarci  che la risata (e la comicità che la determina) è forse l’unica via concessa agli uomini, se non per la risurrezione, almeno per affrontare la morte a viso aperto. Le musiche composte da Marcello Panni – come è giusto a teatro – non come colonna sonora, ma come elemento di scena (sia quelle preregistrate, sia quelle d’intonazione mediterranea e festosa), suonate in scena da una giovane banda di fiati e tamburi, – i cori che attraversano con leggerezza mondi e culture. Molto interessanti anche le scene di Luigi Perego che rivisitano in chiave funzionale e contemporanea, le partizioni di una antica skené.

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Jacopo Venturiero Massimiliano Aceti (crediti di Maria Pia Ballarino)

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Stefano Santospago (crediti di Luigi Carnera)

Oltre  la Ranzi e Santospago, in scena ci sono Massimo Nicolini (Apollo), Pietro Montandon (Tanato), Sergio Mancinelli (servo), Ludovica Modugno (Ancella), Paolo Graziosi (Ferete), Danilo Nigrelli (Admeto), Sergio Basile e Mauro Marino (corifei) , e i coreuti Alessandro Aiello, Nicasio Ruggero Catanese, Lorenzo Falletti, Massimo Tuccitto, Carlo Vitiello. Il coro composto dai giovani dell’Accademia dell’Inda.

Produzione: Istituto Nazionale del Dramma Antico. Crediti fotografici Maria Pia Ballarino, Pier Luigi Carnera, Franca Centaro.

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