ALTRITEATRI, Recensioni — 23/02/2019 at 08:46

DAU: viaggio nel totalitarismo sovietico tra arte, scienza, vodka e molto sesso.

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RUMOR(S)CENA – DAU – ILYA KHRZHANOVSKY – PARIGI – Impossibile definire DAU con una parola. È insieme cinema, performance, esperienza sociale, percorso immersivo, un progetto artistico proteiforme e stupefacente nato dallo spirito del regista russo Ilya Khrzhanovsky che lo ha messo in scena in prima mondiale a Parigi dal 24 gennaio al 17 febbraio, ospitato dal Théatre de la Ville, al Théatre du Châtelet (in fase di ristrutturazione) e al Centre Pompidou. Si entra solo dopo aver ottenuto un “permesso di soggiorno” di 6 o di 24 ore o volendo un permesso illimitato, e dopo aver risposto a un questionario e lasciato tutti gli oggetti personali all’entrata. All’origine avrebbe dovuto essere un lungometraggio di finzione dedicato al fisico sovietico Lev Landau, (Dau è contrazione linguistica), premio Nobel nel 1962, genio carismatico, molto amato dalle donne, dalla vita eccentrica e soprattutto libera, dentro una società repressiva e violenta. In seguito il film ha preso altre forme e proporzioni, e così anche le intenzioni del regista, lievitate fino a diventare un’epopea pluridisciplinare che ha messo insieme centinaia di partecipanti (volontari) nella sua realizzazione. Uomini, donne, bambini, artisti, scienziati, gente comune, criminali, che hanno vissuto in un luogo utopico e fuori dal tempo senza nessun contatto con l’esterno per due anni interi. Tra il 2009 e il 2011 a Kharkov, in Ukraina, un istituto di ricerca è stato completamente ricostruito e popolato da una straordinaria umanità: per nostalgia? fede? voglia di esperienze estreme? sperimentazione artistica? Non ci è dato sapere. Quello che sappiamo è che i partecipanti sono stati personalmente selezionati dal regista.

DAU © Phenomen IP 2019 – Photographer Jörg Gruber

Qui hanno vissuto, lavorato, riposato, si sono nutriti, si sono amati, traditi, hanno fatto sesso (molto molto sesso), si sono celebrati, spiati, denunciati, hanno brindato a Stalin, ricostruendo fedelmente una copia dell’esistenza umana nel cuore della Unione Sovietica. Difficile definire DAU anche perché prima d’ora non era mai stata concepita un’ opera che ha in sé tutte le arti, ricostruzioni storiche e ambientali di interni, costumi d’epoca, linguaggio d’epoca, tutto registrato (nell’arco dei due anni) grazie ad una osservazione intermittente di una videocamera per un totale di 700 ore di girato. In altre parole l’esplorazione dell’animo umano, la vita osservata giorno dopo giorno, nella sua bellezza e nella sua miseria, dentro ad un periodo storico che va dal ‘38 al ‘68.  A Parigi nei tre luoghi consacrati si entra dopo una complessa registrazione on line e dopo una serie di risposte a un questionario. Penetrare dunque il mistero sovietico è possibile solo dopo aver ottenuto un visto di soggiorno, abbandonato all’ingresso tutti gli effetti personali e risposto a un test psicologico le cui risposte trattate da un algoritmo permettono di elaborare per ognuno il proprio cammino nella Storia. L’esperienza multisensoriale (totalizzante) è concepita da un genio anche negli orari di accesso: 24 ore su 24 , 7 giorni su sette. I più coraggiosi entrano la sera, escono alle prime luci dell’alba.

DAU © Phenomen IP 2019 – Photographer Jörg Gruber

Niente è lasciato al caso e ogni proposta nel corso della “immersione nella Storia” risponde ad una precisa ricerca di senso o al contrario a una inquietante conferma di non senso. Previste nel percorso oltre al film e ai 13 documentari, anche conferenze di teologia, fisica quantistica, geopolitica o concerti di musica (composta appositamente per DAU). Si respira un’aria austera, tutto è grigio, marrone e nero. Ci accoglie uno spazio commerciale che ricorda una vecchia bottega sovietica, dove si vendono quaderni neri, scatolette di pesce e posate in alluminio. La cucina serve al pubblico lingua di vacca con cetrioli sott’ aceto, pane nero, lardo di maiale, burro e caviale. Si può ordinare birra russa e vodka, servita in tazze metalliche. Il menu è in cirillico, per chi non lo conosce si può chiedere un aiuto per la traduzione al personale rigorosamente in tuta da lavoro grigia. Tutto è volutamente sgradevole ai sensi. Impressiona il grande Theatre de la Ville nudo d’arredi, dove il pubblico assiste alle proiezioni (di qualità sopraffina) seduto su scomodi gradoni di cemento. Nell’area del soppalco sovrastante il foyer sono istallate piccole cabine rivestite di materiale riflettente come specchi deformanti che spezzano la figura come a rimandare a identità indefinite e sfuggenti.

DAU © Phenomen IP 2019 – Photographer Olympia Orlova

Qui si possono visionare su uno schermo tutti i documenti filmati dell’intero lavoro di DAU o perdersi in una chiacchierata (entretien en tête-à-tête, obbligatorio restare 45 minuti) con un cosiddetto “saggio” reclutato per sensibilità, cultura e umanità, e rispondere a domande sulla libertà, l’amore, la politica, l’identità, l’ateismo, le relazioni, il sesso e ovviamente il comunismo. L’esperienza multisensoriale continua attraverso ricostruzioni d’interni popolari, camere, bagni, salotti, riconsegnate al pubblico con una precisione quasi maniacale dei dettagli. Arredi, oggetti d’epoca, tappeti, strumenti musicali, libri, grammofoni, e una impressionante abbondanza di bicchieri. Nella realizzazione del progetto anche Marina Abramović, Romeo Castellucci, il direttore d’orchestra Teodor Currentzis (che incarna nel film lo scienziato Lev Landau), e poi Carlo Rovelli, Brian Eno e Robert del Naja dei Massive Attack, che hanno felicemente condiviso la follia di Khrzhanovsky. Il pubblico, stordito, mostra di gradire.

 

DAU © Phenomen IP 2019 – Photographer Volker Glaeser

 

Visto a Parigi al Théatre de la Ville, Théatre du Châtelet  e Centre Pompidou il 15 febbraio 2019

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