Teatro, Teatro recensione — 22/12/2014 at 23:52

La Valle degli stupori di Peter Brook

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PISTOIA – A Noir, E Blanc, I rouge, U vert, O bleu: voyelles- Voyelles di Arthur Rimbaud; Il est de parfums frais comme des chantes d’enfants/ Doux comme les hautbois,/Verts comme les prairies, Et d’autres, corrompus, riches et triomphants- Correpondances-Les fleurs du mal di Charles Baudelaire

La sinestesia, dal punto di vista neurologico, è il mescolarsi dei cinque sensi in una gamma complessa di modalità , una persona dotata di questa particolare capacità percettiva può realmente incrociare due o più sensi. Quando accade in poeti come i due sopra citati, potrebbe passare, magari anche per certi linguisti, come “estro” o come una intellettualizzazione letteraria, se poi accade ad uno scrittore come Marcel Proust che nel gusto e profumo della sua madeleine mentre da adulto l’affonda nel tè a colazione e così sprofonda nello struggente ricordo della sua infanzia e della madre, ecco: questa è grande letteratura. Lo stesso Nabokov pare ne fosse “ affetto”. E così musicisti come Liszt che ad una orchestra perplessa mentre dirigeva disse: un poco più di blu, questo tono lo vuole . O come accadde al pittore russo Wassily Kandinsky, un altro “affetto” da questa sindrome. Da tempo la PNL ( Programmazione Neuro Linguistica) se ne è occupata anche per definire alcune, sia pur molto generalistiche, tipologie di personalità.
In The Valley of Asthonishment di casi clinici si tratta-secondo un registro già collaudato da Peter Brook in L’homme Qui, tratto dal saggio L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello del neurologo Oliver Sacks o in Je suis un phenomene (di Alexander Lurija, neuropsichiatra nonché maestro di Sacks), tuttavia stavolta i soggetti indagati non sono inquadrabili o non ancora, nello stretto registro dei manuali internazionali di Psichiatria, i più aggiornati, vedi il quinto.

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E’ un ritorno-rivisitazione, questo The Valley of Astonishement , poeticissimo, ad uno studio dello stesso Peter Brook scritto a quattro mani con lo scrittore e drammaturgo Jean Claude Carrière (messo in scena negli anni Settanta in La conférence des Oiseaux), ispirato dal poema mistico del persiano Farid al Diri ‘Attar, Il verbo degli uccelli, del 1177.  Lo spazio- teatro è quello essenziale – minimalistico del Centro culturale pistoiese Funaro dove menti cosmiche quali quella di Enrique Vargas opera, vigila e concepisce, da qualche anno, in straordinarie sinergie. Peter Brook fin dal Mahabharata, ha insegnato a molte generazioni di teatranti, che il teatro in quanto Teatro, non ha o almeno non avrebbe bisogno d’altro che di una sedia, un attore e un pubblico. Una triangolazione diabolica: è il set della vita, signori e signore.
Il focus sulla mise en scène non è tanto ciò che dicono o fanno i personaggi: sono di per sé teatro le loro storie in quanto metastorie. E’ della memoria umana che si parla, e quindi di una questione che sta fra lo studio scientifico del funzionamento del cervello, insomma le attuali neuroscienze e la filosofia e che qui sconfina nella poetica letteraria prestata alla scena teatrale.

Cosa è l’umano se non la sua memoria? Ciò che ci ricordiamo del nostro sé, della nostra propria storia? Ma se una particolare memoria intacca la vita di alcuni soggetti al punto da rasentare i territori della malattia come nel caso di Sammy, giornalista americana la cui memoria viene a costituire un caso clinico? La Sammy non prende appunti redazionali, Sammy ricorda tutto numeri frasi nomi sequenze stradali, non dimentica niente e lo fa attraverso associazioni mentali sinestesiche che la porteranno alla consapevolezza di essere appunto: un caso clinico oggetto anche amoroso di studio, da circo? (una strepitosa Kathryn Hunter, già attrice in altri lavori di Peter Brook).

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Ma, in similitudine, accade al giovane medico che pensa di esser pazzo – e diventa, forse, neurologo-fin da piccolo perché ad ogni colore associa immagini presenti solo dentro la sua mente disegnandoli sullo spazio bianco di un tappeto scenico che noi non vediamo (l’attore Jared Mc Neill, anche componente dell’équipe di neuro-scienziati che studiano appassionatamente e con grande empatia i”casi”) e poi un paralitico zoppo privo di proprio-percezione, che fa leva sul ricordo del movimento perduto attraverso la sua mente se ne riappropria, mentre un mago (Marcello Magni, il paralitico) anche Capo Circo nel suo tendone circense e senza un arto (la mano in questo caso) ci racconta- iscrivendoli tutti e tutto nello specchio dello specchio- storie (queste) al limite dell’incredibile ma che giochi non sono né tarocchi né taroccati, perché nelle menti di queste persone rese personaggi, sono esperienza sensoriale viva e diretta della propria singolarità neuronale dilatata nelle loro private esistenze reali. Persone la cui peculiarità- diversità può portarli a sfiorare la follia: in Sammy quella di non riuscire a dimenticare.

Insomma, nei casi clinici trattati con una delicatezza, una rarefazione di segni cara al regista del nuovo lavoro internazionale di Peter Brook The Valley dentro una scena spoglia, tuttavia riscaldata oltre che dall’ironia dei dialoghi , la leggerezza dell’autoronia che finisce con un micro monologo in cui l’attore Mc Neill proclama – declama versi poetici perché alla fine solo la parola poetica ci porterà altrove come le note di due autorevoli musicisti che commentano a contrappunto le azioni sceniche del regista. Sono Raphael Chambouvet, pianista e Toshi Tsuchitori, musicista giapponese che ha approfondito la tradizione del suo Paese (anche soprattutto strumentale), che da anni collaborano agli spettacoli di Peter Brook.
Al centro della creazione del lavoro della coppia di drammaturghi Peter Brook-Marie-Héléne Estienne, la ricerca, legata a fenomenologie psichiatriche di persone anche apparentemente integrate nel nostro sistema di “ normali” con alla base capacità percettive al confine con le psicosi. Una condizione molto vicina a quella di certi artisti ( e anche scienziati) costretti dalla propria intensa attività immaginativa a cercare mondi altri. Quelli che aprono porte di conoscenza che talvolta così nell’arte come nella scienza producono avanzamento dei saperi e delle conquiste della cultura dell’umanità. “ Attraversando i monti e le valli del cervello umano, ci troveremo nella sesta valle, quello dello stupore. I nostri piedi avanzeranno ben piantati per terra , ma ad ogni passo penetreranno nell’ignoto” . Come nel seme immaginativo del poema di Farid dove gli uccelli devono attraversare sette valli, sette percorsi per attingere alla natura di Dio, così attraverso i meandri della conoscenza del cervello umano , nella sesta valle, scopriremo-forse- un po’ di più della nostra essenza di uomini purchè “residenti” almeno un po’ illuminati dentro la Valle dello Stupore.
E’ un peccato che per spettatori teatralmente vivi e che con questo inno alla visionarietà, alla poesia , si chiuda questo lavoro che avute solo due performances in Italia ( l’altra al Teatro Stabile dell’Umbria) perché in tournée in tutto il mondo fra Europa, Stati Uniti e Giappone.

Una ricerca teatrale di Peter Brook e Marie–Hélène Estienne
Luci Philippe Vialatte
Con Katryn Hunter, Marcello Magni e Jared Mc Neill
Musicisti : Raphael Chambouvet e Toshi Tsuchitori con Franck Krawczyk
Realizzazione elementi scenici e direttore di scena Arthur Franc
Produzione C.C.C.T./Theatre des Bouffes du Nord in coproduzione con Theatre for a new Audience, New York, Les Theatres de la ville de Luxembourg

Visto al Centro culturale Il Funaro , Pistoia il 21 novembre 2014

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