Teatro, Teatro recensione — 22/12/2014 at 22:54

Il senso della vita e il rifiuto della morte. Bernardi rilegge Pirandello

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«Quando era lontano io dicevo: “Se in questo momento mi pensa, io sono viva per lui”. E questo mi sosteneva, mi confortava nella mia solitudine. Come debbo dire io ora? Debbo dire che io,io, non sono più viva per lui, poiché egli non mi può più pensare! E voi invece volete dire che egli non è più vivo per me. Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre dato: la mia, la mia; non la sua che io non so!»

BOLZANO – Sono parole pronunciate da Donn’Anna Luna, un soggetto femminile complesso e inquietante, ossessivamente condizionata dal ruolo di madre, prigioniera di se stessa, incapace di accettare la morte del figlio che le permetta di trascendere il tempo e la realtà. È la protagonista de “La vita che ti diedi” di Luigi Pirandello definita dal drammaturgo come una “tragedia” per via di una personalissima interpretazione fenomenologica della morte. Scrive l’autore: «Io tengo conto del sentimento comune che si ha della morte, ma ne do anche un’interpretazione nuova e originale. Già sviluppai questo mio concetto in una novella che s’intitolava Quando si comprende ed affermavo che la morte di una persona cara non si comprende subito. (…) E piangiamo un morto perché esso non può dare più a noi alcuna vita. Questo senso della morte è nuovo come concezione».

Il dramma pirandelliano ispirato alle novelle La camera in attesa e I pensionati della memoria, fu rappresentato per la prima volta al Teatro Quirino di Roma nel 1923 da Ada Borelli, dove a novantadue anni dopo è tornato ad essere recitato nello stesso teatro, in occasione della tournée del Teatro Stabile di Bolzano. La vita che ti diedi, composta nel 1923, era stata concepita per Eleonora Duse che non ebbe il tempo di interpretarla causa la sua morte avvenuta in tournée a Pittsburg nel 1924. Il debutto della sua opera riscosse uno scarso successo e fu ripresentata al pubblico nel 1942 con Paola Borboni come protagonista. Marco Bernardi regista del Teatro Stabile di Bolzano l´ha scelta per finire la sua carriera di direttore artistico dello Stabile più longevo d’Italia, subito dopo il Piccolo Teatro di Milano. La sua messa in scena in questo periodo sta girando nei teatri più importanti della nazione, in cui recitano Patrizia Milani, Carlo Simoni, Gianna Coletti. Karoline Comarella, Paolo Grossi, Sandra Mangini, Giovanna Rossi, Irene Villa, Riccardo Zini.

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Il congedo di Bernardi (che avrà ancora un ruolo importante come regista nelle prossime stagioni del TSB , con la nuova  direzione di Walter Zambaldi nominato suo successore dal mese di giugno del 2015) chiude una un sodalizio artistico con gli attori principali del dramma allestito per la stagione 2014/15. Una lunga carriera che trova il suo compimento finale con un testo dove il tema portante è quello dell’amore materno che si nutre anche del solo ricordo in assenza della presenza fisica del figlio andato via di casa per sette anni. Un ricordo indelebile fissato nella memoria della donna al momento della sua scomparsa. Lei ha continuato a vivere in funzione di un sentimento autoalimentatosi giorno dopo giorno, rivivendolo in tutte le sue esperienze e relazioni. Troppo forte per poterci rinunciare. Al suo ritorno il figlio perde la vita ma la sua morte è negata e rimossa.

La madre non accetta la perdita perché non la vede, non prova il dolore per il lutto. È il meccanismo della rimozione. Un fenomeno psichico che allontana dalla coscienza desideri, pensieri o ricordi non accettabili e intollerabili dall’Io. Un rimedio della psiche per non provare forti dispiaceri. Secondo la psicoanalisi l’inconscio si costituisce per la maggior parte di esso come conseguenza della rimozione. Un trauma subito resta in molte delle persone che l’hanno vissuto come qualcosa di sconosciuto. Una sorta di difesa e a questo si può aggiungere il meccanismo difensivo della negazione che può determinare la compromissione dell’esame di realtà. Il personaggio di Donn’Anna interpretato da una Patrizia Milani aderente in modo totale a una figura femminile ostaggio della sua lucida follia.

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L’interpretazione è sempre misurata e dolente nell’appropriarsi del suo ruolo materno per troppi anni dimenticato a causa dell’allontanamento del proprio figlio. La morte paradossalmente le restituisce la totale gestione dell’immagine del suo caro, fino a sfidarla e a suscitare nella sua finzione assurda, scandalo e sacrilegio agli occhi del sacerdote Don Giorgio, interpretato da Carlo Simoni nel ruolo di un prete molto composto quanto severo nel suo ministero sacerdotale; figura apparentemente marginale ma in realtà portavoce di una coscienza collettiva in totale disaccordo con la perdita del senso di realtà. come lo è la sorella Donna Fiorina, un ruolo assegnato a Gianna Coletti, personaggio reso con abile bravura nell’esprimere il disagio, se non il disgusto, nel vedere come il delirio s’impadronisca di Donn’Anna. I dialoghi tra le due donne sono momenti di forte tensione drammaturgica che sono esaltati dalla regia di Marco Bernardi.

Dramma umano e connotato da una scelta autorale di sondare l’imperscrutabile dell’essere umano, delle sue implicazioni psicoanalitiche che si affacciano agli inizi del ‘900. La vita che ti diedi è per Pirandello motivo d’indagine di  in cui si possono riscontrare elementi legati alle superstizioni di una cultura atavica. La madre è una figura che incarna simbologie mitologiche. Elementi simbolici in una prospettiva irrazionalistica ed esoterica che entra a viva forza nella drammaturgia pirandelliana. Il dramma ruota intorno a Lei e a personaggi complementari che esaltano vertiginosamente la vicenda, come l’apparizione dell’amante di suo figlio, Lucia Maubel, in un’interpretazione accorata e molto convincente di Irene Villa sempre più promettente nel ruolo di una giovane rimasta incinta e decisa ad abbandonare marito e figli per raggiungere chi non c’è più in realtà e in grado di sconvolgere la vita di tutti con il ritorno dell’uomo, “con gli occhi freddi” e “quasi calvo”, così diverso da com’era ricordato.

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La passione e la morte avvicinano e uniscono le due donne in un altalenante rapporto tra loro. Il dolore avanza sempre più e la coscienza di aver perso definitivamente l’amato. La realtà non può più essere taciuta e fa si che Donn’Anna/ Patrizia Milani accetti di convivere nel dolore e nella sua solitudine. Il registro recitativo cambia per effetto di un ribaltamento drammaturgico colto perfettamente dall’attrice nel suo agire sempre più delirante e ossessivo. Possessiva fino a dover accettare l’esistenza di un’altra donna nella vita di suo figlio, a sua volta vedova. Strano destino accomuna le due donne che solo in cinico destino le unisce. L’allestimento di Marco Bernardi si avvale di una riduzione del testo che permette una durata inferiore al tempo originario, condensando alcune scene ma lasciando intatto lo svolgere degli accadimenti in quadri scenici dove si coglie la drammaticità interiore dei personaggi. Da una parte una donna che non accetta il lutto e la scomparsa, dall’altra i vari personaggi increduli di dover ubbidire al volere della loro padrona. La comparsa dei figli di Donna Fiorina contribuisce allo spaesamento tra tutti: l’esuberanza dei giovani ignari del dramma avvenuto, interpretati da Karoline Comarella e Paolo Grossi, entrambi a loro agio sulla scena, e la madre di Lucia Maubel, la brava e convincente Giovanna Rossi, determinata a ricondurre a casa la figlia. Tutto concorre a creare sempre più un clima di agitazione e di disgregazione fino all’epilogo finale quando alla fine del terzo atto.

Donn’Anna diventa consapevole della morte del figlio e prigioniera della sua solitudine, una tragica condizione di chi resta in vita e fa dire: “E io, qua? – E’ ben questa la morte – cose da fare, si voglia o non si voglia – e cose da dire – siamo i poveri morti affaccendati – martoriarsi – consolarsi – quietarsi – E’ ben questa la morte”. La regia di Bernardi nel solco della tradizione offre una lettura molto rispettosa del testo e crea attraverso la suggestiva scena disegnata da Gisbert Jackel, un interno borghese su un piano inclinato, i suoni di Franco Maurina, i costumi appropriati di Roberto Banci, e le luci di Massimo Polo. Un’ambientazione algida  per descrivere una casa dove tutto deve apparire forzatamente vitale, fino a quando improvvise folate di vento, dal sibilo sinistro stanno a indicare la tragicità della vita stessa che si spegne.  Il panico cosmico della natura femminile, lunare che influisce sulla psiche della donna (s’intravede la luce della luna riflettere all’interno della stanza salotto della casa nello stupore del giardiniere/Riccardo Zini), una sedia che si gira su se stessa come mossa da spiriti presenti e invisibili. Elementi simbolici in una prospettiva irrazionalistica ed esoterica che entra a viva forza nella drammaturgia pirandelliana.

Visto al Teatro Santa Chiara di Trento  il 21 novembre 2014

 

Tournée 2015

7 Gennaio – 18 Teatro Carcano, Milano
20 – 25 Teatro Corte, Genova
30 – 4 Febbraio Teatro Bobbio, Trieste
5 – 8 Teatro Storchi, Modena
10 – 15 Teatro Mercadante, Napoli

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