Teatro, Teatrorecensione — 22/11/2012 at 09:17

La Rosa Bianca, un fiore calpestato dalla ferocia nazista. Carmelo Rifici dirige con rigore un convincente cast di attori

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Il cast della Rosa Bianca al Teatro Studio (Comunale) di Bolzano

Visi di uomini e donne la cui unica colpa era quella di essere ebrei, deportati nei famigerati campi di concentramento nazisti. Le loro fotografie scorrono su un nastro trasportatore, come un film della memoria al rallentatore, e mentre tu le guardi ripensi all’orrore dell’Olocausto. Sono i testimoni silenti che accompagnano la vicenda de La Rosa Bianca, una nuova produzione del Teatro Stabile di Bolzano, andata in scena in prima nazionale con la regia di Carmelo Rifici. Le immagini provengono da un archivio italiano e fanno parte del montaggio scenografico, composto da un reticolato di tubi metallici dove scorrono le riproduzioni fotografiche, lunghe strisce di carta, i volantini ciclostilati che accusano il Terzo Reich di portare alla rovina la Germania, e un  elenco di nomi: quelli dei maggiori letterati, artisti, poeti, musicisti,  E.T.A. Hoffmann. Ludwig van Beethoven, Thomas Mann, Johann Wolfgang Goethe. Dante, Schiller, Shelley, Caldéron. È sulle loro opere che un gruppo di studenti germanici hanno formato le loro coscienze di uomini liberi. Una sapienza che sarà calpestata da altri esseri umani accecati dall’odio e dalla violenza.

Sono i libri che chiedono alla coscienza di un popolo di ribellarsi ad una dittatura. Il regista Rifici prende spunto per la scenografia della Rosa Bianca, realizzata da Guido Buganza, da un’opera di Christian BoltanskiThe Wheel of Fortune”, esposta alla Biennale d’arte contemporanea di Venezia nel 2011. La sua installazione descrive l’essenza di vite passate, destini recuperati dalla morte e ricomposti dalla memoria. Una memoria che ritorna dall’oblio nella storia raccontata in scena. Siamo nel 1943, l’anno che vide cambiare le sorti della seconda guerra mondiale, quando la Germania subì una pesante sconfitta sul fronte orientale, ricordata come la famigerata battaglia di Stalingrado. Un gruppo di studenti universitari di Monaco di Baviera, diede vita ad un movimento di opposizione al regime nazista, chiamato La Rosa Bianca, con l’ intento di suscitare nel popolo tedesco, una reazione di rifiuto per il proseguo della guerra, consapevoli della disfatta imminente che avrebbe subito la loro nazione. I fratelli Sophie e Hans Scholl sono impegnati a diffondere clandestinamente volantini di condanna della politica belligerante del Terzo Reich. “Niente è più incivile per una nazione che lasciarsi governare da una banda irresponsabile – dirà Hans– che agisce sui bassi istinti”.

Irene Villa e Andrea Castelli

Lui e i suoi compagni di studi chiede di unirsi insieme per far cessare il massacro sui vari fronti. Studenti mossi da un ideale di pace. È una storia di passione che sfocerà nel sacrificio delle loro vite, determinate fino all’estremo per difendere principi e valori universali. in nome della libertà. Sophie, Hans, Alexander, Christop, Wilhelm, rappresentano la parte migliore della patria. Vogliono gridare al mondo le atrocità commesse dal nazionalsocialismo e occultate dal regime. Le loro uniche armi sono le parole, cariche di un’umanità struggente in opposizione alla cieca ideologia, nemica di ogni coscienza etica e religiosa. E Sophie è mossa da sincera fede che le fa trovare il coraggio di rifiutare la salvezza, offerta da Robert Mohr il capo della Gestapo di Monaco, che le fa dire: “Libertà e onore, questo bagno di sangue ha aperto gli occhi perfino ai tedeschi più stupidi… il nome della Germania è disonorato per sempre se la gioventù tedesca non si solleva”. Per lei è più importante difendere la giustizia. La condanna a morte è la prova della sua coerenza che non verrà mai meno. Centinaia di volantini distribuiti una mattina del mese di febbraio del 1943 negli atenei per denunciare i crimini nazisti.

Un azione denunciata alla Gestapo da un sorvegliante che li arrestò e per questo fu premiato con una ricompensa in denaro e l’applauso di tutti gli altri studenti. Condotti davanti alla Corte Popolare di Giustizia, in soli cinque giorni, il loro destino si compì e la ghigliottina mise fine alle loro vite. Fin qui la storia documentata da documenti conservati negli archivi della Germania Est e per decenni tenuti all’oscuro. Il regista ricostruisce la vicenda, creando un rigoroso disegno registico geometrico, nel rispetto della vicenda storica, senza facili effetti retorici ma sottolineando perfettamente le dinamiche psicologiche, rese con bravura esemplare da tutti i protagonisti, impegnati in una recitazione corale, a partire da Irene Villa, nel ruolo di Sophie Scholl. Si assiste ad un vero e proprio duello tra lei e Robert Mohr, interpretato da Andrea Castelli, l’ufficiale della Gestapo. Irene Villa da vita al suo personaggio in un crescendo continuo. Nega le accuse, ricorre alla provocazione che scuote il suo inquisitore, lo disarma, crea in lui il dubbio. Si addossa tutte le responsabilità quando dovrà cedere alle prove schiaccianti, pur di difendere il fratello e i suoi compagni. Andrea Castelli è il protagonista: un uomo soggiogato all’inizio da una giovane donna così determinata.

Pasquale Di Filippo e Enrico Pittaluga

Rappresenta la fedeltà al regime che viene minata dalla fierezza di una ragazza che rifiuta la salvezza quando le offre la possibilità di rinnegare le sue idee. Prova sentimenti contrastanti per questa ragazza, compassione e forse anche ammirazione. Alterna rabbia e incredulità nell’assistere al suo diniego quando le offrirà invano la possibilità di salvarsi, fino ad urlare tutta la sua disapprovazione. Una prova d’attore molto impegnativa che richiede la sua presenza quasi continua sulla scena. I dialoghi sono serrati, a tratti spasmodici, sostenuti da una tensione amplificata dalle suggestive musiche di Daniele D’Angelo. Il suono lugubre delle sirene, la voce di Hitler, rumori di guerra. Tutto avviene in una stanza dalle pareti ricoperte di mattoni che contribuiscono a creare un senso di claustrofobia. È il luogo dove avvengono gli interrogatori ma anche il rifugio degli studenti dove stampare i volantini e dare vita alla protesta. L’idea di fondo di Rifici è quella di far interagire tutti i protagonisti della Rosa Bianca, creando scene corali anche quando i ruoli non richiedono la presenza attiva di tutti gli attori. La storia si sviluppa attraverso incalzanti flash back, che riportano indietro la vicenda.

Le date proiettate sul muro scandiscono la progressione temporale della storia. Il regista muove i personaggi come tante pedine di una partita che assomiglia ad una sfida a scacchi. L’entusiasmo degli studenti capeggiati dal bravo e convincente Alessio Genchi, nella parte di Hans Scholl, è mosso dalla convinzione che fa credere loro, di non rischiare di essere scoperti. È un idealista, uno studente che non ammette dubbi sulle proprie convinzioni. Insieme agli altri frequenta l’Università Ludwig Maximilian di Monaco, e lui stesso aveva partecipato ai combattimenti sul fronte francese e russo. Sul suo viso si legge lo stupore suscitato dal serrante interrogatorio condotto da un cinico investigatore della Gestapo, interpretato con solida determinazione da Pasquale Di Filippo, rude e caparbio nel voler condannare i traditori della patria a tutti i costi. Tra lui e Andrea Castelli si assiste ad uno scontro continuo, come se le due posizioni ideologiche e mentali fossero antitetiche e profondamente diverse. Tra loro c’è Bauer, un militare aiutante di Mohr, ruolo affidato dal regista a Gabriele Falsetta attore molto promettente, che assume la posa di un soldato a cui viene chiesto solo di ubbidire. La sua presenza irrompe da una porta sul fondo: rappresenta quello che era il fanatismo inculcato dalla propaganda. Il suo gesto finale dopo la condanna a morte degli studenti, quando brucerà in scena il foglio con in nomi dei complici, (l’unica prova in possesso della Gestapo) segna simbolicamente la fine.

Irene Villa e Andrea Castelli

Il fallimento del movimento della Rosa Bianca fu anche quello di non aver previsto che la guerra sarebbe durata ancora due anni, incapace di percepire la solitudine che li emarginerà fino alla condanna a morte. Il popolo tedesco non riuscì a capire la tragedia, incosciente di far parte della rovina in cui stava sprofondando la Germania. Il risultato convince per la sobrietà della messa in scena, sottolineata dai tempi perfetti che ognuno mostra di possedere. Christian Mariotti La Rosa è Wilhelm Graf, la sua purezza è il simbolo di una generazione che ripudia ogni forma di violenza. Crea un cammeo al suo ruolo di studente, che arriva perfino a sbeffeggiare Hitler quando lo imita con una verosimiglianza stupefacente. Cristhop Probst è un uomo sposato, ha tre figli, interpretato da Tindaro Granata. Il suo è un ruolo apparentemente minore quanto determinante, invece, nel raffigurare un uomo mosso da sincera adesione alle idee del movimento. Potrebbe salvarsi e lasciare gli altri al loro destino. Recita con efficacia tutti gli stati d’animo richiesti dalla parte: “Il giorno della resa dei conti è arrivato. La resa dei conti della gioventù tedesca con la più abominevole tirannia che il nostro popolo abbia mai patito nel mondo più brutale.”

Alexander Schmorell è Enrico Pittaluga, uno degli studenti del movimento, determinato, capace di urlare ai suoi aguzzini, sbeffeggiandoli, i nomi dei suoi complici: Nietzsche, Kant, Mozart. Fa parte di un cast di giovani attori in grado di sostenere, insieme ad Andrea Castelli, un testo molto impegnativo, forse troppo lungo nella prima parte per via di una drammaturgia che è più narrativa ma che nel secondo atto diventa sempre più concitata e teatrale, ricca di colpi di scena. La sentenza di morte è uno dei momenti più emozionanti di tutto lo spettacolo. Il tonfo sinistro della ghigliottina che cade sulla testa fa sussultare sulla scena i giovani studenti increduli loro stessi di quanto sta accadendo. La motivazione della condanna morte recita: «Gli accusati hanno, in tempo di guerra e per mezzo di volantini, incitato al sabotaggio dello sforzo bellico e degli armamenti, e al rovesciamento dello stile di vita nazionalsocialista del nostro popolo, hanno propagandato idee disfattiste e hanno diffamato il Führer in modo assai volgare, prestando così aiuto al nemico del Reich e indebolendo la sicurezza armata della nazione. Per questi motivi essi devono essere puniti con la morte.»

La Rosa Bianca però è sopravvissuta e ha visto la luce, grazie alla scelta di Marco Bernardi, direttore artistico del Teatro Stabile di Bolzano, meritevole di averla scelta come secondo titolo della sua stagione. Un testo mai rappresentato prima in Italia e affidato ad un regista che ha saputo valorizzarlo. Dopo le repliche a Bolzano e provincia, La Rosa Bianca sarà al Piccolo Teatro Paolo Grassi di Milano, dove è preannunciato il tutto esaurito , sia nelle repliche serali che in quelle per le scuole. Quello che non si comprende come il Santa Chiara di Trento, non abbia programmato uno spettacolo come questo, non solo convincente per l’allestimento, ma anche per il suo valore etico e storico, a testimonianza che il Teatro è anche impegno civile. Un vero peccato.

La Rosa Bianca di Lilian Groag

regia di Carmelo Rifici

visto al Teatro Studio Comunale di Bolzano il 15 novembre 2012

repliche fino al 2 dicembre

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