Teatro, Teatrorecensione — 21/07/2013 at 09:18

Un solo bès per tutta la vita. Mario Perrotta “disegna” la vita al confine di Ligabue

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Emerge da un passato che sembra celare un’evanescente ricordo, come se la storia di un uomo divenuto poi artista famoso e celebrato per la sua arte, trovasse il giusto riconoscimento non solo attraverso il talento di pittore di cui era dotato, ma anche nella rievocazione sulla scena ad opera di un attore capace di assimilarne le sue gesta e le movenze, il suo incedere tipico di un uomo solitario e scomodo per la società del suo tempo. Mai il nome dato ad un festival teatrale come quello:“Da vicino nessuno è normale”, organizzato dall’Associazione Olinda di Milano, risulta più congeniale per ospitare il  progetto Un bès _Antonio Ligabue. Primo movimento del Progetto Ligabue, scritto e interpretato da Mario Perrotta. Un’indagine sulla controversa figura del pittore Antonio Ligabue, raccontato attraverso lo scorrere della sua vita, che vedrà il suo compimento con il secondo capitolo Svizzera e furore (il paesaggio interiore), dove è prevista anche la partecipazione di Micha Von Hoecke, nel 2014, e Antonio sul Po (il paese e il fiume) nel 2015 con la partecipazione collettiva di ben 80 artisti provenienti da molte nazioni che animeranno il paese di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, luogo dove il pittore visse e morì, dopo essere stato espulso dalla Svizzera, dove egli era nato.

“Un bès… Dam un bès, uno solo! Che un giorno diventerà tutto splendido. Per me e per voi”, dice Ligabue per bocca dell’attore che ha debuttato in prima nazionale al festival Primavera dei Teatri a Castrovillari (Cosenza) e dopo averlo portato in scena anche all’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini (uno spazio in cui il teatro di impegno civile trova la sua più idonea collocazione) si appresta ad una lunga tournée che lo condurrà in tutta Italia. Un bès… Dam un bès, uno solo!… supplica Ligabue attraverso le parole sussurrate in un idioma che assomiglia al dialetto emiliano di cui Perrotta ne trae una sua versione originale e carica di valenze sonore sconosciute. Solo in scena si interroga su come ci si senta chiudendo gli occhi e immaginandosi: 40 anni trascorsi e vissuti senza aver mai ricevuto un bacio. Un solo bacio in cambio di tutta la sua arte e il suo talento. Parte da questa mancanza affettiva il lavoro di Perrotta, felice risultato dopo  lunghe ricerche per documentarsi sulla vita privata e artistica del pittore.

La sua solitudine, l’emarginazione che lo ha fatto soffrire, l’essere considerato come un alieno dai suoi compaesani. Lo scemo o il matto del paese: così era visto Ligabue, lui che viveva questa sua condizione di sdoppiamento; da una parte un corpo estraneo rifiutato, dall’altra l’essere artista e di conseguenza personaggio pubblico noto per le sue opere che facevano scalpore. Scrive Perrotta nella scheda di presentazione: “ … mi interessa la sua solitudine, il suo stare al margine, oltre il margine – là dove un bacio è un sogno, un implorare senza risposte che dura da tutta una vita. Voglio stare anch’io sul confine e guardare gli altri. E, sempre sul confine, chiedermi qual’è dentro e qual è fuori”. Perrotta esce allo scoperto vestito dimesso e infagottato dentro un cappotto consunto, ha l’aria stralunata e chiede ai primi spettatori che vede seduti di dargli un bès, un solo bacio. Lo chiede farfugliando con la voce, segno di una richiesta che intimorisce lui stesso per primo. È nel crescendo progressivo che la figura di Ligabue (ma il suo nome all’anagrafe era Antonio Laccabue,) viene resa  mirabilmnete dall’attore, immedesimandosi senza però farne una sorta di personaggio caricaturale, bensì riesce ad entrare in contatto con la parte più oscura e recondita dell’uomo.

A partire dal rapporto con la madre adottiva dopo la morte di Elisabetta Costa, che era la madre naturale. La chiama mutter Elise, raffigurata attraverso il tratto a carboncino sulla carta che Perrotta con mano sicura, esegue a complemento delle parole recitate con un livello emotivo capace di commuovere il pubblico. Ligabue viene raccontato senza falsi stereotipi restituendo a noi un ritratto vero in cui emerge come sia stata difficile la vita di quest’uomo. La sua infanzia vissuta in mezzo alla natura viene descritta dall’incessante bisogno di disegnare come un tentativo di dare forma all’inquietudine del pittore, costretto a separarsi ancora una volta da una donna amata per essere ricoverato in manicomio. La sua libertà imprigionata dentro le mura di un luogo a lui ostile. Dovrà abbandonare anche la sua patria per andare a vivere a Gualtieri in Emilia, il paese originario del padre che lo riconosce come atto formale senza mai considerarlo come un vero figlio. Ligabue ha 19 anni e la sua vita subirà un’ulteriore disorientamento che lo segnerà per sempre. Perrotta fa suo Ligabue e ce lo restituisce in forma di narrazione biografica e drammaturgica, cogliendo a pieno l’anima tormentata di un’esistenza fragile di uno strano uomo, capace di mescolare due lingue così profondamente diverse tra di loro, dal tedesco all’emiliano, facendosi dire dietro che è un “mat todesch”. Lo supporta con il gesto grafico rivelatore di una padronanza artistica eccellente ma soprattutto capace di esaltare il vissuto esistenziale dell’uomo.

Il rapporto con la gente è sempre più lontano da essere considerato normale e anche la sua pittura verrà considerata segno della follia che lo possedeva. A Ligabue mancano le sue montagne svizzere e la pianura padana non è la sua terra ma grazie alla pittura saprà creare dei quadri che sanno ricreare paesaggi ispirati dal fiume Po dove Ligabue amava rifugiarsi. Lontano dal paese immerso nella natura poteva fantasticare ed entrare in contatto con la sua parte più selvaggia, libera da ogni condizionamento sociale. Il viaggio inizia così e sarà un lungo tragitto che vedrà impegnato Mario Perrotta per tre anni, passo dopo passo attraverserà l’intera esistenza dell’artista a cui egli ha saputo restituire, con precisione e realismo interpretativo, tutta la sua potenza immaginifica, l’originalità del suo essere in relazione con l’altro, il diverso da noi, la genesi ancestrale che riconduce a qualcosa di sconosciuto per la civiltà progredita  e la verità di uomo a cui mancherà sempre un bès. Un solo bès.

Un bèS – Antonio Ligabue. Progetto Ligabue, primo movimento
uno spettacolo di e con Mario Perrotta
collaborazione alla regia Paola Roscioli
produzione: Teatro dell’Argine,Teatro Sociale di Gualtieri, Comune di Gualtieri, Olinda, duel

Festival internazionale di Arso (Svizzera)

Ars creazioni e spetattacolo

Centro teatrale MaMiMò

Compagnia Dézir (Belgio)

Fondazione Archivio Diaristico nazionale

Sinapsia

Visto al festival Primavera dei Teatri di Castrovillari il 30 maggio 2013  e al Festival Da vicino nessuno è normale Olinda al TeatroLaCucina, ex ospedale psichiatrico Pini di Milano il 26 giugno 2013

In replica il 21 luglio 2013 al Lunatica Festival di Fivazzano (MS)  con inizio alle ore  21.30 Convento degli Agostianiani

e il 24 luglio a Volterra Teatro Carcere di Volterra Spazio Leopardi ore 17

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