Anna's corner, Chi fa teatro — 21/04/2014 at 15:56

Il teatro permette di guidare la gente: il nostro omaggio ai 50 anni del Theatre du Soleil di Ariane Mnouchkine, a maggio al Piccolo di Milano

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Ariane Mnouchkine arriva a maggio in Italia, festeggiando i suoi cinquant’anni di creazione collettiva, portando dal 14 al 24 maggio al Piccolo di Milano lo spettacolo La ronde de nuit realizzato con il Teatro Aftal (sole in lingua dhari), fondato a seguito di una  permanenza del Theatre du Soleil a Kabul nel 2005 per un laboratorio teatraleUna “missione” – come a Mnouchkine piace definire questo viaggio – che ha coinvolto per tre settimane in Afghanistan l’intera compagnia.

Nei suoi 50 anni di vita il Soleil ha messo in scena la Storia, la Rivoluzione e la lotta dei popoli per la libertà, da 1789 a Tambours sur la digue a Le dernier caravansérailLes Ephemères è uno spettacolo-fiume in cui si raccontano quasi sottovoce, le piccole cose della vita, ricordi lontani e dolori familiari che offrono uno scorcio assai realistico delle variegate vicende umane e delle relative problematiche e divisioni sociali. Il tutto (attori e oggetti di scena) raccontato in una pedana mobile mossa all’uopo da servi di scena (repousseur), modalità inaugurata dal gruppo ai tempi di Le Dernier Caravansérail.

L’ultima avventura teatrale della Mnouchkine, Les Naufragés du Fol Espoir è una curiosa rielaborazione cine-teatrale dal romanzo postumo di Jules Verne che diventa una sorta di viaggio anche per gli spettatori: la storia, ambientata agli inizi del Novecento durante un film in corso di lavorazione negli scantinati di un ristorante, esplora gli ideali e le utopie socialiste che in quegli anni infiammavano nobili animi. Così, mentre si gira il film ispirato all’attraversamento in nave delle lande ghiacciate, si indaga la psicologia dei naviganti e dei viaggiatori: chi alla ricerca dell’oro, chi alla ricerca di un lavoro, chi alla ricerca di un luogo dove piantare la bandiera del socialismo. Ma la nave è il microcosmo del mondo dove viltà e coraggio, nobiltà e avidità, amore e odio si scontrano per approdare nel deserto ghiacciato di una terra vuota e inutile ma che pure è contesa dall’Inghilterra e dall’Australia. 

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Ariane Mnouchkine ha usato la scena per portare alla luce i problemi concreti dell’umanità non sottraendosi dunque, a quel dovere del teatro, a cui spesso le compagnie invece, si fanno latitanti, ossia di ficcare gli occhi in faccia alla vita: la tragedia dei profughi, le violenze, le persecuzioni, le emarginazioni, la mancanza dei diritti civili nei paesi totalitari, le torture, le discriminazioni. La Cartoucherie è veramente la no man’s land dove tutti hanno diritto di cittadinanza, dove è possibile incontrare il teatro degli oppressi, il teatro d’Oriente, quello di Kabul dove conoscere altre culture, altre lingue. 

Ariane è  sempre stata vicina alla compagnia Aftal sin dal suo esordio con il primo spettacolo, Romeo e Giulietta; questo il messaggio beneaugurante a loro inviato per il debutto: A tutti coloro che fanno brillare il sole dell’arte, del teatro, dell’amore, della fratellanza e dell’universalità dell’essere umano nella loro città fatta a pezzi: vi penso ogni giorno, siete all’inizio di un’avventura magnifica”.

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Un documentario di qualche anno fa racconta proprio l’esperienza a Kabul del Theatre du Soleil, prodotto da Bel Air Media e distribuito dalla FNAC anche in Italia: Un soleil à Kabul ou plutôt deux, una testimonianza appassionata e appassionante del lavoro del teatro diretto da Ariane Mnouchkine a Kabul e realizzato da Duccio Bellugi Vannuccini, da oltre vent’anni membro della compagnia, in collaborazione con Sergio Canto Sabido, Philippe Chevallier.

Uno stage di regia, di drammaturgia, di recitazione e di costume per i giovani afgani nel cuore di un paese dilaniato da conflitti e fondamentalismi e dove l’arte in ogni sua forma è finita sotto il fuoco incrociato dei vari regimi politici: dalla lotta contro il potere sovietico, alla guerra civile tra fazioni di mujahideen, fino al regime repressivo dei talebani che proibiva alle bambine di andare a scuola e alle donne di lavorare fuori casa. La musica e gli strumenti erano banditi, distrutti e bruciati pubblicamente come del resto i libri. Il film racconta l’avventura straordinaria di una compagnia che, come il Living, non ha mai smesso i panni dell’idealismo umanitario, che continua a contrastare i regimi autoritari, le barbarie dell’intolleranza, della violenza e dell’ingiustizia con le armi affilate del teatro. I pericoli ci saranno, gli attori vengono avvertiti sin dalla prima riunione alla Cartoucherie e Ariane ammonisce i membri della compagnia a prendere una decisione con convinzione. Dubbi, timori per la propria sicurezza e incolumità fisica, ma non per Ariane.

La missione chiama e il teatro risponde, in nome di un progresso ma di civiltà e umanità. “Come puoi pensare che un paese possa svilupparsi economicamente se la metà della popolazione è tagliata fuori? Chi lo può dire se non voi? Questo è il vostro ruolo, questa la vostra missione, perché non c’è ARTE SENZA MISSIONE. Il teatro permette di guidare la gente.

Teatro come resistenza all’indifferenza della società. Teatro come utopia vivente: libertà, uguaglianza, fraternità.
Il film intervalla immagini delle prove, delle vestizioni, delle improvvisazioni a toccanti momenti di vita quotidiana nel cuore di Kabul tra passaggi felici di bambini che giocano e immagini del degrado sociale, di povertà, dentro lo stadio dove avvengono le partite di calcio ma anche le esecuzioni sommarie, o intorno al cimitero dei martiri. Un teatro catapultato in Asia minore, tra barbarie e oscurantismo ma dove la miccia della speranza di un cambiamento è rappresentata anche dal coraggio dei giovani iscritti allo stage, dalla loro voglia di esprimere liberamente a teatro ideali condivisi.
I bagagli della Compagnia sono bauli strapieni di costumi usati in precedenti spettacoli, maschere e volumi che illustrano le vesti, i tipi e le scene della commedia dell’arte, della commedia all’improvviso. In uno spazio non attrezzato all’aperto, d’estate la compagnia insieme con le nuove leve afgane desiderose di imparare l’arte della scena, tirano su un palco provvisorio con assi di legno tagliate al momento e le quinte con stoffe colorate di arancione, di giallo, di verde. Robert, che ha chiamato la compagnia, ha radunato da tutta la regione numerosi attori professionisti e non, aspiranti registi, giovani e giovanissimi; poche le ragazze, del resto “in tutto il paese recitano soltanto 2 o 3 donne”. Le famiglie ostacolano questa attività leggera e pericolosa che contrasta con l’aspirazione comune di vedere il proprio figlio arruolato nella polizia o al limite meccanico, come raccontano i ragazzi puntualmente registrati dalla telecamera. Il regista coglie la passione sincera che alberga in loro e la gioia di fare parte finalmente di un gruppo, condividerne impegno, dedizione, fatica ma anche sorrisi, la bonheur.

Perché il teatro è una festa. 
Ariane ha deciso: con le maschere di tutto il mondo, della tradizione balinese e italiane i giovani attori aiutati dalla compagnia reciteranno sulla scena per denunciare attraverso il comico la stupidità e l’arroganza del potere. Ariane è lì in prima fila, non dirige, è più spettatrice casomai, aiuta loro a esprimersi sintonizzandosi sul ruolo, a trovare “il ritmo interiore”, adeguando le improvvisazioni corporee alle maschere che indossano per la prima volta e che forse non hanno mai visto prima. L’obiettivo dello stage, che Ariane spiega ai giovani è di “recitare la maschera”, di “scendere nel cuore del personaggio ma il cuore del personaggio ha bisogno del vostro cuore, vivete una passione e dategli una forma!”
Arlecchino persiano, Pantalone talebano, padroni avari, servi astuti, impostori di ogni epoca e di ogni latitudine. Moliére a Kabul. Mettono in scena sketch con i talebani come ignoranti zoticoni incapaci di leggere, e le donne che hanno finalmente la rivincita e li bastonano e li mettono alla berlina. Un mondo alla rovescia o il mondo come dovrebbe essere? Ariane approva queste improvvisazioni e ride commossa: “C’era davvero catarsi! Interpretare i talebani con queste maschere li rende umanamente accettabili e buffi, quindi è veramente una poetica trattare il nemico con il comico. Come Chaplin con Hitler, con Il grande dittatore, è la stessa cosa, lo stesso processo”

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Chiede agli uomini di indossare in scena i panni femminili. Prima però devono indossare il tchari e avere il coraggio di uscire veramente per la strada: “Provate, siete attori, e avrete vergogna, sentirete su di voi questo marchio di infamia, camminate per la strada, chi può avere questo coraggio se non voi attori? Chi aprirà le gabbie? “. 

Per alcuni di loro questa sarà solo una parentesi, per altri significherà il futuro, un lavoro dentro il teatro; c’è chi partecipa a questo stage di nascosto dai genitori, uno di loro, scoperto, viene cacciato di casa. Ha perso una famiglia, ha trovato il teatro. Altri ancora prendono alla lettera l’esortazione di Ariane: “Lasciate parlare il desiderio d’arte, non importa la nazionalità, iniziate a fare gruppo. Noi vi aiuteremo ma la spinta deve partire da voi”.

La nuova compagnia parte per la Francia, per due mesi vivono alla Cartoucherie vicino al Bois de Vincennes, fanno stage di danza katakhali e pratica di mimo e teatro orientale e allestiscono in persiano il Tartufe di Moliere.
Marian, la Giulietta dello spettacolo, rinuncia. La famiglia non vuole che lei continui a fare teatro: “La libertà che abbiamo trovato qua non sarà possibile in Afghanistan”. 

La missione continua.
La Storia come ricorda Mnouchkine ha bisogno di un preliminare, minuzioso lavoro di memoria e di documentazione. Pensiamo alla straordinaria ricerca nei campi profughi per Le dernier caravanserail: questa umanità alla deriva ha una voce, un passato e un volto che si manifestano tragicamente davanti all’Assemblea teatrale. Del resto era proprio Mnouchkine a proposito di Méphisto, a spiegare così il suo metodo: “Plus on pénètre profondément dans l’histoire, plus elle éclaire le temps présent.

Appuntamento immancabile al Piccolo Teatro di Milano per festeggiare il Sole del Teatro.

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