Teatro, Teatrorecensione — 21/02/2012 at 15:28

E’ il Fatzer che circola nella nostra società inquieta e conflittuale.

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Uomini alla deriva, superstiti di un esercito che non ha più un capo, incapaci di darsi una ragione di vita per qualcosa che valga la pena combattere. Esseri umani sbando come frammenti di esistenze in via di dissoluzione. È il 1917 un anno di guerra , tra quattro soldati uno di loro è pronto a disertare e vuole convincere anche gli altri tre. Su di loro aleggia una spada di Damocle rappresentata da un nemico invisibile ben più agguerrito dell’esercito rivale. Un campo di battaglia disseminato di miseria e povertà, di contrasti sociali che Bertold Brecht riporta in vita nel suo monumentale testo rimasto incompiuto: “La rovina dell’egoista” Johann Fatzer, il più noto dei suoi testi mai completati. Si deve a Heiner Müller la riscoperta, grazie al suo certosino lavoro di consultazione negli gli archivi di Berlino, dove ha scoperto centinaia di pagine di appunti legati al soggetto “Fatzer”. Brecht vi lavorò tra il 1927 e il 1932 scrivendo quasi seicento pagine di appunti, frammenti, scene complete e note teoriche in cui sviluppava una nuova idea di teatro. Il dramma è ambientato nella Germania degli anni della Prima guerra mondiale, Johann Fatzer e tre commilitoni nascondono il proprio panzer e scappano a Mühlheim, una città segnata dalla fame e dal malcontento sociale. Un dramma centrato sulla necessità di contrastare l’ingiustizia e lo sfruttamento senza per questo dover ricorrere alla violenza. Il tutto ambientato all’epoca della Repubblica di Weimer. Sembra un monito di tragica attualità per quanto è accaduto di recente nei paesi del medio oriente e nel nord Africa e in Grecia pochi giorni fa.

In questo caotico e magmatico materiale si è immerso il drammaturgo Heiner Müller nel tentativo di cercare un filo conduttore che permettesse una lettura il più coerente possibile, creando una versione teatrale nel 1978, anno in cui la Germania viene a trovarsi in una situazione molto difficile a causa dei tragici eventi di sangue causati dalla Raf, la Rote Armee Fraktion conosciuta comunemente come Banda Baader Meinhof, uno dei gruppi terroristici di sinistra più violenti del periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Una sfida titanica quella di portare in scena un testo -non testo incompiuto, se non che Fabrizio Arcuri regista dell’Accademia degli Artefatti, sempre pronto a percorrere nuove strade drammaturgiche, ha deciso di provare a “domare” “Fatzer Fragment/Getting Lost Faster” portandolo sulla scena grazie ad una proficua collaborazione tra Teatro Stabile di Torino, la prestigiosa Volksbühne di Berlino , e l‘Accademia degli Artefatti un progetto che includeva anche “Kill your darlings” di René Pollesch. Arcuri con la collaborazione drammaturgica  di Milena Massalongo, (sua la traduzione per Einaudi) e di Magdalena Barile, per la versione scenica, sceglie la strada del linguaggio scenico per evocazioni, suggestioni, effetti sonori dirompenti come le esplosioni che si ripetono e stordiscono l’udito.

La vista è sollecitata da un susseguirsi di azioni drammatizzate con l’intento di svuotarle del suo significato originale. Inscenare la violenza come esorcizzazione della stessa e allo stesso tempo far si che imploda e si auto annulli. Tutto viene amplificato dai microfoni portati in scena a vista con la giraffa, tanto da assomigliare ad un set cinematografico. È il rovesciamento della convenzione teatrale: nulla deve sembrare reale e allo stesso tempo artificio scenico. I materiali servono a riprodurre un concetto ideologico, un pensiero che si esplica solo attraverso il deflagrarsi di scoppi che stordiscono e stanno a dire come la violenza sia qualcosa che cova sotto le braci di una umanità scontenta e dolente. Non vuole essere esaustivo bensì dare solo sollecitazioni a chi è presente e desidera condividere questo tentativo di sbrogliare la matassa incandescente, che prende fuoco fin dall’inizio con l’incendio di un’auto che salta in aria. Sono frammenti di scene già viste scorrere migliaia di volte sui nostri televisori. I personaggi che animano la scena cruda e spogliata da ogni orpello, dove trovano posto tre contenitori metallici che ruotano su stessi, si aprono e si richiudono, sono i Fatzer che a turno incarnano l’uomo in preda ad un’inquietudine esistenziale e incapace di trovare pace in una società dove il più forte ha sempre la meglio su quello più debole. Lo spunto originale che Arcuri coglie e fa suo è la possibilità di allacciare passato e presente. Un Brecht del 1930 si rivela più contemporaneo che mai e il progetto registico esalta tutte le possibile assonanze con una realtà storica e sociale così conflittuale come quella in cui viviamo. Le uniche riserve sono su una lentezza drammaturgica in certi passaggi a scapito della fluidità delle scene più prettamente visive. Un maggior sfoltimento del testo per ridurne il tempo di durata gioverebbe di sicuro sull’esito finale. Un peso fondamentale nel lavoro presentato è sostenuto dalla prova di Francesca Mazza sempre più a suo agio con ruoli di estrema contemporaneità, capace di dare vita ad una figura quasi ieratica, solenne nel suo incedere, a cui si aggiunge Matteo Angius, attore sempre più dotato di capacità attoriali adatte a ruoli come quello richiesto in Fatzer.

Fondamentale il contributo della parte musicale con le esecuzioni eseguite dal vivo da Luca Bergia e Davide Arneodo i Marlene Kunz e il contributo dei Portage Enrico Gaido e Alessandra Lappano per quanto riguarda la parte degli effetti speciali che creano mediante le esplosioni. Nel cast recitano anche Werner Waas, Paolo Musio, Mariano Pirrello e Beppe Minelli. E con Enrico Gaido e Marta Montevecchi

 

Fatzer Fragment /Getting Lost Faster

di Bertold Brecht

traduzione e consulenza drammaturgica Milena Massalongo

versione per la scena Magdalena Barile

Regia di Fabrizio Arcuri

scene di  Gianni Murru

disegno luci Diego Labonia

video Lorenzo Letizia

costumi e assistente alla regia Marta Montevecchi

visto alla Cavallerizza Reale di Torino il 6 febbraio 2012

 

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