Teatro, Teatrorecensione — 20/04/2012 at 07:54

Patricia Zanco rompe il “Silenzio” e racconta una storia che non deve accadere più

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Il silenzio può essere assordante quando urla da dentro. È un silenzio come può essere il vuoto che provi dopo un dolore immenso. Ti ferisce dentro irrimediabilmente. Quello per una violenza subita in un’età in cui la vita  si sta affacciando sul mondo, dove bambine innocenti hanno trovato sulla loro strada un “mostro” che negato loro la felicità di crescere. Segnate per sempre. Sono le vittime che parlano in “Silenzio” a ragione definito “un’onda anomala che ci porta sia nelle profondità sia sulla superficie dell’animo umano”. A dirlo è un’attrice da sempre impegnata nel portare in teatro storie dove  interrogarsi: Patricia Zanco racconta cosa è accaduto a Anna e Angela, unite insieme dal loro silenzio che si è trasformato nel corso degli anni, in una denuncia sfociata in un processo a carico di un maestro elementare, colpevole di aver commesso abusi sessuali su bambine. Il silenzio covato per lunghi, troppi anni, aggravato anche da parte di chi sapeva e non ha voluto denunciare. È la storia accaduta in un paese della provincia veneta dove un uomo, ritenuto persona stimata e rispettabile, ha sulla sua coscienza il male procurato a 50 inermi piccole vittime.

Da un fatto di cronaca nera e dalle testimonianze processuali, dalla viva voce delle protagoniste divenute donne adulte, è nato un progetto teatrale che al di là del valore artistico, vuole essere un mezzo per sensibilizzare la società a cui viene chiesto di non ignorare, ogni qual volta accade di leggere sui giornali episodi di violenza e abuso sui minori. Un reato orrendo che ha un solo nome: pedofilia. Là dove l’innocenza della vita umana è stata macchiata indelebilmente dalle mani di un uomo. Patricia Zanco è una narratrice che sa evocare il dramma e l’orrore della vicenda senza sconti, con una dialettica apparentemente crudele, in verità in lei non c’è mai retorica e sa usare sapientemente toni lirici, poetici e umoristici (il valore aggiunto che testo, regia e interpretazione ha saputo creare). La giustizia ha già fatto il suo corso mentre lo spettacolo (ma la definizione è imprecisa) ha un ruolo universale. Evitare che cali il silenzio su gesta che si possono definire solo come crimini contro l’umanità. In scena ci sono i bambini che giocano e appaiono dietro un velo bianco, come lo sono i loro vestiti di un colore candido.

 

 

Stanno a significare come la purezza sia un elemento fragile se non viene difeso e protetto costantemente. Sono piccoli intenti a giocare, un coro che si dispone prima della rappresentazione del dramma: “Un gioco dei bambini che si carica progressivamente di tensioni, di minacce, e di una deprimente verità nel momento in cui si insinua nel gioco l’ombra nera: l’impensato, l’intruso, il predatore”. Il rapace che piomba sulle sue vittime inermi. I dialoghi interpretati dall’attrice , insieme a Linda Bobbo, sua efficace spalla, danno vita a più personaggi che compongono una favola reale crudele dove non c’è spazio per un lieto fine. È un crescendo emotivo che amplifica la “voce” delle piccole vittime, le restituisce la loro sofferenza negata dagli adulti. Si ha la sensazione di assistere ad una cerimonia di riparazione per il male procurato e subito. Un sommesso canto che rievoca una ferita ancora aperta e c’è solo un modo per riuscire a cicatrizzarla: parlarne senza timore, senza vergogna, senza la paura di essere colpevolizzati dall’opinione pubblica.

Fa più male essere abusati o sentire addosso il peso dell’indifferenza a cui segue la sensazione di passare da vittime a colpevoli. L’indice puntato verso le vittime e non nei confronti del carnefice. Sono donne che nella loro tenera età hanno vissuto in famiglie disagiate, emarginate, dove il seme della violenza ha trovato terreno fertile per germinare e infestare una piccola comunità. Le figure che Silenzio mette sotto accusa sono molteplici e tutte rappresentano ruoli pubblici, istituzionali, religiosi. Non condanna ma chiede di soffermarsi a pensare. Patricia Zanco pone degli interrogativi a cui è impossibile sottrarsi. “Perché è potuto accadere?”, è la domanda che circola tra il pubblico che partecipava al Teatro Comploy di Verona. Il suo teatro è aperto sul mondo e invita a farne parte. Un teatro collettivo dove la scena si estende e la famosa quarta parete viene annullata per l’intensità e la partecipazione solidale al dolore che lei stessa si fa portavoce in rappresentanza di 50 vittime.

Ma quanti sono in Italia le vittime prede dei pedofili? Silenzio è fatto di evocazioni, suggestioni visive e sonore, gesti misurati e anche quando il dramma viene stemperato da una garbata e sottile ironia, come nella scena surreale (e per questo molto simile alla realtà) dell’intervista televisiva dove tutto viene banalizzato reso superficiale, masticato da un linguaggio che tende a nascondere la verità per crearne una a misura dell’odience. È l’unica concessione che la regia di Patricia Zanco e Daniela Mattiuzzi inserisce in un lavoro drammaturgico ( firmato anche da Alberto Graziani) che prima di tutto è un manifesto di denuncia civile per offrire alle nuove generazioni (e non solo), la possibilità di confrontarsi, grazie anche al contributo dell’associazione Dafne, costituita dai famigliari delle vittime con la volontà di tenere alta l’attenzione sul problema. Per non dimenticare. Per far si che non accada più. Per impedire il silenzio.

 

Visto al Teatro Comploy di Verona il 28 marzo 2012

 

In collaborazione con il Comune di Verona – Assessorato ai Servizi Sociali e Famiglia, Assessorato alla Cultura
Con il patrocinio di Provincia di Verona e di Commissione Pari Opportunità – Provincia di Verona

 

 

 

 

 

 

 

 

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