Teatro, Teatrorecensione — 18/12/2011 at 20:14

Alla “Fame” non si comanda. Nemmeno se sei un “Mostro” e mangi solo “Cicche”

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Sei brutto come la fame. “La mia fame è atavica: vengo da una dinastia di morti di fame!” diceva Totò a Parigi (dal film omonimo), e chi è affamato è quello che esclama: “Ho una fame da lupi!” e i lupi se ne intendono di fame. Anche Napoleone Bonaparte era un esperto in materia quando sentenziò: “Per gli stomaci vuoti non esistono né obbedienza né timore”.  Curzio Malaparte non è da meno : “La fame umana ha una voce meravigliosamente dolce e pura. Non v’è nulla di umano nella voce della fame”. Giovanni Verga sosteneva che “cane affamato non teme bastone”, e poi chi ha fame non ha nemici recitava un detto popolare. La fame. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ce n’ è di tutti i tipi. Quella atavica per i cibi ricchi di calorie e quella “come condizione della mente e della percezione del mondo in Knut Hamsun”, un saggio scritto da Roberto Carracci (www.kainos.it), fame di altro, fame come bulimia patologica e psicologica. Fame come ricerca ossessiva di qualcosa, di qualcuno. Lo dice anche Ilinx Officine Artistiche che ha pensato di realizzare uno spettacolo sulla fame: Dittico della Fame. Lato A. Cicche Lato B. Mostro.

 

In scena due performer donne per il primo Lato A con Maria Rosa Criniti e Mara Marini. Due performer uomini per il secondo Lato B: Nicolas Ceruti e Luca Marchiori. Due lati speculari, connessi come un rovescio della medaglia. Una messa in scena definita: “Un’indagine tragica-comica della realtà contemporanea attraverso la lente del surreale”. Cicche è quello che convince di più dei due Lati, il più aderente all’intenzione espressa dagli autori -drammaturghi che descrivono una donna che si nutre ossessivamente solo di gomma da masticare. Un lavorio della bocca sempre impegnato nel tentativo di vivere qualcosa che non è semplice fame ma è anche altro. Insoddisfazione, frustrazione, aspirazione ad essere amata e desiderata, che le fa dire che la “verginità non è una malattia”. Sta in piedi su una pedana e si dimena come volesse trovare un posto nella società dove tutto è stereotipato, inflazionato, dove la sua “Fame” è qualcosa che muta in continuazione. È quella “Fame” che livella tutto, appiattisce e crea quel conformismo imperante visto troppe e tante volte in televisione. La negazione delle individualità, l’esaltazione di certe mode edonistiche e superflue.

Cicche parla di temi attuali, forse li tocca appena senza approfondirli, ma lo stile surreale – meta linguistico è comunque in grado di far pensare. Come quello sull’anoressia che fu al centro di uno scandalo nell’ambiente della moda, con la morte di una celebre topo model, affetta da questa grave patologia, costretta dal suo lavoro a ridursi ad un larva umana per poter continuare a sfilare sulle passerelle dell’alta moda. Icona tragica di un sistema deplorevole e cinico. Maria Rosa Criniti e Mara Marini, due sorelle, una viva e l’altra che ritorna dall’aldilà, in un dialogo tra due lati speculari di una stessa forma umana femminile che si completano fino alla fine, quando il corpo resterà nudo, vero, senza barriere e senza falsi paraventi.  Brave entrambi nel dare vita ad un dialogo rarefatto fatto di evocazioni surreali, immaginifiche.

Mostro è il Lato in cui la Fame è “un concerto per voce e musica elettronica”, dove agiscono due uomini, entrambi in scena definiti “preda e predatori”. Qui la “Fame” si gioca su desideri famelici sessuali erotici da maschio conquistatore ma non è capace di amare. Chi brama il sesso così non è un amatore capace di sedurre con fascino e sensibilità. È un predatore che si fionda sulle sue vittime e le “divora” voracemente. D’altronde la fame è anche questa, disturbo compulsivo da curare seriamente. Sulla pedana c’è un un uomo che si trasforma in un robot affetto da desiderio famelico, ossessivo, dove ogni conquista non soddisfa mai a sufficienza. Niente di più vero se vogliamo fare dei raffronti con certi modelli creati ad arte per dare l’illusione che il maschio vero, quello virile, sia il conquistatore, lo “sciupa femmine” per eccellenza. Un Mostro di ordinaria quotidianità.

Gente che si trova nei format televisivi dove il tronista di turno deve convincere donne e pubblico, di essere il latin lover, l’uomo a cui nessuna dirà di no. Mostro al pari di Cicche è un tema interessante e varrebbe la pena approfondirlo, quello che non convince e distrae è l’uso massiccio di immagini di corpi femminili nudi. Corpi sezionati, catalogati, frammentati. Non è il nudo in sé che invalida la perfomance di Nicolas Ceruti e Luca Marchiori, quanto l’idea di trasformare visivamente il dialogo dei due protagonisti in scena, saturando la vista. La sperimentazione teatrale si è avvalsa di questi mezzi visuali, anche impropriamente, e se il risultato è quello di saturare l’azione drammaturgica, come in parte è accaduto in Mostro, conviene, forse, rivedere l’impianto scenico e dosare maggiormente recitazione -azione con altri effetti quali le proiezioni.

Ilinx Officine Artistiche ha il merito di proseguire una ricerca originale drammaturgica e si nota la serietà in cui Cristiano Sormani Valli e tutto il gruppo è impegnato. Il Dittico va nella direzione giusta e vale la pena rinunciare a certi “effetti speciali” a favore di un linguaggio performativo centrato maggiormente sulla parola -gesto capace di stupire.

 

 

Ilinx Officine Artistiche. Dittico della Fame. Lato A. cicche Lato B. Mostro. Sceneggiatura: Cristiano Sormani Valli, Nicolas Ceruti, Maria Rosa Criniti, Luca Marchiori, Mara Marini. Azione: Nicolas Ceruti, Maria Rosa Criniti, Luca Marchiori, Mara Marini. Immagine ricerca e foto: Alessandra Di Consoli. Video: Barbara Ferrari, Nicolas Ceruti, Cristiano Sormani Valli. Impostare e luce desing: Nicolas Ceruti, Luca Marchiori. Sound design:. Thomas Peres

Musica: Cristiano Sormani Valli, Luca Marchiori. Costumi: ilinx. Scenografia: Cristiano Sormani Valli.

Produzione: ETRE Fondazione Cariplo, ilinx. Teatro Traetta, Bitonto, Italia. 2011/09/03. Foto: Guido Belli

Materiale non conforme, rassegna di Teatro Civile

Visto al Portland Teatro di Trento il 9 dicembre 2011

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