Focus a teatro, Teatro — 18/07/2012 at 09:41

Roberta torna a casa e accoglie nelle sue stanze la vita che diventa teatro. Cuocolo e Bosetti a Vercelli

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Attenti a suonare il campanello di quella casa dall’aspetto modesto e dimesso. Si apre la porta e una volta accolti,  finirete dentro delle stanze trasformate in tanti piccoli palcoscenici teatrali itineranti. Siamo a Vercelli in mezzo a campi coltivati a riso, dove abitano Roberta Bosetti e Renato Cuocolo. O meglio: recitano “Roberta torna a casa”, l’ultima produzione scritta diretta e interpretata dalla coppia anche nella vita. Lei è stata un’attrice affermata che ha lavorato con registi del calibro di Strehler, Tiezzi e Malosti, lui è un regista e il fondatore del Teatro dell’Ira all’ospedale psichiatrico di Trieste diretto da Franco Basaglia, il padre della legge 180 , quella che ha chiuso i manicomi in Italia. Ora si chiama Iraa Theatre da quando Roberta e Renato si sono trasferiti a Melbourne in Australia, dove sono considerati delle celebrità per aver creato un fenomeno artistico di portata mondiale.

I loro spettacoli in casa hanno totalizzato migliaia di repliche e sono anche compagnia di bandiera. Hanno deciso di tornare in Italia in una casa a tre piani con giardino annesso e due gatti. Dentro c’è anche una betulla che sbuca dal pavimento le cui radici sono nella stanza al piano di sotto. Le pareti di questa strana stanza -serra sono tappezzate da migliaia di parole scritte da Roberta con le matite colorate, quelle che ogni bambino usa per disegnare. Raccontano storie di vita vissuta, di dolore e sofferenza, di una madre affetta dall’Alzheimer. Il motivo per il quale è stata presa la decisione di tornare in Italia. A Vercelli nella casa natale di Roberta. E qui rinasce il loro fare teatro così particolare che si realizza dentro il loro domicilio insieme agli ospiti/spettatori accolti a gruppi di 12/15 alla volta. Ogni sera va in scena un teatro perturbante e domestico che alberga dentro l’inconscio di qualunque vita ordinaria e terrena.

 È un teatro che nasce insieme a chi lo guarda e diventa coprotagonista, dentro il salotto, la camera da letto, nello scantinato. Uno spettacolo che si fregia di essere scelto da due festival di teatro:  Colline Torinesi (Torino) e  Nessuno da vicino è normale dell’Associazione Olinda di Milano. L’esperienza è irripetibile e foriera di emozioni dove il confine tra realtà e finzione svanisce nel momento stesso che Roberta ti fa sentire “a casa” e ti chiede di raccontare “hai mai deciso di ritornare?”. È un ritornare da qualche luogo del tuo passato, da dove eri, da dove non avresti mai voluto andare via o sei stato costretto a farlo. Diventi parte di un viaggio a ritroso dove puoi anche ritrovarti.

Non c’è nulla di inventato in “Roberta torna a casa”, tutto si basa sull’autobiografia della protagonista. Parla del suo ritorno da Melbourne nella sua casa dove è nata e vissuto da bambina. Racconta di come ci viveva con la sua famiglia, della nonna, della madre che si ammala e vaga di notte per le strade senza sapere il perché. Il privato della sua intimità diventa pubblico ma non c’è nessun intento morboso. Qui non siamo in un “Grande Fratello” televisivo. Tutto è vero e ne fai parte come potrebbe essere un ospite invitato a casa di amici e conoscenti. Ti siedi su una poltrona rossa e inizi ad ascoltare, non una storia che non conosci ma qualcosa che va in risonanza con qualcosa di molto ancestrale. Una sorta di gruppo d’ascolto in grado di aprire la mente a ricordi mai sopiti.

Roberta porta in scena la vicenda di una madre per renderla ancora vitale e impedire che finisca nell’oblio. Tutto sembra parlare in quella casa: i quadri, la libreria con l’enciclopedia che sfogliava da ragazza. Una lampada emana una luce soffusa e sembra avere due occhi che scrutano dietro il paravento. Si respira un’atmosfera avvolgente dove ti senti al sicuro e protetto. Ti viene offerto un dolce a base di latte riso e cacao e lei, Roberta, beve un bicchiere di latte dove spruzza dentro da una siringa qualcosa che sembra sangue. Gesto metaforico per dire come la vita sia fatta anche di lacrime e sangue e non solo di gioie. Ci sono anche i dolori da affrontare nella vita. Ma non è qualcosa che turba, i suoi gesti sono sempre misurati e la sua recitazione è pacata almeno fino a quando spogliatasi del suo abito, indossa il vestito a cui la madre era più affezionata, e con una parrucca in testa da vita ad un monologo (dentro la stanza dei ricordi scritti dove campeggia la betulla), intenso e sofferto. “È la prima volta che recito teatralmente” spiega Roberta, a differenza degli altri loro spettacoli (se così si possono definire) , “in questo caso recito la parte di mia madre” e lo fa con un’immedesimazione da manuale di recitazione: parte in italiano e parte in dialetto vercellese, tanto da sembrare una cantilena. Un turbinio sonoro  da riuscire ad avvolgerti dandoti l’impressione, che le parole scritte sui muri della stanza, abbiano preso vita e finiscano per emettere suoni umani.

D’altronde sono gli stessi Renato e Roberta a spiegare uno dei dieci comandamenti del loro modo di intendere il teatro: “ È un’arte contaminata dalla vita, dalla morte e dal caso; il teatro che fai non prescinde dalla vita che hai; ogni volta che finisce la rappresentazione, muore con te. “ All’indomani di una rappresentazione di The Secret Room (1600 repliche per dieci spettatori alla volta) spiegavano: «Come è la vita questo spettacolo nasce sulla riflessione del teatro, sulla relazione tra attore e personaggio, sull’uso dello spazio non teatrale. L’ambiguità che si viene a creare in una situazione interessante di ascolto (tra pubblico e Roberta nasce una forma di empatia reciproca) e lo spettacolo inteso come rappresentazione teatrale viene meno. La ripetizione è contaminata dal caso. L’attore tiene in mano le briglia del caso estremizzandolo. Noi facciamo teatro nei luoghi reali. Una trappola per la realtà. Io sono un’attrice che recita me stessa – spiega ancora Roberta – dove sparisce la famosa quarta parete ( il “muro” immaginario che divide il palco dal pubblico) , lo spettatore si scopre di più e si emoziona. Si crea un’interazione diretta con lui e ai sedicimila spettatori che sono venuti a vedere The Secret Room ho dato del tu.»

Nel 2001 The Secret Room ha vinto il Green Room Award per la migliore performance innovativa / nuova forma d’arte in Australia e MO Award per la migliore produzione dell’anno in Australia. I testi scritti da Renato e Roberta «nascono come testi teatrali da storie della nostra vita, è come guardare la nostra vista dall’esterno. Come un doppio piano dove sei tu ma è come se raccontassi una storia accaduta ad un altro.»

Viene a mente allora il prologo declamato da Roberta prima dell’inizio di The Secret Room, parole che danno il senso di come il loro teatro è qualcosa che sconfina dentro la nostra vita e finisce per toccare il nostro ‘inconscio: «Non sentirete niente che non avete sentito niente; non vedrete niente che non avete visto prima; non sentirete niente di quello che sentite sempre; non vedrete niente di quello che vedete sempre; non vedrete niente di teatrale; non vedrete uno spettacolo; qui stasera non si fa spettacolo». La vita stessa è spettacolo e alla fine quando esci da quella  casa di Vercelli, ripensando alla frase di Roberta, letta dai Quattro Quartetti del poeta Thomas Stearns Eliot: “Nel mio principio è la mia fine/nella mia fine è il mio principio”, ti accorgi di non aver fatto altro che guardare dentro la tua vita, dove il reale e la finzione si sovrappongono, senza nessuna alcuna differenza.

Visto a Vercelli in via Ariosto 85 il 12 luglio 2012

Festival delle Colline Torinesi

Festival Da vicino nessuno è normale OLINDA

 0266200646
olinda@olinda.org

Repliche  martedì 19, mercoledì 20, giovedì 21 ore 21

Casa Cuocolo/Bosetti, Vercelli

 

 

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