azioni performative, Teatro — 17/12/2014 at 09:54

Rompere per “guarire”, CRASH diventa un rito dove liberare le proprie emozioni

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PRATO – Capita a tutti prima o poi nella vita, di perdere per un attimo il controllo delle proprie azioni. Accade quando la rabbia scatena una reazione tale da prendere il primo oggetto e scagliarlo per terra. Lo si fa abitualmente quando non si riesce a contenere un’emozione negativa che prende il sopravvento, e a farci le spese, è qualcosa di materiale preso tra le mani. Secondo gli psicologi questa terapia di sfogo è una delle migliori per il controllo dell’aggressività, anche se deve essere sana e controllata. Nel New Jersey esiste un club privato chiamato The Destruction Company in cui le persone possono permettersi di distruggere quello che vogliono. L’unica clausola è quella di pagare quello che viene rotto. Oggetti di valore pronti per essere sacrificati. Anche in Italia ci si è attrezzati per soddisfare “esigenze rabbiose”, a volte incontenibili, come quelle viste tante volte al cinema, scene di devastazioni casalinghe tra marito e moglie, tanto per fare un esempio: lanci di vasellame e stoviglie a raffica come armi improprie.

Nel paese di Vecchiazzano in provincia di Forlì qualche lungimirante capace di venire incontro a esigenze caratteriali e sociali, ha deciso di aprire la “Camera della rabbia”, l’unica a quanto pare. Una forma particolare di terapia antistress e ai clienti vengono forniti paracollo, ginocchiere, casco, guanti, scarpe antinfortunistica e visiera, e una mazza di baseball, strumento indispensabile per sfasciare piatti, bicchieri, sedie, tavoli, soprammobili. Sedute di distruzione per sfogare quell’energia compressa altrimenti a rischio di azioni lesive per se stessi e per gli altri.  Chiamata “Anger Room” e brevettata nel 2010 a Dallas. Un fenomeno tutto da studiare.

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Un artista come Katia Giuliani sempre attenta alle modificazioni sociali e culturali ha pensato bene di creare una sorta di esperimento definito come “primo tentativo di guarigione e buon auspicio” e lo ha intitolato “CRASH”, realizzato per il festival Contemporanea di Prato. Tutto accade dentro una stanza allestita appositamente per permettere alla persona (un partecipante alla volta), di scegliere gli oggetti a cui attribuire un significato (scrivendo su una lista apposita la parola abbinata al numero dell’oggetto) e di trovarsi successivamente rivestito di bianco con paramenti protettivi, munito di una mazza da baseball e ritrovare su un tavolo gli stessi oggetti visti in precedenza, sui quali ci sono scritti con un pennarello indelebile i pensieri, le parole, le frasi, anch’esse in procinto di essere spazzate via. Uno sfogo liberatorio su cui si giocano le emozioni estemporanee ma anche vissuti interiori reconditi, ancestrali, storici e sopiti nel cervello e nell’anima di chi desidera affrontare un’esperienza particolare. Non è certo teatro o una forma di partecipazione ludica allo spettacolo. Venti minuti a disposizione per scegliere gli oggetti, numerarli, e selezionare dei brani musicali che saranno poi diffusi durante l’atto di distruzione.

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 Katia Giuliani definisce CRASH « come un’azione che parte di una serie di progetti intimi, rituali, risolutori. Esistono già luoghi dove la gente è invitata a spaccare tutto, ma ovviamente le modalità sono ben diverse. Io chiedo al partecipante (in questo caso anche spettatore di se stesso) una partecipazione emotiva profonda». La sua intenzione non è certo di fare della terapia ma piuttosto di rivolgere la sua ricerca verso «l’atto psicomagico, risolvere questioni che ci portiamo dentro e sono sospese. Un atto catartico e liberatorio». E così accade, quando ti senti protagonista assoluto e condotto nel luogo della vestizione, per nulla una necessità solo protettiva ma un momento saliente e importante di tutta la seduta. Vieni rivestito come in un cerimoniale laico e lasciato solo in attesa di entrare nella stanza del rito distruttivo. Facendo così la perfomer toscana intende stimolare le condizioni di uno speciale stato emotivo/mentale. È qui che viene a crearsi l’azione catartica dove ognuno si sente libero di distruggere quanto trova a disposizione senza nessun condizionamento esterno.

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Il successo della performance è dettato dalla propria partecipazione. Katia da una spiegazione al suo progetto come «una sorta di terapia d’urto, il cui scopo potrebbe essere quello di uscire dai nostri condizionamenti mentali per guarire simbolicamente da una situazione irrisolta, o più semplicemente, compiere un azione scaramantica. o ancora, sfogare la propria frustrazione». L’azione di distruggere risale alla notte dei tempi, ha un’origine arcaica che veniva compiuta fin dalle civiltà antiche, come rito per scacciare il maligno, le forze oscure e impedire accadimenti infausti. Rompere piatti oggi può essere semplicemente un gesto di sfogo ma CRASH permette di riflettere su questo genere di azioni dove la società  sembra tutto divenire fonte di aggressività, di malcontento, di disagio esistenziale, varrebbe la pena ripensare a forme non violente e liberatorie in grado di alleviare sintomi di malessere e sofferenza. Al termine dell’azione il partecipante sottostava alla regola ferra che dice: “Chi rompe paga! E i cocci sono suoi”. Un’offerta libera lasciata alla cassa e in dono una scatola contenente i resti di ciò che pochi minuti prima erano semplici oggetto di uso quotidiano, ora simbolicamente frammenti emotivi, fuoriusciti dal corpo e dalle mente di chi usciva per strada sentendosi liberato da un fardello pesante.

 CRASH visto in prima assoluta

di Katia Giuliani

costumi di scena di Andrea Sicuro

crediti foto di Ilaria Costanzo 

Festival Contemporanea di Prato dal 26 settembre a 4 ottobre 2014 

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