Chi fa teatro — 17/12/2013 at 22:27

Un ricordo di Edoardo Fadini di Roberto Del Gaudio.

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Qualcuno sostiene che un vero critico non dovrebbe farsi influenzare dall’artista e dovrebbe scappare dal teatro dopo lo spettacolo. Io scappavo subito in palcoscenico invece e dopo andavamo a sbronzarci insieme con gli artisti. Il grande movimento dell’avanguardia era proprio questo mescolarsi di critica e artisti. Era un’avanguardia “coordinata” che aveva coscienza di sé. Assistevamo a spettacoli che avrebbero segnato un’epoca: Fire di Peter Schumann, l’uomo che si immola nel fuoco usando solo scotch rosso, accartocciandosi ricoperto di pezzetti di adesivo rosso. Noi tutti uscimmo ammutoliti. Lo conoscemmo in una brasserie dopo lo spettacolo, lui stava parlando con Jack Lang e io ero con Mario Ricci, Leo e Perla, ci avvicinammo e lo incantammo con un suono di flauto. Abbiamo vissuto un romanzo!Edoardo Fadini intervistato da Anna Maria Monteverdi, 2005.

Firmatario del Manifesto del Convegno di Ivrea, per molti anni critico titolare dell’ “Unità”, Edoardo Fadini è stata una delle personalità che negli anni Sessanta e Settanta ha dato maggiormente vita al vivace dibattito sull’avanguardia. Con Quadri, Bartolucci, Capriolo tra cantine e luoghi alternativi stavano dando vita a quella critica militante che seguiva il nuovo teatro. Fadini ha organizzato sin dagli anni Sessanta incontri e spettacoli con uomini straordinari al mitico Cabaret Voltaire: John Cage, Peter Schumann, Richard Schechner, Carmelo Bene, il Living Theatre, l’Institutet for Scenkonst, e negli ultimi anni il primo spettacolo dopo la morte di Grotowski: Dies irae di Thomas Richards del Workcenter di Jerzy Grotowski, presentato da Antonio Attisani (Anna Maria Monteverdi)

La testimonianza di Roberto Del Gaudio

In anni lontani, circa due decenni fa, la mia personale sete di teatro era legata a due principi oggi svaniti: la sete e il teatro. Non che non abbia io più sete, e non che i teatri siano stati finalmente aboliti e chiusi, ma le istanze primarie di quella stagione, diciamolo, sono svanite nel nulla dell’approssimazione e nelle stanze sempre troppo affollate del servilismo. Il teatro propugnato da Edoardo Fadini era pura rivolta, sempre e comunque, contro il potere, inteso come linguaggio. I suoi scritti, i suoi saggi critici, i suoi preziosi interventi nelle pubblicazioni di Carmelo Bene, la sua stessa attività, hanno nutrito qualche generazione di teatranti, e pure il sottoscritto. Carmelo Bene ebbe al suo fianco il nostro Fadini per decenni. Potremmo dire che Edoardo sia stato il suo esegeta più puntuale, il suo più congruo archivio critico vivente. Aveva colto di Bene la vocazione post-amletica al non-essere in scena, decisione assunta a dispetto dell’ontologia heideggeriana, di cui Edoardo era un raffinato conoscitore (mai più dimenticherò le ore trascorse con lui a telefono, discutendo di questi temi, cari pure a me dai tempi dell’università). Ma pure a dispetto del teatro “ri-ferito”, “re-citato”, obbligato dalla drammaturgia quale “sasso in bocca” lacaniano alla scrittura di scena, che dal Living, a Leo, a Bene, poté compiere un percorso estetico – e dunque etico e politico – innovatore rivoluzionario, per il nostro teatro. E Fadini, defilato ma non troppo, fu al centro di questa nuova portata di energia vitale.

Lo incontrai per la prima volta a Torino, al Teatro Juvarra . Era in platea per Nel nome di Ciccio, uno dei miei primi lavori con i Virtuosi di San Martino, e venne a conoscermi e salutarmi in camerino, entusiasta. Da quel momento, nel corso degli anni, abbiamo mantenuto un rapporto costante. Il suo interesse per il mio lavoro con i Virtuosi, e per i miei testi di prosa, era addirittura amorevole, le sue osservazioni critiche erano per me illuminanti. Inutile dire quale grande influenza abbia avuto sui mille tentativi del mio lavoro di scrittore e di attore, lavoro tutto rivolto alla disposizione di trappole, di trabocchetti, laddove la drammaturgia dovesse negarsi nel suo stesso attuarsi in scena, laddove l’attore dovesse impedirsi di re-citarsi, e di re-citare lo scritto – che Fadini leggeva come “morto orale”. Una ricerca ossessiva, con un occhio alle niciane istanze tragiche im-possibili, e l’altro al rapporto ermeneutico tra Esser-ci e Tempo, non in scena, ma in scena per non-esserci, in un inseguimento costante alla natura intima e antropologica del teatro, un voto all’ “o-sceno”. Ricerca, devo dire, sorvegliata e accudita dal sempre disponibile e ficcante Edoardo.

Ma Edoardo, intendiamoci, era anche un simpatico figlio di puttana. Un giorno mi lamentavo dei miei scarsissimi guadagni, e della fatica che in Italia si dura per proporre e disporre novità e tentativi, e lui: “Hai da mangiare, hai da dormire? E allora che cazzo vuoi? … Lavora, scrivi!” …

Gli chiesi, anni dopo, una prefazione per Medea Marturano, un mio testo che Edoardo aveva amato da subito, e che avrei pubblicato per Guida Editore. Si prodigò con l’entusiasmo di un ragazzino e mi onorò di uno scritto critico che rivelava perfino a me che l’avevo scritto, angolature e segni del mio testo. Edoardo tramutava i significati in significanti e viceversa, con la velocità e la competenza che gli era propria. L’ho visto, per l’ultima volta, quattro anni fa, a Milano, al Teatro Oscar. Ci siamo scolati un buon aperitivo prima, e qualcos’altro dopo lo spettacolo che lì mettevamo in scena, con i Virtuosi.

Ci siamo poi ancora sentiti: mi raccontava di quanto gli mancasse Carmelo Bene, e di quanto la morte di Bene, avesse dato la stura ai “cialtroni della ricerca finta”. Faceva pure dei nomi, nomi di gente che bazzica pure con successo le nostre patrie scene in questi giorni, condendoli con epiteti qui non ripetibili, ma a mio vedere molto appropriati …Poi, come succede su questo “oscuro atomo di male” che è la Terra, ci ha lasciati …E in nome di persone come Edoardo, anche proprio in suo nome e ricordo, mi vien voglia di farmi ritornare quella sete, e di vedere un po’ come rimettermi in marcia per rompere le scatole a questo ultimo teatro servile e allineato che ci assedia.

Roberto Del Gaudio

Napoletano, co-fondatore de I Virtuosi di San Martino. Attore, cantante, drammaturgo, regista, esordisce in teatro nel 1994 con “Cosima e altre storie”, per la regia di Francesco Silvestri. Allievo di Giacomo Marramao, presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, è stato anche editorialista del Corriere del Mezzogiorno e di Metrovie (Il Manifesto). Tra i suoi spettacoli, con i Virtuosi, “Nel nome di Ciccio”, “Blu Carogna”, “Medea Marturano”, “La Repubblica di Salotto”. Per la prosa ha scritto e messo in scena “Abjurate!”, “Felice e Costanza”, “Catena – confessioni di un’italiana”.

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