Chi fa teatro, Interviste, Teatro, Teatro recensione — 17/04/2017 at 22:31

Il teatro di Emma Dante ritorna alle “origini” dell’Uomo per guardare al futuro

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RUMORSCENA – Il suo teatro suscita sempre delle reazioni forti anche contrastanti, emotive, di approvazione se colte con lo sguardo di sa accogliere e comprendere la sua personale visione della vita e delle implicazioni che ne conseguono, virate sul piano artistico e drammaturgico. Al contrario possono determinare anche aspre contestazioni, legittime se esercitate con una dialettica; capace di porsi sul piano del confronto ma esente da pregiudizi. L’arte scenica può considerata la massima espressione della libertà personale e artistica, nelle sue diverse forme e con gli strumenti scelti a seconda della propria sensibilità e poetica. Emma Dante possiede un suo inconfondibile stile e il suo linguaggio teatrale è in grado di confrontarsi senza schemi precostituiti, fino ad arrivare all’essenzialità sia drammaturgica che scenica.

Bestie di scena” rappresenta un punto d’arrivo della sua ricerca in questo senso: lo spettacolo andato in scena di recente al Piccolo Teatro di Milano. La biografia artistica di Emma Dante racconta del suo percorso di avvicinamento al palcoscenico, avvenuto a soli diciannove anni, nella sua città natale di Palermo, dove conosce Michele Perriera fondatore della scuola di teatro Teatès, teorico famoso anche per essere uno degli esponenti di punta del Gruppo 63. Supera l’esame di ammissione all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” a Roma, dove la sua formazione avviene insieme a compagni di corso, tra i quali figurano anche molti dei nomi della nuova generazione teatrale italiana. Arriva alla regia grazie all’incontro con il teatro d’avanguardia, assistendo agli spettacoli dell’Odin Teatret e di Tadeusz Kantor, da cui trae l’ispirazione per scegliere la professione di regista.

 

Emma Dante Bestie di scena foto di Masiar Pasquali

Il suo esordio a teatro è nel ruolo di attrice, entrando a far parte della Compagnia della Rocca diretta da Roberto Guicciardini. La maturità artistica si accresce con l’esperienza vissuta successivamente con Gabriele Vacis, a cui Emma Dante, aspirava fin dai primi anni di studio condotti con molta determinazione. Il ritorno in Sicilia segna una svolta decisiva nella sua carriera: nel 1989 fonda a Palermo la Compagnia Sud Costa Occidentale, con la quale vince nel 2001 il Premio Scenario per lo spettacolo “mPalermu” e il Premio Ubu nel 2002. Nel 2003 lo ottiene anche per “Carnezzeria”. La sua poetica artistica si distingue sempre più per l’originalità del suo modo di intendere il teatro, che la porta a firmare spettacoli di successo rappresentati sia in Italia che all’estero. Per dieci anni dal 2000 al 2010 si susseguono le torurnée di “mPalermu”, “Carnezzeria”, “Vita mia”, “Mishelle di Sant’Oliva, “Medea”, oltre a “Il festino”, “Cani di bancata”, “Le pulle”.

Nel 2011 inizia una lunga tournée nazionale ed estera con “La Trilogia degli occhiali”, e nel 2014 è la volta de “Le sorelle Macaluso” coprodotto dal Theatre National di Bruxelles e dal Festival d’Avignone che vince il Premio Ubu per la miglior regia e miglior spettacolo. È di questi giorni l’ultima sua regia firmata per il  Teatro Comunale di Bologna, con Cavalleria Rusticana di Mascagni e la Voix humaine di Poulenc e la direzione musicale di Michele Mariotti. L’ultima replica è in scena il 18 aprile

Ma è “Bestie di scena” che ha fatto tanto scalpore per i giudizi critici e le polemiche che in molti le hanno rivolto. Commenti apparsi anche sui social network dove il contribuito non ha certo favorito un dibattito anche contraddittorio, per chi, come i lettori stessi , potessero usufruirne in modo chiarificatore, rispetto ai dubbi e le eventuali riserve, posti con modalità di scarsa efficacia. Lo spettacolo coprodotto dal Piccolo Teatro di Milano, Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo, Festival d’Avignon, è andato in scena dal 28 febbraio al 19 marzo scorso al Piccolo Strehler.

 

Emma Dante spiega come si è arrivati alla rappresentazione definitiva: «Bestie di scena ha assunto il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato al tema che avrei voluto trattare. Volevo raccontare il lavoro dell’attore, la sua fatica, la sua necessità, il suo abbandono totale fino alla perdita della vergogna e alla fine, mi sono ritrovata di fronte a una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili, un gruppo di imbecilli che come gesto estremo consegnano agli spettatori i lori vestiti sudati rinunciando a tutto» (…) – spiega la regista – che dopo una fase di elaborazione durante le prove, è arrivata a percepire lei stessa un senso di colpa di fronte alla nudità dei suoi artisti. « Ho capito che il peccato stava nel mio sguardo, nel mio fissare quei corpi, quelle facce, che faceva del male soprattutto a me. In Bestie di scena c’è una comunità in fuga. Come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso, le bestie finiscono su un palcoscenico pieno d’insidie e di tentazioni, il luogo del peccato, il mondo terreno».

Queste sue riflessioni sono state pubblicate nel programma di sala e danno la misura di come si è evoluta l’ ispirazione che l’ha portata ad avvalersi di una scrittura di scena in cui viene rappresentata un’umanità primigenia. Un’origine del mondo e degli esseri viventi che risale ai tempi più remoti e misteriosi. La definizione spiega come gli istinti primigeni non possano essere controllati e dominati dall’uomo, e si comprende allora bene cosa voglia dire, quando scrive: «In Bestie di scena c’è un meccanismo segreto che svela il processo con cui nasce e si forma un individuo». Avviene un processo di destrutturazione complessa e progressiva nella prestazione superlativa dei quattordici interpreti tra uomini e donne (forse in questo specifico caso sarebbe meglio definire performer, oltre ai due fuori scena, con un ruolo complementare quanto essenziale nel fornire gli oggetti di scena), cadenzato da quadri scenici e coreografici. Talmente efficaci, da “raccontare” per movimenti fisici – espressivi, sia sul piano figurativo che concettuale, un lavoro impegnativo per la partecipazione fisica e mentale, tesa a creare una storia in cui lo spettatore possa sentirsi coinvolto liberamente e provare suggestioni di straordinario impatto visivo e introspettivo. Ogni essere umano nasce, cresce, si evolve e affronta anche prove di sopravvivenza che ci richiedono continui sforzi.

 

@foto di Masier Pasquali

In “Bestie di scena” è evidente come questo concetto venga affrontato attraverso un linguaggio meta- teatrale. L’attore è “nudo” e non solo perché svestito dei suoi indumenti e ancor più dei  costumi di scena, quanto, invece, privo di ogni forma di copertura e protezione capace di mascherare la sua primordiale origine. C’è un essere umano  scevro di sovrastrutture mentali che partecipa ad un rito di iniziazione, seguito da una ribellione e scaturita dopo aver affrontato una serie di prove al limite della sopravvivenza, con l’intento di non soccombere. Si spiega così il rifiuto e la disubbidienza all’ennesimo comandamento (imposto da un ordine esterno che arriva da dietro le quinte), in cui viene richiesto alla fine di rivestirsi. Gli abiti restano a terra, finiti come mucchi di stracci, mentre affrontano a testa alta, un futuro senza pudore, nudi con il coraggio di evitare di coprire i loro occhi, seni e genitali.

La nudità non li spaventa perché c’è la presa di coscienza di esserlo sempre stato. L’attore è nudo e da qui si origina un’assunzione di responsabilità che richiede di ripartire verso un nuovo percorso artistico. Per Emma Dante e per il suo teatro.  Il traguardo fin qui raggiunto necessità come una svolta radicale e l’attore stesso incarna questo obiettivo: il ritorno alle origini. L’uomo non ha altro che il suo corpo-essere/ in- movimento per cercare di affermare la sua stessa esistenza nel mondo. La scena vuota rappresenta un luogo in cui ogni elemento esterno (il frenetico lancio dalle quinte di materiali diversi, oggetti, strumenti di uso quotidiano, elementi vitali come l’acqua), servono ad affermare che esiste un volere soprannaturale da cui non ci si può sottrarre. Ogni tentativo di fuga viene interrotto dal lancio di petardi che scoppiando interrompono la possibilità di allontanarsi da un mondo che li spaventa. Si trasformano, contorcendo la loro fisicità umana in esseri animali, dalle movenze simili a quelle delle scimmie come possibile riferimento antropologico della genesi umana. Una delle tante soluzioni della regia che dimostra un suo senso compiuto e coerente nello sviluppo sempre organico di tutta la rappresentazione.

 

©MasiarPasquali

Si possono trovare diversi piani di lettura in questo lavoro, ognuno dei quali può essere riconducibile ad un’intenzionalità che riporta sempre al pensiero artistico di Emma Dante, nel voler cercare nuove ispirazioni e soluzioni  per il futuro. Ma più di ogni altra soluzione individuata è la struttura stessa del lavoro visto, a conquistare l’attenzione di uno sguardo che viene catturato da un’azione inconsueta quando si spengono le luci in sala. Gli artisti si preparano allo spettacolo con un estenuante allenamento. Il teatro richiede sempre esercizi preliminari di riscaldamento corporeo e di concentrazione: l’attore attraverso il suo training si prepara così ad andare in scena. Qui accade a sipario aperto e il pubblico entrando si sente quasi una presenza disturbante. La fisicità astratta e desessualizzata dei corpi, la cadenza dei movimenti, il sincronismo dei gesti anticipano la svestizione che non ha uno scopo ritualistico né tanto meno identificativo di azioni che riconducano ad un erotismo estetico  esibito. Al contrario il loro volere è quello di andare incontro ad un ignoto destino, ad una sorta di primordiale innocenza e purezza. Uomini e donne senza difese in balia di forze oscure. Cercano la sopravvivenza dell’istinto, quella animalesca.

Sono in fuga senza riuscirci, respinti e rigettati da dove sono partiti. Solo il gesto finale di rifiuto nel rivestirsi (una delle scene più toccanti ed emozionanti dello spettacolo è il lancio in scena degli indumenti che volano sulle note di Only you dei Platters), diventa il pretesto per una rinascita, un tentativo risolto di affermare la loro vera identità che non è altro che il proprio corpo/psiche, libero da ogni condizionamento esterno  sia culturale o sociale.

La ri-scoperta dell’essere nati e vissuti sempre nudi. Una nudità  se lo sguardo va oltre alla semplice vista a cui siamo abituati, chiamati ad una responsabilità nell’evitare di cadere in tabù di cui siamo vittime, nella consapevolezza che tutto ciò può suscitare anche delle reazioni di fastidio e rifiuto. La regista, ancor prima di andare in scena, si è dichiarata consapevole dei rischi a cui andava incontro, senza avere certezze di quanto avrebbe poi suscitato nel pubblico il suo lavoro, ma preavvisando (a ragion veduta secondo quanto osservato, dopo aver visto lo spettacolo), che “non è un’esperienza intellettuale”.

A Natalia Aspesi, nell’intervista pubblicata sul programma di sala, la regista si augura che il suo spettacolo potesse “suscitare emozioni diverse in ognuno, secondo il proprio sentire”. Uno dei ruoli fondamentali del teatro. Rispettando anche quelli contrari ai propri, aggiungiamo noi. Una volta cessato il clamore suscitato per lo spettacolo (andrà in tournée a Palermo e al Festival di Avignone e il prossimo anno sarà ripreso anche al Piccolo di Milano), abbiamo chiesto ad Emma Dante di spiegarci come ha inteso lavorare su questo suo progetto, toccando alcuni punti nevralgici della rappresentazione. Un modo per fare chiarezza sugli intenti e offrire la possibilità ai lettori/spettatori di confrontarsi con le proprie idee e pensieri, ritrovandosi o non, in quello che hanno visto. Il Teatro racconta delle storie che a volte coincidono con la propria vita e questo fa nascere delle emozioni. Se accade è perché non esiste un confine che divide gli attori dal pubblici, ma solo una breve distanza di pochi metri tra la platea e il palco. Colmabile com’è accaduto con “Bestie di scena”.

©MasiarPasquali

 

 

La “vergogna”

 

«Il nudo diventa l’ostacolo minore in questo spettacolo, mentre lo scandalo è rappresentato dall’assenza della trama, della motivazione. Il pubblico vorrebbe degli appigli diversi perché il nudo non fa nessun effetto e viene mancare quell’elemento scandalistico, forse cercato. Non trova la provocazione. L’aspettativa al negativo fa si che si inneschi il desiderio che il nudo visto sulla scena susciti ribrezzo, sensazioni di disgusto. La vergogna è l’elemento che ha fatto scaturire queste reazioni. I corpi nudi non ostentati non trasmettono nulla e abolisce il senso dello scandalo. Il pubblico, quello che io considero vero, è quello che realmente si lascia andare alla visione, senza pregiudizi di sorta, mentre la polemica scatenata dagli operatori addetti ai lavori nasce da una lettura superficiale. Non c’è un ragionamento sul lavoro dell’attore che all’inizio volevo affrontare ma che poi si è distanziato sempre di più per una mutazione progressiva non consona, non coerente sul piano reale».

 

 

©Masiar Pasquali

Adamo ed Eva e il palcoscenico vuoto
Tutto si origina dalla fuga. La “comunità” di “Bestie di scena” è in fuga ed Emma Dante la paragona ad Adamo ed Eva “cacciati dal paradiso”. Qui i suoi attori “bestie finiscono su un palcoscenico pieno d’insidie e di tentazioni, il luogo del peccato, il mondo terreno…”.

«Cos’è il palcoscenico?, questo luogo anomalo dove le persone ci salgono e si mettono a “nudo” e si mostrano agli altri. Per me è uno spazio vuoto che non deve essere riempito, così come ho fatto quando ho realizzato ‘Le sorelle Macaluso’: non potevo arredare la casa dove si svolge la storia di una famiglia che parla di vita e di morte, dell’incesto tra viventi e defunti. Tutto accade in un palcoscenico vuoto dove bastano i costumi per raccontare tutto. Io paragono questo spazio disadorno ad una pagina bianca. Il palcoscenico è come la Terra e gli attori stessi devono fare i conti con il peccato di Adamo ed Eva, un luogo terreno dove c’è sofferenza, dolore, riconoscibile e dove alla fine scatta la ribellione, una volta superata la vergogna si arriva a questa reazione. Il palco lo paragono al mondo umano, qualcosa di sconosciuto e questi esseri che entrano in scena subiscono una metamorfosi: dal vestito sudato dell’inizio si passa alla liberazione finale. I corpi nudi sono le farfalle mentre i vestiti che indossano li paragono a delle larve».

 

Le Sorelle Macaluso foto di Carmine Maringola

Gli attori e il ruolo di diventare “bestie di scena”

 

«Gli attori vengono prima di tutto e il mio è un omaggio al loro lavoro. Io che sono una donna molto sensibile non posso concepire che si possa commettere della violenza di nessun genere; questo per dire che non si capisce più il limite tra funzione e realtà, mentre è assodato che il gesto teatrale è sempre violento e un artista deve avere la libertà di farlo diventare anche “osceno”. Quello che è accaduto durante la fase di preparazione dello spettacolo è di essermi ritrovata di fronte ad una comunità di neonati, di primitivi. Il gesto degli attori quando bevono l’acqua e la sputano, è la medesima azione di quando si espelle l’acqua dai polmoni, come accade nel neonato al suo primo respiro. Il vagito del bambino all’atto della nascita. Cosi accade anche negli ultimi istanti di vita prima della morte. L’alba e il crepuscolo, l’attimo poco prima della nascita e un istante subito prima del decesso, In entrambi i casi sono dannati. L’illusione di poter vivere quando possono avere tra le mani gli oggetti lanciati su di loro: sono i “giocattoli” che raccontano il loro cortocircuito, la loro emulazione per imparare da quello che trovano sul loro cammino».
La fatica di nascere “bestie”

 

«Ho lavorato con i miei attori (quattordici in scena e due dietro le quinte per la movimentazione degli oggetti, ndr), per un anno e mezzo, formandoli attraverso laboratori che si svolgevano ogni qual volta che loro erano liberi da altri impegni professionali, e poi due mesi di prove sul palco. Quindici giorni prima del debutto avevo scelto dei costumi di scena che loro indossavano ma ci siamo accorti che rappresentavano dei cliché. L’attrice che danza come la bambola del carillon aveva lo stesso vestito rosa, o gli attori che duellano con la scherma, indossavano costumi da Cyranò; ad altri avevo fatto mettere costumi da circensi come fossero acrobati di un circo».

 

 

©MasiarPasquali

La disubbidienza degli imbecilli
Dopo aver affrontato svariate prove, dalla quinta arriverà l’ennesimo comandamento, l’ultimo il più terribile. Solo allora gli imbecilli disubbidiranno… “

«Ho tratto l’ispirazione dal saggio di Maurizio Ferraris autore de “L’imbecillità è una cosa seria” (edizioni Il Mulino) in cui il filosofo afferma che “l’umano è un imbecille, un animale inerme privo di bastone (in latino in-baculum) e quindi bisognoso di quelle armi che sono la tecnica, la cultura, l’arte e la scienza, quello che confusamente si chiama ‘mondo dello spirito’. Armi a doppio taglio, che da una parte suppliscono alle sue deficienze, e dall’altra lo rivelano per quello che è”. Gli “imbecilli” alla fine rifiutandosi di rivestirsi, prendono coscienza di quello che sono sempre stati. Di essere sempre stati nudi e di non essere stati altro che quello».
Il rammarico

 

«Devo ammettere che non mi aspettavo tanta aggressività in questo caso. In “Le pulli, Cani da bancata, sapevo di suscitare delle reazioni del genere ma ora non avrei pensato che accadesse, soprattutto in una città come Milano».

 

Piccolo Teatro Strehler
dal 28 febbraio al 19 marzo 2017
Bestie di scena
ideato e diretto da Emma Dante
con Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Alessandra Fazzino, Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli
Daniela Macaluso, Gabriele Gugliara
elementi scenici Emma Dante
luci Cristian Zucaro
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo, Festival d’Avignon

visto al Piccolo Teatro di Milano il 17 marzo 2017

 

 


 

 

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