Teatro, Teatrorecensione — 16/11/2011 at 06:53

Una vita segnata dal colore rosso che sequestra e annienta la speranza e l’amore

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Il rosso fiammingo di Guy Cassiers virato in un Rosso decantato (traduzione da Sunked Red), la creazione per la scena del contemporaneo, versione tratta dal romanzo Bezonken Rood di Jeroen Brouwers, scrittore olandese, considerato uno dei capolavori della letteratura olandese contemporanea. La storia drammatica di uomini e donne imprigionati in un campo di concentramento giapponese durante la seconda guerra mondiale. Un bambino di soli tre anni vive questa esperienza tragica insieme alla madre, sorella e la nonna.

Un destino di sofferenza vissuta con gli occhi innocenti di una vita segnata per sempre, che si materializza per opera dell’unico protagonista in scena: Dirk Roofthooft, vincitore del “Premio per le nuove realtà teatrali emergenti”, con un monologo intenso e commovente, se pur a tratti faticoso da seguire per i cali di attenzione: la recitazione a bassa voce, quasi monotona per scelta drammaturgica, al fine di  mostrare un uomo affaticato, malato, provato dal dolore e da una patologia che lo ha consumato nello spirito e nella carne. Così facendo si è costretti ad un ascolto impegnativo (con i soprattitoli in italiano), nel seguire il toccante racconto di dolore e sofferenza che parla della sua prigionia e della privazione della sua innocenza di bambino che vedrà morire sotto i suoi occhi la madre.

Un’esperienza rimossa per tanto tempo e quando emergerà dall’oblio, le visioni del passato si manifestano come una visione angosciante, claustrofobica, spezzata da lame di luce rossa come sciabolate che rimandano al Sol Levante. Un viaggio all’indietro per cercare di dare un senso a quanto accaduto, come una ferita aperta non rimarginata, in cui l’artista e in questo caso uno scrittore entra dentro una dimensione psicoanalitica auto riflessiva, per cercare di trovare attraverso un processo catartico, la pace con la propria coscienza. Tutto viene ampliato e diffuso sulla scena da minuscole telecamere che riprendono ogni piccola azione dell’uomo, le amplificano, le sezionano, mutuandole anche in altre forme e immagini. L’attore che interpreta un uomo che è intento a fare una pulizia ai calli dei piedi, mentre fuma ostinatamente in continuazione.

Un’azione banale che assurge a qualcosa di estraniante, volutamente spostata nell’ovvio quotidiano, mentre aleggia pensieri e ricordi dolorosamente presenti nel suo inconscio. Ci fa provare uno strano di inquietudine, un sentimento di compatimento provato per un essere umano che emana solitudine, abbandono e tristezza. E sarà cosi fino alla fine, grazie all’immedesimazione di Dirk Roofthooft, capace di calarsi in una figura che si porta dietro per tutta la vita la condanna di aver visto la morte in faccia. Responsabile di averli condizionato ogni forma di contatto con l’altro, e con il desiderio di amare. Vive costantemente con l’obbligo di assumere farmaci e una sveglia ad intervalli regolari lo avvisa dell’assunzione, ma la sua dipendenza da fumo è più forte dell’impegno di curarsi. Il ritmo della sua narrazione viene così interrotto di frequente.

L’idea è quella di creare una situazione distonica per nulla coerente, facendo così si comprende meglio il forte disagio esistenziale che l’uomo prova. La scena di Peter Missotten crea un ambiente volutamente disadorno, pochi elementi scenici funzionali alle esigenze registiche. Vasche d’acqua servono per creare un percorso accidentato e che fa pensare alle tante scene viste nei film di guerra, dove i prigionieri erano costretti a subire angherie di ogni genere. Qui l’uso è dettato dalla necessità di “ostacolare” scenicamente la narrazione, come se fosse un’impresa ardua se non impossibile, rievocare vissuti così profondamente drammatici e sconvolgenti, che solo chi gli ha vissuti in prima persona sa riconoscere. Sul fondale dello spazio della Cavallerizza -Maneggio lo scenografo ha realizzato un gigantesco tendaggio simile a quelle veneziane orientabili, se chiusa si trasformava in un gigantesco schermo dove appariva come una gigantografia il corpo dell’attore, creando un’immagine che trascendeva dalla presenza fisica sulla scena, alternandola ad altri dettagli anatomici filmati, dilatati o ristretti, a seconda dell’emotività provata dallo stesso protagonista.

La regia di Guy Cassiers crea molte suggestioni dando vita ad uno spettacolo non facile. impegnativo, ma altrettanto rigoroso nella ricerca e nella poetica che emana una vicenda universale, dove i deboli sono sempre costretti a soccombere per volontà di un altro essere umano che esercita un potere di vita e di morte su un suo simile.

Il Festival Prospettiva ha chiamato a Torino alcune tra le migliori realtà della scena contemporanea internazionale, così come è stato per questo Sunken Red, uno straniero in patria, lo straniero che ognuno di noi può essere sia dentro o fuori i propri confini territoriali, dell’animo umano, della vita stessa che ci impone di fare i conti con la propria coscienza.

 

Sunked Red

dal romanzo di Jeroen Brouwers / adattamento Corien Baart, Guy Cassiers, Dirk Roofthooft / drammaturgia Corien Bart, Erwin Jans / con Dirk Roofthooft / regia Guy Cassiers / scene, video & light design Peter Missotten (De Filmfabriek) Toneelhuis & Ro Theater (Olanda/Belgio)

Festival Prospettiva -Teatro Stabile di Torino

visto alla Cavallerizza il 31 ottobre 2011

 

 

 

 

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