Teatro, Teatrorecensione — 16/09/2013 at 15:02

Treno Fermo a Katzelmacher – La generazione Scenario 2013 in lotta contro apatia e meschinità.

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Arriva a Short Theatre la nuova creazione di nO (Dance first. Think later), giovane compagnia che già dal nome si mette sotto l’egida di Beckett. Il lavoro, ispirato dal film di Rainer Werner Fassbinder, Treno Fermo a Katzelmacher, si è meritato la segnalazione speciale al Premio Scenario 2013. L’ideazione dello spettacolo è di Dario Aita, conosciuto al largo pubblico come attore dalla serie Questo Nostro Amore (RaiUno), che ne è anche interprete con Emmnuele Aita, Maria Alterno, Lucio De Francesco, Damien Escudier, Flavio Furno, Melania Genna, Elena Gigliotti, e Giovanni Serratore. Come il pubblico entra per prendere posto nella sala teatro 2 dello Short Theater sono già là sul palco, almeno la maggior parte, nella penombra si agitano, parlano, forse litigano.

Se nel Katzelmacher i personaggi erano borghesi e dal meridione d’Europa veniva solo lo straniero, qua siamo nel sud italiano, tra giovani appartenenti ad una classe indefinibile, nullafacenti che passano il tempo nel bar locale tra turpiloqui, canzoni melodiche, flirt e giochi virtuali. Lo straniero verrà dal sud del mondo. Un’annuncio di una voce metallica ci suggerisce la vicinanza di una stazione ma qua il treno è fermo ci ribadisce il titolo dell’opera. Fermo spietatamente all’apatia e alla meschinità denunciate da Fassbinder nel 1969, oramai arrivate e diffuse nel meridione d’Europa.

Lo spettacolo inizia con una coreografia di gruppo con i caschi illuminati, dietro si intravvedono un ombrellone, delle sedie, un calcio balilla giocattolo, sulla sinistra un motorino. Le presentazioni dei personaggi e dei loro soprannomi è coadiuvata da un video che ricorda certi cartone animati giapponesi di serie B con cui sono cresciute generazioni. Dai dialoghi sprigiona un’energia repressa che viene incanalata in canzonette o balli convulsi: “Simme venuti ca’ ppe fa’ ammuina” (=disordine/chiasso); dice un personaggio. Questo chiasso contraddistingue in maniera crescente lo spettacolo: nei movimenti coreografici e pur le parole, forse a causa del dialetto napoletano mischiato all’italiano (e nel caso dello straniero al francese) o forse a causa dell’acustica, non arrivano intere al pubblico.

Ma poco importa come dimostra l’empatia emotiva degli spettatori alle canzoni e ai balli. Un disegno ambizioso tra multimedialità e interdisciplinarità volte a potenziare e sottolineare le capacità di ogni singolo attore, peccato che la ragnatela del caos ne attenui la portata. Arriva lo straniero e dà vita alla diffidenza da parte degli uomini e alla simpatia delle donne come da copione, poi la violenza; qui però la trama subisce una sterzata dalla nascita dell’amore tra lo straniero e il diverso del gruppo, un giro virtuale in motorino (guasto) e il gioco è fatto; il resto della compagnia rimane congelato in una smorfia tra la sorpresa, la rabbia e lo sbadiglio.

Visto il 13 settembre, 2013, a La Pelanda, Short Theatre, Roma.

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