Interviste, Spettacoli — 15/11/2023 at 08:49

Una isla: il futuro a tinte utopiche secondo Agrupación Señor Serrano

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RUMOR(S)CENA – TORINO – Una isla di Agrupación Señor Serrano ha debuttato in Italia con successo al Festival delle Colline torinesi e apre un nuovo fronte del teatro tecnologico grazie all’originale processo creativo messo in campo dalla compagnia Si tratta, infatti, di uno spettacolo che riflette sugli effetti sociali della tecnologia, usando per la creazione della drammaturgia, un sistema di Intelligenza Artificiale: i personaggi e la storia nascono da uno spunto dei registi, Pau Palacios e Alex Serrano condiviso con l’”immaginazione” generativa del sistema GPT3. Nei lavori precedenti (Birdie, The Mountain) Agrupación ha svelato i meccanismi di potere e di controllo che stanno dietro alla costruzione delle immagini filtrate dai media; in questo spettacolo siamo di fronte a una brillante e sorprendente proposta artistica che mostra ironicamente e criticamente, nella pratica della scena, come potrebbe essere la convivenza tra “agenti naturali” e “agenti artificiali” nella contingenza del futuro, purché l’uomo sia conscio della necessità di un uso eticamente consapevole della tecnologia.

Si parte dal tema di un naufrago e di un’isola che, come da migliore letteratura, ha ricche implicazioni simboliche: un luogo altro, autosufficiente, porto sicuro e protetto ma anche luogo sperduto, di isolamento e reclusione. L’immagine del luogo con cui si apre lo spettacolo è stata creata da un sistema di intelligenza artificiale di generazione di immagini da testo e mantiene visivamente, sia elementi realisti e rassicuranti che aspetti perturbanti, esattamente come la storia che viene raccontata.

Nel dialogo in una chat più o meno reale con l’IA, gli autori chiedono alla macchina quali connotazioni dare all’isola, quali gruppi umani inserire; ed è così che nel campo visivo dello spettacolo appaiono dal nulla in maniera quasi fantasmagorica, dapprima una persona vestita di bianco che si allena costantemente con esercizi di ginnastica (forse proprio l’impersonificazione dell’AI trainer, un agente che sta elaborando una quantità enorme di dati), e poi vari gruppi (o forme di vita senza una identità vera e propria) che si muovono a ritmo diverso dentro una grande bolla trasparente che altro non è che l’isola, vale a dire uno specchio un po’ sbiadito, della realtà e della società. Capiamo dai discorsi della chat proiettata, che è proprio il movimento  il suggerimento dato dall’Intelligenza Artificiale agli autori per caratterizzare i diversi gruppi: movimento da hip hop, da yoga, da rap… Elementi contradditori ma potenzialmente credibili, convivono sulla scena: giocatori di rugby, allenatori di fitness, figure statiche e contemplative insieme a energici sportivi.

Company large ©Jordi Soler

Ma quale sarà la loro relazione, quali gli intrecci e le storie che potrebbero nascere sotto questa bolla di vita condivisa che cresce davanti agli occhi dello spettatore? Non si sa, perché la IA non è in grado di andare oltre: questa caratteristica del mondo sfugge alla sua comprensione. Le decisioni algoritmiche hanno un limite, forse perché come ricorda il filosofo Byung-Chul Han, l’IA, non conosce la situazione emotiva, “le manca la dimensione affettiva e analogica, quel senso di profonda commozione che dati e informazioni non riescono a portare con sé”.

Come fossimo dentro un quadro surrealista, vediamo davanti a noi creature nate dallo strano connubio umano-tecnologico che rendono evidente il motivo perturbante della metamorfosi del genere umano: immagini video e suoni si mostrano con tutte le modalità e effetti speciali delle nuove tecnologie, dalla Realtà Aumentata alle proiezioni su ventola olografica 3D fino al coro di voci sintetiche. È la proposta di una catena biologica continua che va dalla fragile umanità ai corpi artificiali senza scontro apparente: sarà davvero possibile costruire un simile ecosistema coabitativo? Figure “liquide”, evanescenti, senza memoria e senza profondità, ma del tutto credibili, frutto di coerenti informazioni prelevate dal sistema tramite prompt, arrivano dal nulla fino a riempire a dismisura l’intero palco: in fondo, questi corpi espansi non sono altro che le stesse apparizioni del nostro vivere tecnologicamente aumentato con cui ci relazioniamo quotidianamente. Ma la bolla è instabile e si rompe: il finale è aperto.

Intervista a  Pau Palacios

Pau Palacios ©Jordi Soler

A proposito della creazione di un testo con il sistema di IA, l’impressione è che questo utilizzo da parte vostra sia stato anche un mezzo per esprimere una presa di posizione sul tema delle tecnologie avanzate in relazione alla società. Qual è la vostra conclusione?

La creazione dello spettacolo è stata particolarmente difficile. Ci siamo sentiti un po’ come degli esploratori in un mondo che veramente ci ha spiazzato; siamo consapevoli delle difficoltà che ha lo spettacolo in sé, anche delle irregolarità di senso che si possono riscontrare. Ci siamo trovati a essere persi in un certo senso, continuavamo a chiederci: “Cosa stiamo facendo di preciso?” Avendo però, sempre l’impressione di entrare in un territorio strano, inesplorato, dalle basi non sicure, consapevoli di camminare sulle sabbie mobili.

Quindi a proposito dello spettacolo e parlando del suo messaggio, non abbiamo conclusioni forti, definitive. Al contrario, abbiamo soprattutto l’impressione di aver aperto una riflessione su dove ci porta questo dialogo (uomo-macchina, ndr), ma senza alcuna pretesa di dire che abbiamo aperto un nuovo modo di fare teatro.

Quando abbiamo cominciato a creare lo spettacolo eravamo ancora sul mondo dei videogiochi, poi ci siamo resi conto che nel mondo dei videogame si fa molto uso di IA per creare immagini.  E ci siamo trovati questa “agenzia” (agency, ndr) con cui potevamo dialogare su questi argomenti. Alla fine devi arrivare a un punto se fai un’opera e così abbiamo scelto di usare la IA. Tutto quello che c’è nello spettacolo parte dal dialogo con GPT 3 e GP 3.5 attraverso uno strumento del sito che non è la chat; ma la modalità di conversazione l’abbiamo comunque inserita come elemento dello spettacolo per far visualizzare al pubblico questo dialogo. Abbiamo ricostruito una conversazione che rappresentasse tutto il processo di creazione, quindi molto è rimasto fuori ma abbiamo tenuto le cose più significative, anche i dubbi che proponevamo alla IA.

©Leafhopper

Il pubblico ha capito?

Noi siamo abituati a ricevere un consenso abbastanza omogeneo ai nostri spettacoli. In genere c’è un consenso positivo globale, ma in questo spettacolo abbiamo riscontrato alcune perplessità, sei persone sono uscite a Madrid. Ma quello che stiamo vedendo nel pubblico è che si genera una doppia o tripla ricezione: o il pubblico non entra nello spettacolo, non ha interesse al tema; oppure rimane molto soddisfatto per la parte scenica, per la proposta estetica; il terzo è davvero entusiasta e si vede e si sente, applaude moltissimo. Ebbene, noi riscontriamo ogni volta con Una isla queste tre tipologie di pubblico e dalla loro reazione lo capiamo, lo sentiamo che non sono unanimi.

A livello di programmatori teatrali stiamo trovando questa tripla reazione: ci sono operatori davvero entusiasti che hanno immediatamente chiesto alcune date per inserirli nel calendario dei loro teatri, altri erano perplessi, e c’erano altri ancora che non hanno apprezzato o capito.  È sicuramente uno spettacolo complesso e interessante, che mette in campo tante cose, tante tematiche.

Quale è il significato della ragazza in bianco?

Anche sulla ragazza in bianco non volevamo chiudere un unico significato, lo spettatore doveva vedere in questa figura le diverse possibilità che ci sono: forse una rappresentazione fisica dell’IA, poi la rappresentazione fisica degli autori, o forse è l’io degli autori, o sono i performer o qualcuno che sta allenando o è a sua volta qualcuno che è allenato, è fonte o ricezione di idee in allenamento, in training,…Aveva molte identità aperte e multiple. È tutto e tutti allo stesso momento.

©Leafhopper

La proposta dei tre movimenti come nucleo della nascente comunità, da dove nasce?

L’idea di passare dal naufrago, essere singolo per eccellenza, a un essere che si mette in gioco con altri e   mostrare il tutto con il movimento, è venuto fuori dalla IA. Ci siamo detti “Perché invece di mettere dentro la storia, i rapporti, i dialoghi, le situazioni non lo spieghiamo con un unico elemento, cioè tramite il movimento”? Ma è un’idea della IA e questa cosa è strana perché l’intelligenza artificiale non ha in sé movimento! Era interessante, e così nello spettacolo ci sono gruppi che capiscono il mondo e si relazionano col mondo attraverso diversi movimenti: con stretching, altri con discomusic, o aerobica o movimenti sportivi con fanatici di rugby. Sono tre comunità diverse.

©Leafhopper

L’impressione è quella di un caos organizzato, strutturato…

Tutte e tre le comunità vengono dal nulla e hanno delle caratteristiche specifiche ma non hanno una storia, come se nascessero lì davanti a te, e questa è una semplificazione, lo sappiamo. Noi come esseri umani abbiamo identità e memoria, ed è questo che determina e fa nascere una storia; in questo caso per semplificare, abbiamo tolto la storia e tenuto solo il rapporto tra le comunità in modo crudo: quelle figure non sono tanto delle persone ma delle idee. Come rappresentiamo le idee?  Come comunità intendo, non tanto come singoli. Rinfacciamo alla IA che non ha esperienza di vita e non può per questo, parlare di cose umane, che non ha un’apparente imparzialità… Come si fa a dialogare con questa agency che non ha alcuna esperienza di vita, non ha un vissuto? Abbiamo voluto mettere in campo questa possibilità.

 Quale è il significato del finale?

Nel finale, dopo una costruzione narrativa di un’ora, ci chiediamo: “Cosa succede se scoppiamo questa bolla?” Allora cade la bandiera e crolla tutta la costruzione ma non volevamo arrivare a una conclusione definitiva o critica o drammatica, ma solo dire: “Cosa ci rimane dopo? Torniamo alla barbarie oppure arriviamo a una socialità diversa? Cerchiamo di ritornare a una comunità primigenia pretesamente più pura che non è mai esistita oppure ci impegniamo a dialogare e trovare compromessi tra tutti quelli che hanno qualcosa da dire?”Era la volontà di non chiudere in una direzione  e mantenere, al contrario, un finale aperto. Abbiamo questa sensazione, di essere arrivati a un punto di partenza più che a una conclusione. Non conosciamo bene quale potrebbe essere la conclusione e non siamo arrivati a un’impressione finale; forse siamo approdati a una via di mezzo e questo dubbio del finale è senz’altro aperto.

Nella riflessione sulla contemporaneità digitale il filosofo coreano Chul Han dice “Salviamo una quantità di dati senza far risuonare i ricordi. Comunichiamo senza prendere parte a una comunità  senza mai incontrare l’Altro”. Che ne pensate?

Questo trovarsi senza incontrarsi è un tema centrale: abbiamo bisogno di superare questa cornice. La domanda non è se possiamo ma come facciamo. Io penso che chi evoca uno stop, che vuole una retromarcia rispetto alle tecnologie propone qualcosa che non è praticabile; è impossibile tornare indietro, la storia dell’umanità va avanti e anche senza sapere dove ci porterà, bisogna imparare a conviverci e bisogna impegnarsi nel portarle verso la strada che consideriamo più giusta. E’ inevitabile.

L’artista e filosofa giapponese Hito Steyerl critica il fatto che gli algoritmi operano attraverso modelli previsionali (“le immagini medie”) basati su immensi database presenti nelle “società di controllo”. Analizza il processo algoritmico che crea le immagini  e afferma che queste immagini non siano affatto creative in quanto non sono altro che il risultato di una media statistica. Voi invece annettete questi modelli al processo creativo…

Certamente accogliamo l’intuizione politica di Hito Steyerl e nello spettacolo mostriamo le perplessità politiche e sociali che  generano questi strumenti; ci chiediamo però, quale è il ruolo che noi dobbiamo avere nei confronti di queste agency, come le IA si legano al mondo sociale, quale è la risposta etica. Ma non ci siamo posti con un atteggiamento di superiorità morale rispetto alle tecnologie. Dobbiamo confrontarci con questi strumenti, magari si possono affinare, ci sono collettivi che lavorano in questa direzione. Il primo boom della stampa è stato grazie alla letteratura cavalleresca e di fantasia, che doveva portare alla fine della cultura umanistica custodita nelle biblioteche dei monasteri. E invece, oggi non è concepibile la cultura critica senza i libri. Non lo so, non sono così pessimista.

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