Teatro, Teatrorecensione — 15/11/2012 at 15:11

La guerra di Euripide vista dagli occhi delle Troiane nella rilettura contemporanea di Marco Bernardi

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Atena dea della guerra e Poseidone dio del mare appaiono tra le rovine fumanti di Troia. Hanno già deciso lo sterminio dei Greci sulla via del ritorno. È il prologo di Troiane di Euripide scritto nel 415 a.C, la città di Troia dopo dieci lunghi anni di guerra è caduta. Gli uomini sono stati uccisi, mentre le donne diventeranno le schiave dei vincitori. Tra di loro c’è Cassandra che predice le disgrazie che colpiranno lei stessa e il suo nuovo padrone, una volta tornati in Grecia. Andromaca subirà una sorte ancor più terribile: i greci faranno precipitare dalle mura il figlio che la donna ha avuto da Ettore, per evitare che un giorno il bambino possa vendicare il padre e per porre fine alla stirpe dei troiani. Ecuba ed Elena si sfidano reciprocamente per stabilire le responsabilità dello scoppio della guerra. Elena si difende ricordando il giudizio di Paride e l’intervento di Afrodite, ma Ecuba svela la colpa della donna, fuggita con Paride, attratta dal lusso e dall’adulterio.

Patrizia Milani – Gaia Insenga

Il corpo del bambino verrà riconsegnato ad Ecuba per il rito funebre e Troia data alle fiamme. Le prigioniere deportate via sulle navi. In Troiane si respira in tutto il dramma la presenza di un dolore lancinante e allo stesso tempo si percepisce come viene sopportato da un sentimento di eroicità di chi, sventurato, si è opposto alla vittoria del nemico. Sono le donne troiane le protagoniste che reagiscono alla tragedia, dimostrando di non voler rinunciare alla loro dignità. Gli uomini invece appartengono alla mitologia greca e si rivelano brutali e feroci aguzzini. Tutto questo appare sulla scena pensata dal regista Marco Bernardi, che colloca la vicenda dentro una sorta di edificio lacerato dai bombardamenti, funereo e desolatamente realistico. Una scena di guerra vista tante volte alla televisione. Il suolo è cosparso di pietre nere, sacchi di sabbia, assi di legno. Morte e distruzione. Ai lati del palcoscenico appaiono due figure mitologiche: Poseidone e Atena che abbagliano per il candore delle loro vesti di un bianco accecante. Sono Carlo Simoni e Valentina Capone, molto convincenti. Entrambi declamano al microfono sentenze contro gli uomini.

Carlo Simoni – Valentina Capone

Parlano al mondo amplificando la loro voce universale. Prima il monologo di Poseidone, figura ieratica e immobile, elenca con voce greve le sventure dell’intera città, di Ecuba e dei suoi figli. Ma in lui traspare un sentimento che rivela il rammarico per la distruzione subita dai troiani. Poi Atena, in preda all’ira lancia contro i suoi protetti (i greci) una maledizione, che li vedrà costretti a subire ogni sorta di fatiche per riuscire a tornare in patria. Per questo avrà anche l’appoggio di Poseidone. Bernardi parte da qui, dicendo che il dramma è nella memoria storica, consolidata nel corso dei secoli, da cui non ci si può sottrarre. E fa bene ad introdurre la narrazione con questa caratterizzazione così fortemente simbolica. La versione originale di queste Troiane non può eludere la sua genesi che affonda nel mito. La strutturazione registica si basa su una complessità di tre livelli teatrali diversi, dai significati molteplici, dove in primo piano emergono prepotentemente le donne. È una tragedia tutta al femminile. In ogni guerra sono loro che patiscono di più le ferite inferte dalla mano dell’uomo.

Karoline Comarella-Patrizia Milani-Valentina Morini

A partire da Ecuba, interpretata da Patrizia Milani, sopraffatta dal dolore è accasciata al suolo, ricoperta di stracci. La sofferenza appare scolpita sul suo viso dolente. La voce accorata amplifica la tragedia e la sua presenza è di grande spessore. È un lamento che viene dal profondo dell’animo per il lutto e la perdita. Non è più la regina di Troia ma una donna che deve far fronte ad una tragedia immane, che l’ha sopraffatta anche per la perdita del figlio Ettore. Irrompe sulla scena sbucando da una tenda militare Cassandra, cosciente del destino che l’aspetta: fatta schiava da Agamennone verrà uccisa insieme a lui dalla moglie Clitennestra. La interpreta una convincente Gaia Insenga, è follia foriera di vendette rivolte verso i greci. Non c’è ragionevolezza nel suo agire cosi travolgente che riassume perfettamente quanto la violenza della guerra possa portare anche alla pazzia. Andromaca è Sara Bertelà, legata ad un carrello per il trasporto delle merci, scelta registica che fa di lei una prigioniera di Guantanamo. Il suo urlo di dolore è reso ancor più straziante dalla prigionia della carne. Il suo aguzzino è Taltibio, un Corrado d’Elia cinico e sprezzante nella sua arroganza militaresca, quasi voglia provare piacere nel farsi messaggero di infauste e atroci decisioni dei vincitori. Elena è la brava Valentina Bardi, genere vamp, veste di nero e indossa una parrucca bionda.

Rappresenta una donna avida e ammaliatrice che tenta di sedurre invano Menelao (interpretato da un solido Riccardo Zini), per provare la sua innocenza cerca di scaricare la colpa dei suoi misfatti agli dei. In Troiane recitano anche Valentina Morini e Karoline Comarella che rappresentano il Coro. L’allestimento si avvale delle suggestive scene di Gisbert Jaekel, incombenti come lo erano i muri ciclopici di Troia: qui uno scenario di guerra come potrebbe essere la Libia o la Turchia solo per fare degli esempi recenti. i costumi sono di Roberto Banci. Il regista attualizza ancor di più la storia utilizzando delle video proiezioni che non lasciano spazio alla fantasia, vanno dalla morte in diretta di Gheddafi all’attentato delle Torri Gemelle di New York. È il terzo livello drammaturgico che si va ad inserire ai due precedenti. L’idea è quella di creare un legame tra il passato e il presente, come dire la guerra è sempre identica e l’uomo non ne può fare a meno.

Da Euripide ad oggi sembra che non sia mai passato il tempo e le vicende umane sono costellate dalle guerre, dalle vittorie e dalle crudeltà, ma il destino che accomuna tutti è sempre e uno solo. Lo ricorda bene Poseidone quando dice che tutti sono destinati a morire. Albert Einstein in una corrispondenza con Sigmund Freud scrisse a suo tempo: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? E’ ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa.”

 (crediti fotografici di Tommaso Le Pera)

 

In repliche al Teatro Carcano di Milano dal 21 novembre al 2 dicembre

 

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