Teatro, Teatrorecensione — 14/10/2013 at 20:49

“Variazioni” tra due uomini così “enigmatiche” da diventare un regolamento di conti senza vincitori né vinti

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In principio fu Glauco Mauri, al quale nella scorsa stagione è seguito il ritorno sul palcoscenico di Saverio Marconi. Adesso è il turno della Nexus, casa illuminata di produzione fiorentina, nel mettere le mani ed aggrovigliarsi all’interno del testo di Eric Emmanuel Schmitt Le variazioni enigmatiche” sintesi ed analisi, teoria e filosofia di amore e perdita, abbandono e gelosia, desiderio e morte, verità e menzogna. Una partitura a scacchi dove il bianco ed il nero cambiano e cangiano foggia ad ogni paragrafo, ad ogni capoverso, ad ogni sbilanciamento. Come un pendolo che rintocca adesso a destra ora a sinistra spostando gli equilibri, mostrando il fianco per poi riprendere il sopravvento proprio quando la contesa sembrava decretare il suo scompaginamento e vittoria per una delle tue parti in causa.

Due uomini, una casa sperduta nello spazio e nel tempo, bolla di sapone e parentesi sospesa, una musica che ritorna a pungolare, una donna assente ma che l’assenza ha reso ancora più viva, vera e tangibile. Ingombrante punto interrogativo che ha dilaniato e vivisezionato, ma anche eccitato le vite dei due uomini in campo. E’ un gioco al massacro, a farsi male, a cercare il punto debole altrui per ferire per poi, senza chiedere scusa, farsi maltrattare allo stesso modo per accumulare la rabbia e lo slancio necessario per colpire ancora più forte. Chiamalo sadomasochismo.

Amerigo Fontani 

E’ uno scontro all’Ok Corrall, all’ultimo colpo, all’ultima parola, all’ennesima versione dei fatti, all’esaustiva rivelazione, alla finale sottolineatura. Si guardano negli occhi trovando parti di sé: il giovane giornalista dell’anziano che sarà, il vecchio scrittore Premio Nobel del giovane che fu. Legati a doppio nodo, indissolubilmente, da questa donna che aleggia, si sente, profuma e intorbidisce l’aria. Come se fossero tre sulla scena. Come un thriller, ogni blocco (l’idea di far sentire la musica nel buio che seziona le scene sa troppo di Agatha Christie…) è un affrancamento rispetto al precedente step e le carte in tavola vengono mutate ed i piani completamente rovesciati, traditi e disattesi. Ognuno dei due tira fuori dalla manica gli assi che ha a disposizione, mettendo sul piatto ogni volta carichi maggiori.

Uno scrittore famoso si è rifugiato in una piccola isola scandinava per fuggire al mondo, “La vita non l’ho voluta vivere, ma scrivere”, alle persone, allo strazio della fine, della consuetudine di un amore viscerale. Ma ha da poco pubblicato un libro con le lettere che negli appena trascorsi quindici anni si è scambiato con una misteriosa donna. Dall’altra parte un giornalista di un piccolo quotidiano locale che, caso rarissimo, ha avuto l’opportunità di fendere e rompere il muro di silenzio attorno al grande intellettuale. Per la concitazione e l’ambientazione intima sarebbe stato migliore un posizionamento delle sedie del pubblico proprio attorno al divano ed alla scrivania, creando un ambiente anche più chiuso e claustrofobico dove sentirsi voyer all’interno di uno spaccato privato.

Rosario Campisi

Amerigo Fontani, è lo scrittore, e si muove con sicurezza e fermezza nelle grandi stanze prima dell’alterigia e dell’arroganza, “Se mi annoio? In mia compagnia mai”, per passare alla superbia fino all’accoglienza, fino al disvelamento delle fatiche, delle pene, che sotto la crosta si agitano come marosi. Perde le staffe e recupera neutralità e indifferenza. Rosario Campisi invece è l’intruso nella magione iperprotetta del letterato: prima in punta di piedi fino ad usare lo stiletto per trafiggere, sondare, esplorare, spingersi. L’incontro-incrocio tra i due attori è ben congegnato dalla regia di Paolo Biribò che li esalta, assorbito, digerito, posizionandosi perfettamente come una battaglia navale, o meglio un tetris, un puzzle ardito di incastri che si aggiustano creando nuovi disegni di fondo.

E’ una variazione continua (un appunto sulla scelta di tagliare la parte testuale dove si spiega il perché di questa musica, di Edward Elgar utilizzato anche in “Arancia meccanica” o in “Matrix”, che poi dà il titolo alla piece, che ritorna sempre uguale a se stessa cambiando leggermente) di sensazioni ed emozioni, di stati d’animo: dalla diffidenza alla vicinanza, caldo e freddo. Entrambi, come in un “Finale di partita”, fingono le loro parti, creandosi addosso un personaggio-scafandro in base alle mosse che pensano che l’avversario che hanno di fronte, e che stimano al di là delle parole che si gettano addosso, stia per proporre.

Si scatena così un ammasso di bugie che vanno a sommarsi alla difficile verità che quando riesce ad uscire fa ancora più fragore: “La verità non rivela più delle menzogne”. Come cane e gatto, amanti che si detestano ma che non possono fare a meno l’uno dell’altro, una caccia a rincorrere l’ultimo stralcio di vite vissute nel ricordo, nel passato, nell’inchiostro, nell’attesa. Si annusano, tentano di usarsi a vicenda, si aprono, si confessano, un piede dentro nel pantano e un altro fuori pronti entrambi a fuggire, tra filosofia e carnalità. Ogni verità che con tanta fatica riesce a imporsi ed a farsi credere dall’altro come vera ed accettata, viene, pochi passi dopo, compressa, resa vana e inutile da un’altra ben più grande e imponente e importante e sconvolgente. Un dialogo-vendetta lenta e fredda come un regolamento di conti da Far West, fino ad ammettere di avere, ancora, adesso consapevolmente, bisogno tremendamente l’uno dell’altro. “Ed io tra di voi”, di Aznavour, viene in mente, da declinare così allo scrittore come al giornalista.

“Le variazioni enigmatiche” di Eric-Emmanuel Schmitt. Produzione Nexus Studio, regia di Paolo Biribò, con Amerigo Fontani e Rosario Campisi. Visto a Villa Gerini, Sesto Fiorentino (FI), il 9 ottobre 2013.

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