Recensioni — 14/03/2024 at 13:22

Il dialogo su The Handke project. Oppure giustizia per le follie di Peter.

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RUMOR(S)CENA – FIRENZE – Nella storia dei Nobel è accaduto più volte che il riconoscimento assegnato sia stato contestato. Tra i più controversi, quello nel 1994 a Yasser Arafat (leader dell’Olp) e Shimon Peres e Yitzhak Rabin (presidente e primo ministro dello Stato di Israele), o ancora il Nobel per la Medicina, assegnato nel 1949 ad Antonio Egas Moniz, autore della lobotomia praticata sui malati psichiatrici.  Lo spettacolo “The Handke Project. Oppure giustizia per le follie di Peter” di Jeton Neziraj (l’ex direttore artistico del Teatro Nazionale del Kosovo e il fondatore e attuale direttore di Qendra Multimedia) andato in scena al Teatro di Rifredi a Firenze punta l’indice contro il Nobel per la Letteratura assegnato all’austriaco Peter Handke nel 2019 dall’ Accademia di Svezia, con l’intenzione di denunciarne la legittimità nei confronti di un intellettuale, scrittore e drammaturgo la cui fama di letterato è stata oscurata per aver difeso pubblicamente Milosevic, accusato di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica da parte dell’esercito jugoslavo contro i musulmani in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo anche se il processo a suo carico celebrato nel Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (Tpi) si estinse nel 2006 per  la morte dell’imputato prima che venisse emessa la sentenza. Assegnazione che fu fonte di proteste e contestazioni indirizzate al Comitato del Nobel da parte di molti esponenti della cultura europea. Il primo interrogativo che pone lo spettacolo è se sia stata una scelta idonea quella di assegnare ad Handke il Nobel per meriti letterari. Da qui è nato un confrontato dialettico tra chi ne scrive con David della Scala, entrambi presenti nella stessa sera a teatro.

Jeton Neziraj crediti foto di Majlinda Hoxha

DDS: Verrebbe da pensare che si tratti della questione dell’uomo e dell’artista, se per esprimere un giudizio sia necessario separarli o valutarli nel complesso. Come sai, è quel genere dibattito che a me piace molto, perché se ne può discutere all’infinito e ritrovarsi ad affermare sostanzialmente la stessa cosa. Ma ho letto un’intervista sul quotidiano montenegrino Vijesti, dove è lo stesso Jeton Neziraj a dissipare immediatamente ogni dubbio: «Ci sarebbe sembrato ipocrita trattare Handke “come un importante scrittore. No, volevamo solo trattare Handke come “un mostro letterario”, come una persona che semplicemente ha preso il lato sbagliato e si è posizionata dalla parte dei carnefici. Sarebbe stata pura ipocrisia sottostare all’ autorità letteraria di Handke». È abbastanza chiaro che per il drammaturgo, il valore letterario di Peter Handke non può essere la part costruens di un discorso che ne include le prese di posizione in quanto uomo: in netta contrapposizione ai motivi espressi in seguito all’indignazione che il Nobel ha sollevato, ovvero che si era scelto di valutare l’opera piuttosto che la persona.

RR: Asle Sveen, storico del Premio Nobel scrisse: “È sempre rischioso promuovere qualcuno. Non si è in grado di prevedere cosa può accadere in futuro. È questo ciò che rende il Nobel per la pace diverso da tutti gli altri. Altrimenti lo si assegnerebbe solamente a chi è ormai in punto di morte”. Ma in questo caso, il premio ad Handke viene dopo le sue dichiarazioni. Nella motivazione si legge “per la straordinaria attenzione ai paesaggi e alla presenza materiale del mondo, che ha reso il cinema e la pittura due delle sue maggiori fonti di ispirazione”. Capisco che, sebbene l’argomentazione specifica sia poco contestabile, si voglia comunque discutere la legittimità della scelta, come ha spiegato Neziraj descrivendo lo spettacolo:  «una performance teatrale sullo scrittore Peter Handke che con i suoi libri e atteggiamenti ha manipolato e stravolto i fatti relativi alle guerre nella ex-Jugoslavia, ha avallato e sostenuto l’ideologia della ‘terra bruciata’, ha tessuto le lodi dei poeti e registi militanti serbi convertiti a ‘ingegneri dei progetti di genocidio». Il problema è se la dialettica della piéce sia efficace in tal senso, dato che i fatti della questione Balcani sono molto più complessi e licenziare Handke solo come un “negazionista” mi pare fin troppo scontato.

D.D.S: Voglio partire dal presupposto che lo spettacolo non intenda semplicemente accodarsi alla polemica, ma introdurre spunti ancor più efficaci nel contestare la figura dello scrittore austriaco. In effetti, vengono dichiarati apertamente i punti dove si ribatterà, ovvero le vere ragioni della scelta dell’Accademia e le assurdità contenute, non soltanto in ciò che Handke ha detto, ma proprio all’interno della sua tanto osannata produzione artistica. Credo allora che si dovrebbe concentrarsi su questo, se The Handke project riesca ad aggiungere elementi e rafforzare la causa di cui è promotore. Insomma, quanto sia necessario.

RR: Giusto, ma innanzitutto vediamo l’aspetto formale dello spettacolo. Nel complesso il risultato è positivo nell’estetica della messa in scena, ben recitato con vigore da parte di tutti gli artisti che aderiscono alla regia. Lo spettacolo regge l’impianto che Jeton Neziraj che aveva annunciato in conferenza stampa. Ha una sua drammaticità se pur spinta su registri dissacratori e burleschi (come nella scena del funerale di Milošević dove gli attori indossano abiti sadomaso e provano euforia ed eccitazione all’ascolto dell’orazione funebre di Handke), con l’intento di demolire l’autorevolezza dello scrittore, seminando dubbi su come sia stata presa la decisione dell’Accademia.

La domanda che viene spontanea è se la rappresentazione teatrale riesce a smontare la credibilità dell’autore austriaco; al di là delle sue prese di posizioni politiche, per minarne le qualità dell’artista prolifico anche come drammaturgo e sceneggiatore per il cinema. L’intenzione di Jeton Neziraj è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica al fine di porre una questione anche sul piano etico: la legittimità del promuovere e valorizzare l’arte può essere consentita anche quando si oltrepassano i confini della dignità umana, dei principi etici che stanno alla base di ogni forma di espressione. La drammaturgia di “The Handke Project. Oppure giustizia per le follie di Peter” è composta prevalentemente dagli scritti dei testi e dai discorsi dello stesso Handke e da quanto è stato argomentato dal Comitato Nobel per giustificare l’assegnazione.

Citazioni nell’ordine dello stesso stile che Handke utilizzò per scrivere il testo teatrale “Insulti al pubblico”, parafrasandolo diventa qualcosa di molto simile a “Insulti ad Handke”. Per la collana Saggi Arte e letteratura, edita da Bollati Boringhieri nel 2001, Hans Kitzmüller scrisse la prima monografia italiana dedicata ad Handke, in cui l’autore si concentrava sull’opera del controverso scrittore, scandagliando i singoli testi e relative posizioni teoriche, al fine di ripercorrere l’esperienza condotta durante la sua carriera e vita, sempre all’insegna della contrapposizione dialettica (ma anche politica) e del suo evidente dissenso dimostrato nei confronti di una cultura prevalente. Nella premessa al saggio “Peter Handke. Da Insulti al pubblico a Giustizia per la Serbia”, scrive: «Lo scalpore suscitato da una netta stroncatura dello sterile e acritico realismo di alcuni autori vicini al Gruppo 47 e lo strepitoso esordio con una sorprendente pièce teatrale, intitolata ed effettivamente consistente in “Insulti al pubblico (Publikumsbeschimpfung)” avevano subito fatto circolare, nel 1966, il nome di un ventiquattrenne austriaco che si sarebbe imposto in breve tempo sulla scena letteraria tedesca».

Jeton Neziraj crediti foto Slavica Ziener

DDS:  Ecco, è interessante quello che dici sulla somiglianza tra “The Handke Project” e “Insulti al pubblico”. Nello specifico credo sia voluta, ma anche a me ha colpito che ci sia tutta una ragnatela di rimandi tra il testo, i libri di Handke e addirittura con la dialettica usata durante gli avvenimenti di quella guerra. Curioso, perché spesso sembra davvero la medesima retorica, con conseguenze che non sempre risultano vantaggiose per la piece. Prendiamo ad esempio l’inizio, l’inizio dello spettacolo e quello del libro di Handke che mi pare sia il grande incriminato della rappresentazione, cioè “Un viaggio d’inverno”.  Nell’introduzione Handke, dopo aver riportato alcuni articoli pubblicati su Le monde e International a proposito della supposta propaganda che striscia nei suoi scritti e in “Underground” di Kusturica, fa un appello particolare: “E chi afferma AH, filoslavo! Eccolo, lo yogofilo! Può tranquillamente fare a meno di leggere le pagine che seguiranno”.

Ricorda moltissimo l’appello rivolto al pubblico, in cui gli attori di The Handke project invitano i non fascisti, i non xenofobi e coloro che non hanno mai letto i libri di Handke a lasciare la sala. È un parallelismo ben riuscito, eppure darà il via a un continuo specchiarsi con quelle pagine, costituendone l’immagine rovesciata: il ben altrismo imperante in “Un viaggio d’inverno”, basato sullo sciolinare fatti e dati alquanto dubbi, trova sempre come risposta fatti e dati che, anche se reali, danno comunque l’impressione di assistere a un litigio tra conoscenti di vecchia data, troppo antica perché da osservatori esterni sia possibile stabilire in tutta coscienza chi ha torto. A meno di non dare ragione all’ultimo che trai due riesce a sfoderare l’episodio più lontano nel tempo, si rischia di fare la fine del golem nella storiella dei rabbini litigiosi.

RR: Torno per un istante all’altra strategia, quella del grottesco, come nel momento dove viene messo in scena il festino, che si afferma avrebbe provocato un tale scandalo. da rendere necessaria la premiazione di Handke, allo scopo di distrarre l’opinione pubblica e salvaguardare l’immagine dell’Accademia Svedese. La trovata può essere divertente, provocatoria, ma di per sé non rappresenta una giustificazione così solida e credibile. Al massimo restituisce il sapore macchiettistico di una certa idea dell’ Europa, che non è affatto sorprendente. 

DDS: Non è sorprendente, tranne che per l’ennesima convergenza. Anche qui, l’Occidente perbenista e culturalmente germanocentrico, è comunque ipocrita, negazionista e corrotto; con l’unica differenza che questo va a vantaggio di Handke, quando parla lo spettacolo e dei bosgnacchi quando è Handke a scrivere. Altrettanto interessante è che se rileggiamo le deposizioni durante il processo che avrebbe dovuto giudicare Milosevic per i suoi crimini di guerra, questa immagine del vecchio mondo la ritroviamo molto frequentemente. Parlando invece del “nuovo mondo”, si intravede un’ulteriore analogia tra drammaturgia, letteratura e linguaggio storico politico: gli Stati Uniti ci sono, ma non ci sono. Un paio di affondi se li beccano, ci mancherebbe. Ma giusto il minimo sindacale. In tanta veemente onestà, proprio mentre sta scoccando l’ora di parlar chiaro, nessuno se la sente. Del resto pure Milosevic la speranza nei confronti degli americani l’ha mantenuta fino all’ultima stretta di mano con Richard Holebrooke.

RR: Bene, avevi detto che la discussione ti avrebbe appassionato e vedo che non scherzavi. Ma rischiamo di perdere di vista l’aspetto principale che c’eravamo proposti. Se The Handke Project. Oppure giustizia per le follie di Peter” sia o meno necessario. Detto tra me e te, penso di no. Alla fine, cosa resta se non uno spettacolo ben confezionato o poco più? A detta di altri critici viene classificato come esempio di teatro civile, se non politico … non ho rilevato a mio avviso una connotazione così specifica.


D.D.S: Inoltre, c’è una forte tensione polarizzante che tutto sommato è la stessa che caratterizzava il dibattito di quegli anni. Gli orrori, le responsabilità o la mancanza di responsabilità devono essere individuati, raccontati e condannati se serve. Ma si preferisce utilizzare uno schema collaudato, senza aggiungere o anche solo suggerire qualcosa di nuovo e di utile. Non utile a stupire, o a generare accartocciati ragionamenti che sviino dalla realtà delle cose: ma a far avanzare il confronto a un livello più proficuo e soprattutto necessario, dato che l’unica evidenza storica è proprio il fallimento della polarizzazione, nel decifrare la complessità di quegli avvenimenti, o di qualunque altro evento del passato, come del presente. O almeno, a me sembra così. Grazie Roberto…

R.R: Grazie a te David

Visto al Teatro di Rifredi (Firenze) il 3 febbraio 2024

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