Teatro, Teatrorecensione — 12/11/2011 at 06:46

E’ tutto un piagnisteo la vita degli uomini, Berkoff e l’Accademia dei Folli

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Smettila di fare il piagnisteo! Quante volte lo abbiamo sentito esclamare, senza distinzioni di sesso o di età. Piagnistei lo sono spesso i bambini  ma anche gli adulti, non disdegnano la lamentela facile, nonostante la maturità dovrebbe portare  saggezza.  Un’abitudine umana che a volte trascende  in un comportamento ridicolo, se esageri nessuno ti crede  e può accadere di tutto. Come in Kvetch (parola ebraica che sta a significare piagnistei), una vicenda apparentemente comica, dai risvolti amari, scritta nel 1986 da Steven Berkoff, un drammaturgo inglese contemporaneo, oltre ad essere un attore e regista. Autore di una commedia dai toni ironici e sarcastici. L’apparente normale menage quotidiano di una coppia, marito e moglie, fanno a gara per provocarsi a vicenda e rendere impossibile la loro vita. Intorno a loro ruotano altri personaggi, in grado di complicare e creare situazioni paradossali, al limite del grottesco. È un susseguirsi di micro colpi di scena, di entrate ed uscite giocate sullo stile della miglior tradizione farsesca.

Ne esce un ritratto impietoso della fallibilità dell’uomo stesso, con tutte le sue contraddizioni esistenziali – ahimè noi – molto attuali. Il regista Carlo Roncaglia ha colto queste dinamiche nella bella versione teatrale di Kvetch, brillante e acuta, affidando agli attori dell‘Accademia dei Folli, il compito di gestire una storia per nulla facile da raccontare. Il testo di Berkoff è semplice se non banale, per quanto riguarda la trama stessa, ma contiene un meccanismo ad orologeria, dove gli ingranaggi sono delicati, giocano sempre sul detto e non detto, un gioco delle parti subdolo dove basta poco per trasformare tutto in qualcosa di eccessivamente comico, nell’accezione peggiore del termine,  simile ad un certo tipo di genere televisivo tracimato – in qualche caso – responsabile di aver contaminato il teatro cosiddetto brillante, con esiti deleteri. Non è così per l’esito felice della messa in scena vista al Teatro Cuminetti, spettacolo inaugurale della stagione “TrentOOltre “di Portland Teatro (in collaborazione con Il Centro Servizi Culturali Santa Chiara)  di Trento.

Il prologo è un fuori scena che si manifesta in sala dove gli attori appaiono all’improvviso. Lorenzo Bartoli, Enrico Dusio, Gianluca Gambino, Francesca Porrini, nei loro abiti neri, elencano l’umano catalogo di paure che ci affliggono e ci fanno vedere “nero”, cadendo nello sconforto o alla peggio lagnandosi a dismisura.  Paure come le malattie, il tumore, la paura dei debiti insoluti, o il pagamento delle bollette, l’annoso problema capace di farci diventare dei piagnistei incalliti. La paura dell’infedeltà del proprio partner o quella di perdere il lavoro (paura molto fondata di questi tempi), e via dicendo fino alla fatidica frase di apertura della pièce: “Questa commedia è dedicata a chi ha paura”. Lo spettacolo diverte per una sequela di gag, fino a che  il piagnisteo assume toni concitati, esasperati, creati ad effetto, là dove il marito torna a casa, stanco e frustrato e scarica tutto sulla moglie, incapace a sua detta, di cucinare decentemente.

Una donna in perenne stato di frustrazione e insoddisfazione per non essere desiderata dall’uomo che gli dorme accanto. L’agito si mescola al pensiero, l’azione si manifesta e subito dopo si blocca, dando modo al personaggio di spiegare al pubblico, ad alta voce, ciò che gli passa per la testa. I pensieri, la paura, il sentimento, l’emozione, e di conseguenza il piagnisteo di rito. Intuizione drammaturgica che si dimostra vincente, e il merito, oltre che del regista Roncaglia, è di tutti gli attori molto bravi nel gestire con tempistiche perfette, i vari cambi di registro. Così facendo, si creano dei fermo immagine esilaranti, per poi ripartire da dove si era interrotto il dialogo. Frank (Lorenzo Bartoli) è sposato con una donna (Francesca Porrini), e ha un amico, Hal (Gianluca Gambino) che poi diventerà il nuovo partner del marito che si scopre omosessuale, forse una delle probabili cause dei suoi piagnistei. Ma non è detta l’ultima parola: una volta che i due andranno a vivere insieme, potrebbero insorgere le stesse dinamiche della vita etero – matrimoniale precedente.

 

 

Ognuno di loro ha la possibilità di esprimersi a “viso aperto”, a tempo determinato però. Si ricomincia sempre da capo. Un gioco ad incastri che diverte. La scena è pensata come una sorta di scatola magica. Da un cilindro esce un cameriere con tanto di tavola e vassoio annesso, la lavatrice emana colori fluorescenti, il water è un confessionale dove a turno tutti si rifugiano per dare sfogo a impellenti bisogni corporali e psicosomatici. Il luogo segreto dove far uscire tutte le nostre insicurezze. Bella metafora.

La scelta di far recitare nel ruolo della suocera un attore esalta il nonsense che ogni tanto emerge dal testo. Nulla di simile ad una macchietta o sul genere comico da Zelig, tanto per intenderci, Enrico Dusio crea un personaggio buffo quanto antipatico/a, maleducato/a, la miccia che accende scoppiettanti dialoghi tra moglie e marito e il terzo incomodo, l’amico svampito, separato pure lui. Le sconvenienti abitudini fisiologiche a dir poco maleducate della suocera, creano il “gesto-azione” ipocrita e si trasformano in “pensiero” leggibile sibilato ad alta voce, suscitando il divertimento nel  pubblico.

Viene a galla di tutto: complessi di inferiorità, malesseri covati per anni, lui ama lui, lei ha una relazione clandestina con George, un agente di commercio e cliente del marito, (Carlo Roncaglia) con il quale scapperà per rifarsi un’altra vita. Nella società borghese si annida il tarlo dell’ipocrisia, dei rapporti che nascono e muoiono nell’arco di un giorno. Le frustrazioni diventano piagnistei alla Berkoff, i fallimenti esistenziali si basano su insoddisfazioni sentimentali, professionali, ma anche di poco conto, più orientati all’agio, al lusso, al desiderio di emergere e contare in una società edonista e viziata da bagliori estetici e di status simbol, che ad un raggiungimento di un equilibrio e un’armonia vitale e relazionale. L’uomo è tutto e il contrario di tutto. Eternamente insoddisfatto.

Kvetch di Steven Berkoff

Accademia dei Folli

regia di Carlo Roncaglia

stagione TrentOOltre Portland Teatro Trento

Visto al Teatro Cuminetti di Trento il 19 ottobre 2011

 

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