Voci dalla Biennale Teatro 2012: parla Luca Micheletti

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I lavori del campus del Laboratorio Internazionale di Teatro Venezia 2012 si sono conclusi e la redazione del laboratorio di critica della Biennale si interroga sul significato della presenza di centocinquanta laboratoristi tra attori, registi e drammaturghi giunti da ogni parte del mondo, propondendo, ad alcuni di loro, un format di domande sul senso del loro lavoro.

Rumor(s)cena ha incontrato Luca Micheletti, 26 anni, attore, regista, drammaturgo. Già Premio Ubu come migliore attore non protagonista per La resistibile ascesa di Arturo Ui, è uno dei quattro registi impegnati nel laboratorio della Biennale teatro di Venezia guidato da Luca Ronconi.

Qual è lo spettacolo che ti ha cambiato la vita?

«Io vengo da una famiglia che fa il mestiere d’ attore da generazioni, ho vissuto nel mondo dello spettacolo da quando sono nato. Quindi, proprio per ragioni biografiche, non credo di poter dire che ci sia uno spettacolo preciso che mi ha cambiato la vita. C’è stato, piuttosto, l’incontro con alcuni di quelli che Foucault definiva “fondatori di discorsività”, con dei sistemi di senso che mi hanno aperto nuove prospettive sulle cose.

Siccome la regia per me rappresenta fondamentalmente la possibilità di lanciare uno sguardo critico ampio sulla realtà, sufficientemente a lunga gettata tale da colpire il bersaglio di colui al quale lo proponi una volta che lo metti in scena, allora entrare in contatto con sistemi di senso differenti mi è stato più utile che vedere uno spettacolo in particolare.

La scelta di lavorare con Ronconi in questo laboratorio è stata determinata proprio da qualcosa di simile, dall’urgenza, cioè, di entrare in contatto con il fondatore di una discorsività, con un particolare orizzonte di significati con cui sentivo la necessità di confrontarmi.»

 

Costi e ricavi: un bilancio del laboratorio veneziano

«Io non sono solito frequentare laboratori. Nonostante mi interessi molto l’esperienza didattica, sia dal punto di vista del fruitore che del docente, mi capita abbastanza di rado di trovare il tempo necessario per riuscire a lavorare su cose che prescindano dalla professione.  Anche perché, quella di regista, è una professione che ti devi guadagnare con i denti e che quindi ti lascia poco spazio per la ricerca. Questo laboratorio, invece, è un’occasione che arriva per me in un momento dell’anno perfetto, forse l’unico che avrebbe potuto accoglierlo. E poi è una bella occasione di sperimentazione perché non si punta al risultato finale: si lavora su un percorso che consente di mettersi in contatto con differenti possibilità di ragionare, e poiché in teatro si fa tanto e si ragiona poco è veramente una opportunità importante.

Più in generale credo che l’ idea del Campus Biennale di per sé sia un’ idea geniale, sebbene adesso sia ancora in una fase aurorale che ha bisogno di sorgere, di essere organizzata meglio. Non potrei aderire con più entusiasmo all’ idea chela Biennaledi Venezia da luogo di esposizione diventi luogo di ricerca permanente.»

 

Che senso ha fare teatro in questi tempi di crisi?

«Ha senso proprio in questi tempi perché suggerisce dei canali di ragionamento: il teatro offre delle chiavi critiche per capire perché siamo arrivati a questo punto. Nonostante la scarsità di risorse renda complicato lavorare in teatro, è  fondamentale, in un momento di questo genere, riflettere sulle dinamiche storico-culturali in cui siamo coinvolti.»

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