Focus a teatro, Teatro — 08/11/2011 at 23:42

Il Teatro Povero di Montichiello vince il Premio Hystrio-Anct 2011

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Il Premio Hystrio-Anct 2011 è stato assegnato al Teatro Povero di Montichiello, dalle mani di Claudia Cannella, direttrice del trimestrale Hystrio al Teatro della Pergola di Firenze, il 17 ottobre scorso, durante la cerimonia di premiazione del Premio della Critica assegnato, come ogni anno, dall’Associazione nazionale critici teatrali, presieduta da Giuseppe Liotta, con la seguente motivazione: “ Il Teatro Povero vive da oltre quarant’anni e da quarant’anni resiste. E come certi luoghi e certe date, non è una resistenza museale, ma un fulcro di vivacità e memoria, capace di coinvolgere un intero paese che consigliamo di visitare, un piccolo e meraviglioso comune della Val d’Orcia, dove osservare la piazza piena di spettatori, la commozione che ti prende alla gola, quel linguaggio scenico capace di evolversi senza tradirsi, parlando di contemporaneità senza dimenticare radici e passato.

 

 

 

E poi perché crediamo nella sua bellezza semplice, e pensiamo che, se un ragazzino s’avvicina per la prima volta al teatro a Monticchiello, poi a teatro ci torna. Perché capisce e si emoziona. Hystrio insieme all’ Anct ha deciso di premiare la comunità che, dal 1967, si racconta con in suoi “autodrammi”. Da L’Eroina di Monticchiello ad Argelide, spettacolo fra i più compiuti degli ultimi anni con la sua attenzione, colta e popolare al tempo stesso, nel raccontare la crisi, la gente comune e l’altra faccia dell’Unità d’Italia. Un omaggio alla felice anomalia dell’autodramma e delle sue scelte collettive, ma anche proporre, a fianco delle motivazioni artistiche, una riflessione sul successo economico-produttivo che il “Teatro Povero” di Monticchiello rappresenta. Dove per una volta è il teatro a spingere l’indotto di un’intera località e non il contrario”.

Ma in cosa consiste questa straordinaria esperienza che si ripete da molti anni, ogni estate, in questo piccolo borgo della Toscana, in provincia di Siena, circondato da colline e boschi?

Il progetto del Teatro Povero nasce e si sviluppa a Monticchiello, molto prima della data del suo inizio. L’esperienza teatrale sembra essere una componente strettamente legata alla vita ed alla storia della comunità fin dal passato. Le prime rappresentazioni drammatiche risentono di una primitiva vocazione alla festa popolare e costituiscono momenti ricreativi che accompagnano la vita del paese. In seguito, quando si comprende che attraverso questo complesso “rituale” il paese può vincere il rischio dell’isolamento e della disomogeneità il teatro assume per Monticchiello un significato nuovo. Con la messa in scena dello spettacolo teatrale del 1967, “L’Eroina di Monticchiello”, la comunità richiama l’attenzione in una fase di spopolamento a causa della crisi dell’agricoltura. Il testo è stato scritto da Marcello Del Balio, sacerdote poliziano, già animatore del Bruscello.

Nel 1969 in occasione dell’anniversario di un episodio della Resistenza; la vittoria “sul campo” di una battaglia partigiana e la mancata strage dei nazisti a Monticchiello, gli abitanti decidono di rievocare il passato con uno spettacolo, chiedono la collaborazione del giornalista e scrittore Mario Guidotti che realizza “Quel 6 aprile del ‘44”. L’esperienza teatrale si lega così al sui nome, dando origine al sodalizio da cui nascerà il concetto di “autodramma” (termine coniato per la prima volta da Giorgio Strehler)  ed il vero “Teatro Povero”.

 

Nel 1970 va in scena “Noi di Monticchiello”, esempio di “teatro-verità”, scritto dagli stessi personaggi, (gli abitanti di Monticchiello) che, recitando se stessi (l’autodramma), testimoniano la propria realtà, presentandosi con le sue autentiche situazioni esistenziali e sociali. Lo spettacolo presentato nell’estate del 1974 costituisce un momento molto significativo nella storia di questo teatro. “Contadini o no” segna infatti il primo ingresso della vicenda contadina nell’autodramma. Tema dominante è lo sfaldarsi della famiglia contadina, inserito nel contesto della crisi della civiltà agricola toscana. Vengono affrontati i problemi causati dallo spopolamento delle campagne, dall’urbanizzazione e dalle profonde trasformazioni sociali dell’ultimo ventennio. “La Piazza” del 1981 è lo spettacolo della svolta; un primo ciclo di produzioni si esaurisce. L’autodramma vive infatti una fase di ripensamento e il 1981 si propone come anno di transizione in attesa che si individuino le linee conduttrici di un nuovo ciclo. Viene criticato dal momento che quasi tutta la stampa specializzata si era abituati ad un cliché teatrale che rispettava certi canoni che in questo caso sono stati completamente ribaltati.

Il lavoro del 1982 “Sorella acqua?” non porta più la firma di Mario Guidotti né quella di Arnaldo Della Giovampaola. La stesura dei testi è affidata ad un gruppo di quattro persone che dopo aver seguito lo stesso procedimento di analisi delle idee in assemblea lo sottopongono alla discussione ed alla approvazione della comunità teatrale. Un doppio livello di verifica e di costruzione. Il teatro ha funzionato da scuola e questo anche per quanto riguarda gli attori.

 

 

 

Con “Zollet” cambia la struttura degli spettacoli; fino ad allora viene individuato un momento che introduce chiaramente l’argomento con un’azione rievocativa, sempre scaturita da un fatto della storia e della tradizione del paese o da una situazione locale. A partire dagli anni Ottanta Andrea Cresti, Marco Del Ciondolo, Maria Rosa Ceselin e Vittorio Innocenti, costruiscono un’operazione diversa: il dibattito è accantonato, la struttura del testo è ridotto, viene drammatizzata l’ultima parte dello spettacolo, forzando i meccanismi teatrali fino ad evidenziare in modo paradossale il problema attuale. “La sortita” del 1986 apre un ciclo nuovo: i temi ruotano sempre intorno alla radice contadina, in un continuo rapporto tra passato e presente. “Millanta” affronta il tema dell’esodo. L’autodramma è precisato nell’abbandono della terra, della storia, della vita fino a quel momento, senza introdurre elementi tragici, ma offre anche le tenerezze dell’evocazione di altri tempi, e attraverso l’ironia si salva dal tono apocalittico.

 

Gli spettacoli degli anni ’90 sono pervasi da questo senso di smarrimento che spesso affligge gli uomini in momenti cruciali della loro vita e che sovente li porta ad esiti imprevisti, quando non addirittura opposti rispetto alle intenzioni. Il secolo che sta finendo porta con sé inquietudini nuove ed è accompagnato da una lieve paura del domani; aleggia l’imminenza di qualche “strappo” a cui la storia condanna ciclicamente gli uomini. Il ciclo si chiude nel 1997 con “Falci”. Lo spettacolo affronta il tema centrale della memoria e in questo contesto, dopo trent’anni, cambia lo spazio scenico, sviluppato ora come racconto che si ferma solo casualmente davanti al pubblico e non più centrato sulla piazza.

Il rapporto dialettico tra passato e presente permane anche negli ultimi spettacoli ma l’approccio, a partire dal 1998, diventa più riflessivo, più intimistico; non viene affrontato un tema preciso intorno al quale si sviluppa poi la riflessione ma piuttosto si parte da stati d’animo, da condizioni di disagio propri di questa epoca. La famiglia contadina è ancora sulla scena ma il suo utilizzo è quasi “surreale”. La scelta è quella di allontanare e oggettivare ulteriormente il contenuto della civiltà mezzadrile attraverso il recupero della “fola”, attingendo così al patrimonio della tradizione novellistica toscana. Nel 1998 “Gerontectomia” si affronta il tema della vecchiaia attraverso una serie di quadri paradossali che rappresentano in maniera grottesca alcune tendenze di questa epoca legate agli anziani.

“Quota 300” parte dalla constatazione che al di sotto di certe soglie numeriche non è più giustificata l’erogazione dei servizi essenziali. Il tema della modernità è affrontato direttamente e gli attori portano in scena tutti i dubbi che tormentano le piccole comunità come Monticchiello. “Quovadimus” è una favola antica della tradizione toscana, la novella di Gianni Stento, giovane sventato che non si sottrae mai a nessuna esperienza ma che non sopravvive alla vista del suo “didietro”, alla parte ignota del suo essere.

Nel 2000 Monticchiello racconta nuove ansie, i tormenti e le passioni della gente davanti all’incalzare della modernità, uno stato d’animo comune, un conflitto che appassiona, simbolo di una inquietudine che cresce e che il Teatro Povero ha fatto suo in questi ultimi anni. Nel 2001 “Manonèabusodipodere?!”: gli ultimi assediati ma ostinati contadini non vogliono tagliare il legame con la terra e con il modo di vita che essa simboleggia, nonostante le lusinghe del denaro, i poderi modificati e snaturati da nuovi utilizzi, i campi che diventano giardini recintati da cancelli che separano le proprietà e le singole esistenze.

Dal 2001 in poi si susseguono “Te Po Po Tra Tos museum“, “Passarà” che racconta l’assedio di Carlo V a Monticchiello nel 1553. “Fola” nel  2004, viene riproposto l’antico racconto popolare della “Fola di Campriano”. Alla fine del 2006 la denuncia di alcuni intellettuali capitanati da Alberto Asor Rosa circa presunte pratiche di speculazione edilizia nei dintorni di Monticchiello fa scoppiare lo scandalo del cosiddetto “ecomostro”, definizione giornalistica che si estenderà presto ad individuare oltre 120 casi di cementificazione. La vicenda provoca reazioni e opinioni differenti nel paese di Monticchiello che si riflette negli spettacoli successivi, A(h)ia (2007) e Il paese del B(a)locchi (2008). Negli ultimi due lavori – DuemilaNOve (2009) e Volo precario (2010) – la riflessione torna sull’attualità sociale e sulle difficoltà – specie delle giovani generazioni – a trovare un proprio posto nel mondo e di costruirsi un dignitoso fututo, strette come sono nella morsa del precariato e dell’insicurezza.  Nel 2011 “Argelide (45 esimo autodramma) racconta la storia  di una famiglia e di una comunità che si ritrovano attorno al capezzale di una figura carismatica: la vecchissima Argelide. Carattere forte e tenace, il suo, sanguigno e tutto popolare. Mentre la sua gente sembra andare in mille pezzi, incapace di reagire alle pressioni di una situazione economica compromessa e che spinge ognuno verso il proprio interesse, sul letto di Argelide si gioca ora la partita piú importante: cedere o meno alla tentazione di una deriva ultima e definitiva?

 

(crediti fotografici di Umberto Bindi e Gianni Caverni)



 

 

 

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