Teatro, Teatro recensione — 08/03/2019 at 11:13

A Bergman Affair: La verità è nel corpo. Soffocata dal suo doppio.

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RUMOR(S)CENA – A BERGMAN AFFAIR – VIE FESTIVAL MODENA – E’ stato audace portare in scena Ingmar Bergman tenendo insieme la fedeltà all’autore, la tradizione classica del teatro e la sperimentazione. E dare un corpo inedito al corpo delle sue parole. E’ riuscita magistralmente nell’impresa la compagnia The Wild Donkeys fondata da Olivia Corsini e del regista Serge Nicolaï  (interpreti di lungo corso del Théâtre du Soleil di Ariane Mnouchkine) che a Modena nel programma del festival VIE di Emilia Romagna Teatro, ha celebrato il maestro nel centenario della sua nascita con A Bergman Affair . Lo spettacolo con apparente levità supera i limiti temporali e geografici del testo originario (Conversazioni private, del ‘96), e ci accompagna nello spazio dell’amore infedele, qui ed ora. Uno spazio in bilico tra godimento e dolore, tanto ancorato alla materia da risultare unico e universale, per quel destino comune degli umani nel possedere un corpo. E’ alla verità di quel corpo che Anna (Olivia Corsini) tenta di dare voce, cercando di metterlo in salvo dai ricatti delle convenzioni sociali e dai precetti religiosi. Un progetto che abbraccia materie diverse tra cui i fondamenti del Bunraku (il teatro di marionette della tradizione giapponese) che si traduce in una sorprendente manipolazione degli attori, governati da una sorta di burattinaio (Serge Nicolaï) che accompagna la loro gestualità nei momenti più drammatici della narrazione, dilatando la fisicità delle vibrazioni dell’anima: il desiderio, la rabbia, la paura. La scena è essenziale: un letto, un tavolo e due sedie.

 

 

Foto_Rômulo Juracy

 

 

Il tessuto narrativo è semplice. Anna è una moglie infelice, prigioniera della sua stessa vita. Ha un marito che non ama più, tre figli e un giovane amante (Andrea Romano ). Possiede dunque delle certezze, che non reggeranno all’urto delle trappole sociali e dei tormenti della coscienza. Il legame con Henrik (Stephen Szekely) è incrinato, e già in passato Anna ne ha avvertito i segnali e cercato una via di fuga. Le parole della madre e un malinteso senso del dovere l’hanno riportata a casa. E nel vuoto esistenziale che si è fatto via via sempre più largo, ha avuto con Henrik il secondo e infine il terzo figlio. Anna senza infingimenti sa bene che l’asfittico spazio domestico spegnerà poco a poco l’energia dei suoi quarant’anni e, come a cercare ossigeno per la sua pelle, vive la passione per il giovane amante senza risparmiarsi, con la lucidità del rischio, del danno e della perdita. Dopo una conversazione privata (versione luterana del sacramento cattolico della confessione), con il padre Jacob (Gérard Hardy), Anna accoglie l’esortazione del vecchio e confessa l’infedeltà al marito, immaginando un perdono e un patto di generosità, che salvi gli affetti familiari e la sua stessa libertà. In uno slancio straziante di chi non vuole perdere confessa a Henrik e a se stessa che sa che la storia d’amore è destinata a finire e proprio per questo le appartiene. Anna è disposta a battersi per prendersi una gioia immanente e breve, come un brindisi di vino rosso, o un bagno nelle acque gelate del fiordo. Gioie effimere come il corpo terreno destinato a finire, ma non a morire anzitempo senza nutrimento d’amore.

 

foto Humberto Araujo

Anna si prende la scena, è adulta e bambina, sensuale e rabbiosa, forte dell’ adesione profonda al suo sentire, per certi versi libera, ma la verità non può stare da una parte sola. Il marito rivendica il suo ruolo, e la sua stessa verità, che prende la forma del ricatto. Attraverso la straordinaria soluzione registica del manipolatore, di grande impatto emozionale ed estetico, la narrazione ci dice che la libertà non esiste. Un’interferenza arriva (annunciata da una musica dissonante) a ricordare che il corpo è un contenitore fragile, manipolabile, in balia di forze che vengono da fuori e da dentro di noi, che non si controllano. Una volontà aliena che confonde le ragioni e pare vincere su tutto, e che ci mostra le debolezze di ognuno, specie quelle del giovane Tomas che non regge all’amore veemente di Anna e abbandona, turbato dal timor di Dio. A vincere la disputa tra la vita vera e la morale pare essere quest’ultima. Il vecchio pastore, malato, chiude la sua esistenza terrena convinto di aver agito bene mettendo Anna sulla strada della sincerità. E in questa ultima scena la forza statica di lei è prorompente. Nella piena coscienza dell’intera vicenda, come se guardasse da sopra tutti i traditori della sua volontà, è capace di trovare le parole di conforto per accompagnare il vecchio pastore alla fine, placando i dubbi di lui che da allora -dice- l’ha pensata sempre, ogni giorno, lasciando intendere una sfumatura di dubbio nel suo credo granitico. Anche il disegno dei corpi in scena per maestria attoriale e grazie a un gioco raffinato di luci, ora ci appare grande ora piccolo. Lo stesso Jacob nella scena finale sembra ridursi in altezza.

foto Guido Mencari

Scalzo e curvo, più magro rispetto all’inizio. Nemmeno la sua fede lo ha messo al riparo. Il bell’ amante, attrezzato di valigia, chitarra e falsa sicurezza, ci appare infine diverso nei suoi tratti adolescenziali. Tutti perdono qualcosa ma Anna di più, perché lei era davvero disposta a giocare. Non è un caso che nella lingua francese recitare si dica jouer, come fanno i bambini che hanno più coraggio dei grandi. Basta vederle le cose perché ci siano. Cosa importa se qui non c’è il mare facciamo finta che ci sia. Resta nella memoria la scena di lei che fa la doccia con una bottiglia d’acqua minerale e si tuffa nel mare di linoleum del plateau. Grande prova di teatro, mai definita a priori ma in gran parte improvvisata per non smentire la natura stessa del destino manipolatore, ambiguo e imprevedibile. Una sintonia che viene da un’intesa perfetta tra gli interpreti che sono in ascolto costante e reciproco. Il pubblico sembra incorporato nel progetto artistico, toccato al cuore da una pensiero incarnato, che arriva dritto senza mediazione intellettuale e che lascia il segno, anche dopo, perché si sa il teatro fa male. Da ricordare la preziosa collaborazione artistica di Gaia Saitta e Giuliana Rienzi Clément Camar-Mercier e Sandrine Raynal Paillet Elsa Revol, Emanuele Pontecorvo.

Foto di Guido Mencari

A Bergman Affair va in scena a Théatre Le Monfort. Parigi dal 12 al 23 marzo 2019

Locandina di A Bergman Affaire in scena a Parigi

Visto al Teatro delle Passioni  per il Festival Vie di Modena il 2 marzo 2019

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