ROMA – In questi giorni è sul set del nuovo film di David Grieco “La macchinazione”, in fase di riprese a Roma, dove interpreta il ruolo di un uomo coinvolto in un giro di prostituzione maschile. Un personaggio chiave all’interno della ricostruzione della storia tragica che determinò l’omicidio di Pier Paolo Pasolini. È Matteo Taranto è uno dei protagonisti nel cast del film insieme a Massimo Ranieri che interpreta il regista e poeta scomparso tragicamente il 2 novembre del 1975. David Grieco fu tra i primi a giungere sul posto del delitto insieme al medico legale Faustino Durante. Grieco aveva cominciato a lavorare nel cinema molto giovane con Pasolini e i due erano legati da profonda amicizia. La famiglia di Pasolini gli chiese di scrivere la memoria di parte civile del primo processo per l’omicidio. Da questo nasce la sceneggiatura de La Macchinazione che racconterà gli ultimi tre mesi di vita di Pasolini e del suo rapporto con il giovane ragazzo di vita Pino Pelosi.
Matteo Taranto è stato scelto dal regista per interpretare un ruolo drammatico come spiega nell’intervista: «Il mio è un personaggio chiave all’interno della ricostruzione della storia, per merito del regista dalla sensibilità straordinaria con il quale sto affrontando un percorso di immedesimazione, improntato sulla verità del personaggio. La macchinazione è un film coraggiosamente realistico». Il film è una co-produzione Italia-Francia prodotta da Propaganda Italia e To be continued Productions in associazione con la Lazio Film Commission. Scritto da Guido Bulla e David Grieco, nel film recitano anche Libero De Rienzo, Roberto Citran, Milena Vukotic, François Xavier Demaison e il giovane Alessandro Sardelli, per la prima volta sullo schermo.
Molte le verità contrastanti ed ipotetiche sono circolate sulla morte di Pasolini. Nell’estate del 1975, Pier Paolo Pasolini sta montando il suo film più aspro e controverso, Salò o le 120 Giornate di Sodoma. Mentre lavora al film scriveva anche Petrolio, un’opera che denunciava le trame di un potere politico corrotto. La sua frequentazione con Pino Pelosi è il prologo della sua fine. Sul sito di Filmitalia Luce Cinecittà è pubblicata la scheda che riassume l’intento del film:«Le verità ipotetiche sulla morte di Pasolini che circolano da anni sono tante. Pasolini è stato ucciso da Pelosi che ha fatto prima da informatore per il furto delle bobine di Salò e poi da esca per l’agguato all’Idroscalo. Pasolini è stato assassinato dalla Banda della Magliana. Eliminato su ordine di Eugenio Cefis perché indagava sui loschi traffici del presidente di Eni e Montedison che avrebbe fondato la P2 e nel 1962 fatto precipitare l’aereo di Mattei. Il film indaga tutte queste ipotesi intrecciandole in un ordito semplice e verosimile. Perché c’è del vero in ognuna di queste tesi. Una verità sepolta sotto tante verità».
Impegnato nel cinema Matteo Taranto è anche un attore teatrale e ha al suo attivo un curriculum di tutto rispetto. Uno dei ruoli più riusciti delle scorse stagioni teatrali è stato quello di Dragos in “Roman e il suo cucciolo” diretto e interpretato da Alessandro Gassmann per il Teatro Stabile del Veneto e dell’Abruzzo. La storia di due romeni, padre e figlio, coinvolti in modo diverso in vicende di droga. Il testo, tradotto e adattato da Edoardo Erba, è ambientato in una periferia urbana italiana, all’interno di una comunità romena. Premio Ubu nel 2010 come “Miglior spettacolo dell’anno”. Un successo tale da far decidere a Gassmann di farne una riduzione cinematografica dal titolo “Razzabastarda”.
Matteo Taranto si è diplomato nel 2000 alla Scuola del Teatro Stabile di Genova. L’anno del diploma segna anche il debutto in teatro nello spettacolo Don Giovanni diretto da Marco Sciaccaluga prodotto dal Teatro Stabile di Genova e nel Tartufo con la regia di Benno Besson.
Nel suo curriculum dichiara di conoscere oltre la lingua inglese il dialetto genovese, spezzino (è originario di La Spezia), l’alto toscano e il napoletano, il romanesco e tra gli sport praticati figura il pugilato (uno dei suoi tanti ruoli sostenuti al cinema), e anche il krav maga, nuoto, basket, equitazione, kite surf. Un attore atleta a cui non manca la dote di essere anche introspettivo nelle sue riflessioni e una propensione a interrogare se stesso, e non a dare facili e scontate risposte. Matteo Taranto è alto un metro e 88 ha occhi verdi, capelli castani. Caratteristiche fisiche adatte a molti ruoli ma che non lo distolgono dall’essere una persona dai modi semplici e per nulla divistici.
Alla richiesta di descriversi come si vede Matteo Taranto spiega di sentirsi “vittima” della sindrome del figlio unico, pur essendo molto legato al fratello più giovane.
«La mia scelta di vita è sempre stata quella di condividere la gioia e la felicità ma anche il dolore e la disperazione. Una scelta di vita che deve fare i conti anche con la mia solitudine e Pascal lo spiega bene quando dice che “Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo”. Ho bisogno di momenti in cui ricevere un abbraccio, momenti di vita che sono dei pieni pazzeschi sostituiti da vuoti orrendi. Questo accade ad esempio dopo aver recitato in teatro ricevi gli applausi del pubblico vai in albergo e ti ritrovi da solo in una stanza. Sono felice quando ho la possibilità di fare delle cose in cui credo, e che hanno a che fare con una qualità elevata, con le grandi sfide e di conseguenza con la possibilità di ricavarne delle grandi soddisfazioni. Quando mi devo adattare allora devo trovare il modo di farmele piacere. Ho imparato a godere quando vivo di questi momenti felici a scapito di molta superficialità che ci attornia. Il mondo dello spettacolo è fatto anche di lustrini e di gossip di cui è responsabile in qualche misura anche la televisione».
Un mezzo che conosce bene visto che ha recitato in molte serie e fiction come in Distretto di polizia 5, per la regia di Lucio Gaudino. Attore ma anche autore e regista come nel caso di “In viaggio con Enrico Berlinguer” andato in scena nel 2007 al Teatro Civico di La Spezia. Al cinema è stato scelto da Ferzan Ozpetek per recitare in Mine Vaganti nel 2009.
La scelta di diventare attore da cosa nasce?
«Io sono consapevole della mia inquietudine che però mi ha permesso di realizzarmi. Quando ero piccolo sognavo di entrare dentro tutte le case per vedere come fossero all’interno. La scelta di diventare attore mi ha consentito una volta diventato adulto di entrare nei corpi dei personaggi che mi hanno affascinato. Uno dei miei miti è Gianmaria Volontè. Io sono attratto dalla possibilità di trasformazione che ha il corpo umano, come ingrassare o dimagrire. Un’attrazione che mi accompagna per tutta la vita e mi mi permetterà di dire che ho vissuto dieci cento vite. Una non mi può bastare e se facessi un solo lavoro non potrei mai accontentarmi. In fin dei conti questa inquietudine mi ha permesso di provare un senso di realizzazione».
Scorrendo il suo curriculum in effetti i ruoli sono molti e diversi tra di loro, da quello di poliziotto al pugile.
«Se mi devo immaginare un personaggio che devo interpretare la ricerca diventa maniacale. Per il mio ruolo nel film La macchinazione di Grieco esco di casa solo la notte e giro per le strade e le piazze e cerco di fingermi romano e parlo con chi vive quei luoghi, gli frequenta. Cerco di carpire da loro tutto quello che può servire ad immedesimarmi il più possibile. Così come ho fatto per il film Il Restauratore di Enrico Oldoini, dove ero un pugile. Mi esercitavo in una palestra e salivo su un ring e frequentavo l’ambiente dei pugili, le loro relazioni. L’attore si nutre del mondo che lo circonda, lo deve vivere e frequentare persone che ti stimolano. Non è un hobby e tanto meno un vezzo fare questo lavoro. Io voglio arrivare al domani facendo questo tipo di lavoro».