musica e concerti, Teatro lirico — 07/04/2023 at 15:16

Il potere del sentimento o il sentimento del potere?

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Buona parte dell’ottocentesco Romanticismo, movimento forse più etico che artistico, è riassunto in un fragoroso cozzare tra il Sentimento individualmente irriducibile e il Potere di una Società che vuole governarlo, tragicamente anche con la forza, e piegarlo così alle esigenze della sua conferma e riproduzione. Forse privo dei distinguo e delle sottigliezze metafisiche trionfanti nella coeva letteratura tedesca, la tragedia storica di Byron ‘espone’ con forza, come fosse un sacrificio dovuto comunque alla vita, questo conflitto ed il suo esito tragico, quasi senza giudicare ma iscrivendo torti e ragioni (che ci sono e con chiarezza) alla sua ineluttabilità, prima metafisica dunque e psicologica, e poi storica e sociale.

I due Foscari di un ancor giovane Giuseppe Verdi, in scena dopo oltre cento anni a Genova nel Teatro Carlo Felice, si affaccia a questo groviglio e drammaturgicamente compie una scelta che diventerà sempre di più parte della sua (del compositore di Busseto intendo) visione della condizione umana nel mondo, la scelta cioè di proiettare sullo sfondo, quasi fosse la grata della nostra prigione, il macchiavellico intrico e intrigo prodotto dalla vendicativa sete di potere nella quattrocentesca Venezia ‘Serenissima’, e di porre al centro di questa prigione la psicologia dei perdenti, che di quella visione parrebbe irriducibile e pessimistica metafora.

Una scelta che se da una parte, almeno secondo alcuni, ne penalizza la varietà e la dinamicità drammatica, dall’altra è in grado di aprire spazi affascinanti alla coerente costruzione di personalità dentro i personaggi, secondo quella linea shakespeariana che il compositore si è, come noto, peritato di approfondire anche nella sua maturità.

Tre personaggi dunque, psicologicamente intendo, immobili nella loro reiterata e ribadita sofferenza, in attesa di ciò che ‘sanno’ aspetta ciascuno di loro, immobili mentre cercano di nascondersi nella loro intimità/prigione continuamente violata, quasi stuprata, dal potere nemico e trionfante.

Questo orizzonte però costituisce anche, fino in fondo, la forza della partitura che non accompagna la parola nel canto ma la costituisce come tale attraverso la forza di una oculata ed equilibrata reiterazione di temi, che anticipano con sapienza arie e cabalette dalla straordinaria energia insieme melodica e ritmica,  e che il maestro concertatore sa efficacemente esaltare mentre esplodono sulla scena, trascinandone le dinamiche.

La musica dunque è il vero motore di questa narrazione cantata, che muove oltre l’immobilità in cui la drammaturgia in un certo senso la imprigiona. Infatti con intelligenza musicalmente anticipatoria, che non è il leitmotiv wagneriano ma diversamente lo concepisce, ognuno dei tre perdenti è come riempito di un suo motivo musicale specifico che quasi lo richiama in scena e di volta in volta lo definisce con chiarezza nel contesto drammatico.

La storia è nota e ricostruisce artisticamente la vicenda storica del Doge Foscari, del di lui figlio superstite Jacopo, della nuora Lucrezia Contarini (i perdenti), sconfitti dal loro nemico giurato Jacopo Loredano. La regia di Alvis Hermanis, ripresa da un allestimento scaligero, coglie questa angolatura psicologica della trascrizione verdiana e la interpreta trasferendo quasi quelle vicende in un mondo onirico in cui precipita l’essenziale, in cui si riflettono come ombre e come tuoni lontani, ma non per questo meno dolorosi, gli attacchi di quella sorte tutta umana in cui l’antico fato divino si è progressivamente trasfigurato. Una regia dunque dalle tonalità simboliste che quasi concentra anch’essa l’attenzione su anime sofferenti che popolano un universo che perde man mano senso e consenso.

Della efficace prova del maestro concertatore Renato Palumbo già ho accennato, una interpretazione veramente moderna che esalta le fratture ritmiche e le riprese melodiche di una partitura forse meno apprezzata di altre, da molti considerata imperfetta per immaturità, ma teatralmente di grandissimo impatto. Il cast canoro è di grande valore e ha il suo centro nella bellissima voce baritonale di Franco Vassallo, vero centro di attrazione dello sviluppo musicale, che è un Francesco Foscari capace anche dal punto di vista recitativo. Ne fanno nel complesso felice corona Fabio Sartori (Jacopo Foscari) e Angela Meade (Lucrezia Contarini) soprattutto nelle tonalità più scure e intensamente drammatiche. Infine è capace di dominare fisicamente il palcoscenico, come un mozartiano Commendatore giustiziere, lo Jacopo Loredano di Antonio Di Matteo, un basso dalle tonalità colorite.

Uno ritorno ben apprezzato, valorizzato anche da costumi, luci e coreografie visivamente attrattivi e dal consueto grande contributo di Coro e Orchestra della Fondazione Carlo Felice. Al teatro Carlo Felice di Genova, la prima il 31 marzo con molti applausi anche a scena aperta e molti richiami alla fine.

I DUE FOSCARI. Tragedia lirica in tre atti. Muusica di Giuseppe Verdi. Libretto di Francesco Maria Piave, da Byron. Interpreti alla prima: Francesco Foscari Franco Vassallo, Jacopo Foscari
Fabio Sartori, Lucrezia Contarini Angela Meade, Jacopo Loredano Antonio Di Matteo, Barbarigo
Saverio Fiore, Pisana Marta Calcaterra, Fante Alberto Angeleri, Servo del Doge Filippo Balestra.

Maestro concertatore e direttore d’orchestra Renato Palumbo. Regia e scene Alvis Hermanis. Costumi Kristìne Jurjàne. Coreografie Alla Sigalova. Luci Gleb Filshtinsky. Video Ineta Sipunova.

Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova. Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice . Maestro del Coro Claudio Marino Moretti. Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS.

Repliche anche con altro cast 1, 2, 6, 7 e 8 aprile.

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