Teatro, Teatrorecensione — 06/11/2015 at 12:48

De Revolutionibus secondo Carullo/ Minasi bravi e autoironici

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PISA – Spettacolo vincitore nella recente edizione estiva ai Teatri del Sacro di Lucca, approda nell’ambito della rassegna Teatri di Confine Pisa|Buti 2015 il De Revolutionibus-sulla miseria del genere umano di Carullo e Minasi. Una coppia di giovani artisti assai coraggiosi che si misurano con determinazione su alcuni testi del “Giovane meraviglioso “, quel Giacomo Leopardi ritratto pochi mesi or sono per il grande schermo dal regista Mario Martone (che ci ha regalato anche un’altra regia, questa volta teatrale visionaria sempre attingendo dal sommo recanatese delle Operette morali, premio UBU 2011).

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Il cammino della coppia Carulli|Minasi nella scelta impervia di confrontarsi con due delle Operette moraliIl Copernico” e “Galantuomo e Mondo”, è quanto di più antiteatrale si possa immaginare: siamo di fronte a testi filosofico-letterari in una lingua italianissima ma letteraria, a volte complessa e oscura, ricca di metafore, riferimenti dotti, insomma lontana dalla più corriva ideazione di messinscena delle più recenti generazioni di artisti del palcoscenico, perlomeno rispetto alle scelte di linguaggio. Una scelta di campo un po’anomala, insomma. Eppure il trattamento che la coppia è riuscita a dare alla complessità dell’operazione di translitterazione per la scena è interessante. E qui sta il valore meritorio di questo efficace lavoro. Carullo e Minasi si presentano nello spazio della Chiesa di Sant’Andrea-con il Teatro Francesco di Bartolo a Buti, uno dei due luoghi della rassegna-come due saltimbanchi di teatro delle origini, col loro carretto girovago a rotelle di legno componibile e scomponibile. munito di musiche di organetto da cantastorie comprensivo di palco, sipario e siparietti, praticabili, abito che fa da robe manteaux (anche epistemologico) per la donna e tenda da circo per lo spettacolo con tanto di luci da baraccone. Ma qui niente è improvvisato. I due personaggi si muovono con estrema disinvoltura impersonando i due personaggi delle Operette. La prima è definita “operetta infelice e per questo morale”, Il Copernico, dove la Terra deve confrontarsi col Sole vestito da gerarca con le ghette mentre l’altra, al rovescio è “operetta immorale e per questo felice” dove la Virtù (lui, imbranato occhialuto vittima dallo sguardo perso e perdente) ha da vedersela col Mondo e le sue miserie (lei, cinica tracotante ).

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L’ironia o meglio l’autoironia dei due interpreti è molto sottile come la loro bravura nel muoversi fra le trappole del testo e il conseguente rischio della mancata empatia del pubblico. Una recitazione mai urlata ma assolutamente in linea con le azioni e le intonazioni nel reciproco dialogo intessuto del leopardesco intreccio di senso e di rimandi nei rimandi, in una sorta di mise en abime. Infatti il gioco del teatro, alla fine si spoglia di abiti e fogge per restituire allo spettatore la verità dei corpi e delle maschere: i due attori lasciano gli abiti di scena raccogliendo un primo applauso. Per poi rimettere a posto chiodo su chiodo la macchina del carro di Tespi che hanno creato da veri cantastorie.

De Revolutionibus di e con Carullo/ Minasi

Visto a Pisa, Teatro Sant’Andrea il 3 novembre 2015 in Teatri di Confine

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